24/12/2020

                                                         BUON NATALE A TUTTI!



29/11/2020

GABRIELLA GENISI E LOLITA LOBOSCO: DALLA PUGLIA CON PASSIONE!

Gabriella Genisi, nata a Bari nel 1965, laureata in Giurisprudenza, è una scrittrice italiana arrivata al successo grazie al personaggio del commissario di Polizia di Bari, Lolita Lobosco, considerata un po’ un “Montalbano in gonnella” e protagonista finora di 8 libri. Sapete già che sono maniacale e che, quando mi avvicino per la prima volta ad un autore, cerco di partire con il primo dei suoi romanzi…e così ho fatto anche con la Genisi. Quello di cui vi parlo oggi, infatti, è il primo della serie del commissario Lobosco “La circonferenza delle arance”, uscito nel 2010. A questo hanno fatto seguito, fra il 2011 e il 2020, “Giallo ciliegia”, “Uva noir”, “Gioco pericoloso”, “Spaghetti all'assassina”, “Mare nero”, “Dopo tanta nebbia” e “I quattro cantoni”. Il primo mi è piaciuto moltissimo e l’ho letto tutto d’un fiato, quindi sicuramente leggerò anche i successivi. Nel 2019 è uscito anche “Pizzica amara”, il primo libro di una nuova serie ambientata nel Salento con un’altra protagonista femminile, Chicca Lopez, giovane e intraprendente marescialla dei Carabinieri. Beh! Appena riuscirò a leggerlo ve ne parlerò, state tranquilli. Nel frattempo cerchiamo di conoscere meglio la nostra commissaria…Lolita Lobosco, detta Lolì, trentasei anni, sguardo intenso, lunghi capelli corvini e una quinta di reggiseno, è
una classica bellezza mediterranea che non lascia indifferente nessuno quando cammina sicura di sé e conscia del suo ruolo. Ha faticato molto per arrivare dove è ora, seguendo fin da ragazza con una forte determinazione la sua vocazione: combattere le prepotenze di tutti i tipi, riportare l’ordine e la giustizia nella vita di chi li ha abbandonati e, cosa non marginale, farsi rispettare dai colleghi maschi, subalterni, pari o superiori che siano. E tutto questo, ovviamente, senza rinunciare alla propria femminilità, alla cura del proprio corpo ed alla passione per le scarpe Louboutin e per la cucina! Donna forte e testarda, amante della sua terra, Lolita parla senza mezzi termini e va’ dritta al punto in ogni situazione. La verità, alla fine, in un modo o nell’altro viene a galla e Lolì ci crede fermamente e si butta a capofitto nelle indagini, senza trascurare nessun indizio e nessuna pista. E così legge e rilegge i verbali e interroga ripetutamente tutte le persone coinvolte, cercando di entrare nelle loro vite, nei loro punti deboli, nelle loro menti, per arrivare, alla fine, ad incastrare tutti i pezzi del puzzle e a guardare l’immagine della soluzione, la verità appunto, in maniera nitida. Nel caso che viene trattato nel suo primo romanzo, il commissario Lobosco viene messa a dura prova, in quanto conosce personalmente l’uomo accusato di un crimine odioso e si deve sforzare non poco per riuscire ad essere imparziale e a concentrarsi per poterlo scagionare, tenendo a bada la lotta interiore fra cuore e testa che disturba il suo lavoro! E a peggiorare le cose c’è il fatto che le indagini si volgono nel periodo delle feste, fra Natale e Capodanno, e siccome la sua vita sentimentale non è proprio come vorrebbe, Lolita vive questi giorni alternando il lavoro e i pranzi in famiglia e con gli amici, ritrovandosi a casa, da sola, a rimuginare sul passato ed a ragionare sul presente, senza nemmeno prendere in considerazione il futuro! Non vi dico altro perché vi rovinerei la lettura (e sapete che questo per me sarebbe il peggiore dei delitti!) e vi invito a leggere i libri della Genisi, almeno il primo...poi mi direte se vorrete leggere
anche gli altri o meno! Il successo del commissario Lobosco, comunque, arriverà anche sul piccolo schermo. A luglio di quest’anno, infatti, sono iniziate le riprese per la realizzazione di una serie televisiva. Interprete principale, nelle vesti di Lolita, sarà l’affascinante Luisa Ranieri e secondo me è proprio una scelta azzeccata: sono davvero curiosa di vedere se riuscirà a portare in scena il carattere forte di Lolita, oltre alla sua prorompente femminilità. Dal punto di vista del gusto…beh! Lolita è una vera gourmet, una di quelle che apprezzo tantissimo! Ama cucinare e mangiare bene e, oltre che per la gastronomia della sua magnifica Puglia, ha una vera mania per le arance che mangia in tutti i modi e che inserisce in diverse ricette (le trovate in appendice al libro). Il suo cavallo di battaglia, conosciuto e apprezzato da tutti i suoi amici e conoscenti, è la crostata di arance, appunto, semplice e dal gusto deciso, un po’ dolce e un po’ amara, con una nota asprigna che esalta ancora di più la versatilità dell’agrume…proprio come Lolita, una donna dalle mille sfaccettature, nonostante spesso sia semplicemente una donna sensibile e anche vulnerabile, che vuole vivere a pieno la sua vita, senza se e senza ma. Avete già capito che la ricetta che vi proporrò di seguito è quella della crostata e vorrei dedicarla a tutte le donne e in particolare ad una carissima e specialissima amica, Lucia, che proprio oggi compie gli anni. Anche lei è una donna forte e determinata, sensibile e con un profondo senso della giustizia, per alcuni versi molto
simile a Lolì. La conosco da molto tempo e non ho mai smesso di volerle bene e di ammirare la sua tenacia e la sua capacità di affrontare la vita, nel bene e nel male, rialzandosi sempre e camminando a testa alta! E allora in onore di Lolita, di Lucia e di tutte noi donne ecco a voi la crostata di arance del commissario Lobosco: cucinatela con passione e gustatela!

CROSTATA ALLE ARANCE

Ingredienti per la frolla: 250 gr farina 00 – 150 gr burro – 90 gr zucchero – 2 tuorli d’uovo – 1 limone – vanillina **per la farcitura: 150 gr di marmellata di arance – 50 gr zucchero di canna – 2 arance succose – limoncello

Disporre la farina a fontana, formare un buco al centro, immergere il burro morbido, lo zucchero, la scorza del limone grattugiata, la vanillina e i tuorli e lavorare l’impasto con le mani. Farlo riposare in frigorifero per un’ora, coperto da pellicola. Tagliare le arance a fette, metterle in una pentola e ricoprirle con un bicchiere di limoncello. Aggiungere lo zucchero di canna e porre il tutto sul fuoco. Raggiunta l’ebollizione, attendere pochi minuti e scolare le arance. Stendere la pasta frolla, porla in una tortiera imburrata e bucherellarla. Aggiungere la marmellata di arance e posizionarvi sopra le fette di arancia scolate. Cuocere in forno statico a 180° per 20/25 minuti. Lasciar raffreddare la crostata e servirla con un bicchierino di limoncello. Buona degustazione e alla prossima!



15/11/2020

L’ITALIENNE. Un tranquillo omicidio borghese per il commissario Melykian

In uno dei miei “giri” in libreria, negli scorsi mesi ho pescato un po’ a caso e ho “incontrato” una nuova autrice che, lo ammetto, non avevo mai sentito nominare: Tiziana Albertini Cassinis. Beh! Magari neanche voi la conoscete e quindi permettetemi di presentarvela. Milanese di origine, ha studiato filosofia alla Statale di Milano e Arte all’Accademia Linguistica di Genova e attualmente vive un po’ in Italia e un po’ in Francia; è stata pittrice, fotografa, autrice di inchieste giornalistiche, reportages e libri…insomma possiamo dire che proprio ferma non ci sta!!! Come scrittrice ha pubblicato “Il segreto di Anna e Marco”, libro-intervista sull’Aids, nel 1996, “Jack e la storia dei tubi”, un thriller per ragazzi, nel 2009, e il suo primo giallo “L’italienne. Un tranquillo omicidio borghese”, nel 2012. In un’intervista la stessa Albertini Cassinis, alla domanda sul motivo di questa differenza di generi e argomenti, ha risposto: “Apparentemente sembrano generi letterari diversi, in realtà tutti e tre i libri hanno una matrice comune, cioè l’indagine: ciò che ancora non si sa e che va scoperto…” E io ho letto, ovviamente, proprio quest’ultimo libro, che si può definire un noir psicologico e nel quale fa il
suo esordio un personaggio davvero intrigante: il commissario armeno Jacques Melykian, soprannominato Aznavour per la sua grande passione/fissazione per il grande chansonnier suo connazionale. La descrizione che l’autrice fa della sua creatura è particolareggiata “Era un uomo dal fisico asciutto e atletico, non molto alto, con un viso segnato, ben proporzionato e maschile, due occhi intensi e scuri che avevano fatto impazzire più di una donna…” Melykian parla diverse lingue, suona e canta Aznavour, appunto, è ribelle e idealista a suo modo, simpatico e molto empatico, uno che conosce e ama la vita e l’amore e vuole vivere ogni momento intensamente, rifiutandosi di invecchiare, o meglio, rifiutando di sprecare tempo a pensarci! Dopo il pensionamento dalla Polizia vive sull’Isola di Porquerolles, al largo della Costa Azzurra, su una barca aperta a tutti per un buon caffè turco o un bicchiere di limoncello. Sempre pronto ad accogliere chiunque gli chieda un aiuto, un consiglio o anche solo un po’ di tempo per una chiacchierata, Melykian ha alle spalle tre matrimoni che, però, non sono riusciti a togliergli la passione e il romanticismo che l’hanno sempre contraddistinto. Così come tutte le brutture viste nella sua lunga carriera di brillante poliziotto non gli hanno tolto la fiducia
nel genere umano e l’innata capacità e curiosità investigativa e deduttiva. Di conseguenza, quando un ex collega lo contatta per chiedergli aiuto per un caso di apparente suicidio di una donna dell’alta borghesia di Lione, il nostro “Aznavour”, seppur con una certa ritrosia, lascia la sua barca e si reca nella cittadina francese, presentata in questo romanzo come “fredda nelle strade e gelida nei rapporti sociali”. E inizia un’indagine che lo costringerà a spostarsi continuamente da Porquerolles a Lione e viceversa, alla ricerca di uno spietato omicida che si nasconde dietro un ostentato perbenismo, dietro la facciata di una tranquilla e scialba borghesia. E l’apparenza diventerà l’ostacolo più grande che il commissario dovrà superare per arrivare alla triste e spietata verità. Sullo sfondo, come già dicevo, il sole ed il mare di Porquerolles in netto contrasto con l’umidità ed il buio grigiore di Lione, accompagnano i pensieri, le ipotesi, i dubbi del commissario che non vede l’ora di chiudere il caso per poter tornare alla tranquillità della sua barca, nella quiete della
“sua” isola…ma siamo sicuri che non sia proprio lì, nel suo angolo di paradiso, che si nasconde la chiave di lettura dell’intera, intricata vicenda? Lascio a voi di trovare la risposta fra le pagine di questo libro che vi consiglio di leggere se amate il genere. E per quanto riguarda il gusto? Possiamo tranquillamente affermare che, oltre ai tanti caffè alla turca e agli innumerevoli bicchierini di limoncello, Melykian non si concede molto altro, anzi, si può dire che sia addirittura noioso…già perché si prepara sempre e solo una semplice bistecca ai ferri accompagnata da un’insalata. Per carità, non che io abbia nulla contro un pasto così salutare e per nulla scontato, anzi, ammetto che non mi dispiace affatto, ogni tanto, gustarmi una bella bistecca, cotta al punto giusto…ma che diamine! È sull’isola di Porquerolles e non si cucina mai una bella grigliata o una zuppa di pesce, è in Francia e non si gusta mai un bel piatto di formaggi misti con pane e verdure di stagione, è vicino all’Italia e non va oltre il limoncello...insomma il nostro buon commissario non è proprio un gourmet, tutt’altro! E a mio avviso la scelta di mangiare sempre le stesse cose è dettata semplicemente dalla pigrizia, perché appena si ritrova a Lione, fuori dal suo “nido”, sceglie i migliori bistrot per mangiare piatti ben più gustosi e sostanziosi! Beh! Comunque non si scappa: per il nostro “Aznavour” non ho potuto fare altro che optare per un’ottima bistecca ed una tenera insalata e le ho accompagnate con un bicchiere di vino bianco fresco al punto giusto. Ma giusto per non lasciarvi solo con questo semplice piatto, in caso non la conosciate, vi racconto l’origine del termine “bistecca” che è molto generico e comprende una grande varietà di tagli di carne
principalmente bovina. La leggenda vuole che il nome bistecca nascesse nella seconda metà del ‘500, durante una festa popolare a Firenze, in piazza San Lorenzo. Fra i tanti presenti, c’era anche un gruppo di cittadini inglesi, venuti nel Granducato per affari. Mentre si servivano fette di manzo arrosto (all’epoca chiamate carbonate perché cotte sulla brace) si sarebbero fatti avanti per gustare la carne e, conquistati dalla pietanza, avrebbero cominciato a gridare entusiasti tra la folla “beef steak - beef steak” per averne ancora. E così pare che i fiorentini abbiano subito italianizzato quella richiesta in “bi-stecca”. Altre versioni si basano sulla stessa etimologia, ma attesterebbero la nascita del termine anglosassone italianizzato nella città di Livorno, all’epoca scalo tra i più importanti d’Europa e sede di una numerosa e ricchissima comunità inglese, innamorata della maniera toscana di cuocere la carne di manzo. Quest’ultima interpretazione sembra avvalorata anche da altri termini tutt’ora in uso a Livorno che derivano dalla storica convivenza con la comunità inglese. Al di là della querelle un po’ campanilistica su quale città toscana l’abbia inventata, la parola bistecca compare ufficialmente per la prima volta all’Esposizione di Parigi alla fine del XIX secolo, esposta nel padiglione italiano. E pare che sia proprio da qui che nacque anche il nome
della “fiorentina”, la bistecca per eccellenza! Bene, ora che sapere anche qualcosina in più sulla storia di questo piatto semplice ma per nulla povero, non vi resta che andare dal vostro macellaio di fiducia, prendervi una bella bistecca del taglio che preferite, cuocerla al punto giusto e gustarvela accompagnata dal contorno che più vi piace. Io vi aspetto la prossima settimana. Buon appetito!


28/10/2020

INDAGINI E BUON CIBO ALL’ISOLA DI MILANO

Fra un libro e l’altro letto durante le vacanze estive, mi sono imbattuta in uno scrittore che non conoscevo: Giancarlo Bosini. Non si sa molto di lui…a parte che è un architetto milanese doc e che ha iniziato a scrivere solo di recente; il suo esordio, infatti, è avvenuto nel 2011 con “Orazio & Company”, un giallo per ragazzi nato per caso che lo ha subito fatto entrare nel panorama dei giallisti italiani. Lui ha continuato a fare l’architetto ma, per fortuna, non ha smesso di scrivere e dopo quello di Orazio, sono arrivati altri libri fra i quali spiccano l’ironico-surreale “I disperati casi dell’ispettore Tombini”, l’intrigato e storico “Giallo Milano” e il tragicomico “Misteriosi delitti all’Isola di Milano”. Io ho letto quest’ultimo e devo ammettere che mi sono proprio divertita! Certo, si tratta pur sempre di un giallo con tanto di omicidi, intrighi, indizi, sospetti, depistaggi e tutto ciò che serve per creare una certa dose di suspense…ma Bosini riesce a coinvolgere il lettore anche con tanta, tanta ironia. I fatti si svolgono a Milano, ovviamente, e più precisamente nel pittoresco quartiere Isola, che negli ultimi anni ha subito una profonda trasformazione e riqualificazione, diventando una delle zone a mio avviso più belle e autentiche del capoluogo lombardo. I protagonisti principali del romanzo sono l’architetto Bonelli, che vive nel quartiere Isola,
appunto, e si trova suo malgrado coinvolto nelle indagini, e il commissario Silvestri, pacato e arguto poliziotto del quartiere Niguarda. I due, ex compagni di liceo, si ritrovano quando, durante la ristrutturazione di un appartamento affidata al Bonelli (l’articolo è doveroso…siamo a Milano!!!), viene ritrovato uno scheletro murato. I lavori si fermano e parte l’indagine che, a poco a poco, coinvolge tutta una serie di personaggi che vivono nello stabile dove è “successo il fattaccio” e dove, fra l’altro, vive anche lo stesso Bonelli, il quale, preso da un’irrefrenabile curiosità e spinto dalla necessità di riprendere i lavori, si affianca al buon Silvestri formando una strana e simpatica coppia di investigatori. Anche le loro vite private, non sempre idilliache, li vedono allearsi per far fronte alle difficoltà quotidiane fatte di mogli, ex mogli, figli, parenti ingombranti, vicini di casa, gatti, cani e…pappagalli!!! E così fra una falsa pista e uno strano indizio, l’ombra della mafia e la piaga dell’usura, una cena a base di polpette svedesi e un tentato avvelenamento…Bonelli e Silvestri arrivano alla soluzione del caso. Non voglio svelare nulla perché vi consiglio vivamente di leggere questo libro! Io ho deciso che prima o poi leggerò anche gli altri scritti da Bosini e spero di trovare di nuovo Bonelli e Silvestri in altre avventure. Venendo al gusto, se dovessi scegliere una ricetta da proporvi in 
abbinamento a questo romanzo, sarei costretta a scegliere uno dei piatti svedesi cucinati da Bonelli (la cui ex moglie è, appunto, svedese) ma non posso proprio farlo! No! Perché siamo a Milano e sapete bene che io sono milanese e amo la cucina meneghina…come potrei metterla completamente da parte?!?!? Inoltre sono particolarmente legata al quartiere Isola: mio zio, il mitico Marino, ha lavorato da giovane al mercato di via Borsieri e poi, qualche anno fa, ho avuto l’immensa fortuna di lavorare, seppur per poco tempo, nella cucina di uno dei tanti locali che rendono questa zona così unica. Sto parlando della mitica Pizzeria “Alla Fontana” (l’originale!), in via Thaon di Revel, che sforna una pizza fantastica e dei piatti buonissimi dal 1973. Non la conoscete? Allora dovete assolutissimamente andarci! Già, perché almeno una volta nella vita bisogna entrare alla Fontana (che fra l’altro si trova proprio di fronte alla Chiesa di Santa Maria alla Fontana, la quale vale davvero una visita)! Il locale è semplice, dallo stile un po’ vintage, e troverete ad accogliervi i sorrisi dei camerieri e dei pizzaioli; potrete sedervi ad uno dei tavoli (all’interno o all’esterno), guardare una delle lavagne sulle quali sono elencati i piatti del giorno e rimanere lì per un po’ in balìa dell’indecisione…Un trancio di pizza morbida e gustosa, con la mozzarella filante, o una porzione delle meravigliose lasagne? Il pollo allo spiedo con le golose patate
al forno o una succulenta costata cotta al punto giusto? Un piatto del rinomato riso in crosta o una zuppetta di pesce? E ancora la cassœula o la trippa con i fagioli?? Gli ossibuchi o la polenta?? La scelta non è per niente facile e forse la cosa migliore è tornare nelle varie occasioni e stagioni per assaggiare le diverse proposte del bravissimo Martino, cuoco e “front man” della Fontana, capace di trasformare qualsiasi ricetta, anche la più semplice, in un godimento per il palato, nel pieno rispetto della tradizione! Qui non troverete scheletri ma solo tanto, tantissimo gusto e il vero delitto sarebbe non andarci! Quindi stavolta non cucino e vi invito ad andare alla Fontana…magari ci incontriamo là!! Buon appetito e alla prossima! 

02/10/2020

CASSANDRE: INDAGINI NEL CUORE DELL’ALTA SAVOIA

L’ultima tappa del nostro tour è dedicata ad un’altra donna e ci porta nella pittoresca città di Annecy, nell’Alta Savoia. Circondata da scenari mozzafiato, in una posizione unica che un tempo la rendeva strategica, a poca distanza dall’Italia e dalla Svizzera, Annecy è ancora oggi méta di molti turisti, sia in inverno che in estate. Il lago da una parte e le montagne dall’altra fanno da sfondo alle vicende della serie televisiva “Cassandre”. La serie è una delle più recenti nel panorama delle serie tv francesi: ha iniziato, infatti, ad essere trasmessa nel 2015, sta andando tutt’ora in onda, ed è giunta alla quarta stagione. Da noi, invece, è arrivata nel 2018 ed al momento è ferma alla terza stagione. Il commissario Florence Cassandre, interpretata dalla sofisticata Gwendoline Hamon, è un’ottima poliziotta ed è vicinissima ad una promozione ambita da molti: prendere il comando della polizia giudiziaria di Parigi al prestigioso 36 Quai des Orfèvres. Purtroppo, quando la nomina è già praticamente pronta per lei, decide di rinunciare e chiede il trasferimento ad Annecy…perché? Per il suo più grande amore: Jules, il figlio adolescente. Ribelle e dal carattere difficile, dopo la separazione dei genitori, Jules si è cacciato in un guaio dopo l’altro, fino ad infrangere la legge. Il giudice del tribunale dei minori, per aiutarlo e per evitargli il riformatorio, lo costringe a vivere per qualche anno in una sorta di “collegio-comunità” ad Annecy, appunto, dove la disciplina, lo studio e il lavoro scandiscono il ritmo della vita di tanti giovani come lui. E così Florence, che è un bravo commissario e al contempo una madre un po’ “ansiosa”, decide di mettere da parte tutto e tutti e si ritrova in mezzo alle montagne. All’inizio la vita in montagna non le va molto a genio, in più la squadra che è chiamata a dirigere la accoglie con la diffidenza tipica della provincia nei confronti di chi viene dalla città e anche con un po’ di rancore, dovuto al fatto che erano già pronti a vedere un altro
a ricoprire quel ruolo. Già, perché al posto di Cassandre doveva esserci quello che ora è il suo vice, l’affascinante capitano Pascal Roche, poliziotto un po’ “fuori dagli schemi”, abituato a condurre le indagini a modo suo e incurante delle regole. Ex “infant terrible”, bello e “dannato”, Pascal è entrato in Polizia per riscattarsi da un’adolescenza e una giovinezza turbolenta ed è diventato il punto di riferimento del gruppo di poliziotti con i quali lavora quotidianamente. Figlio della procuratrice “di ferro”, Evelyne Roche (madre onnipresente e un po’ “ingombrante”) Pascal in realtà è quello che soffre meno per la mancata promozione e che accoglie il nuovo commissario con un certo entusiasmo, cercando di “mediare” con il resto della squadra e, soprattutto, con la madre. Cassandre, comunque, non è certo tipo da scoraggiarsi e si fa conoscere e rispettare lavorando per prima sul campo insieme ai colleghi. A poco a poco riesce a conquistare la loro fiducia e a creare una buona sinergia, grazie alla quale i casi affrontati nei vari episodi vengono risolti brillantemente. Ad aiutarla in particolare troviamo il simpatico tenente Jean-Paul Marchand, l’intraprendete e giovane tenente Nicky Maleva (gelosa di Pascal con il quale ha una storia) e il maggiore Sidonie Montferrat, donna semplice ed efficiente, da sempre segretamente innamorata di Marchand. Ci sono poi altri personaggi secondari, fra i quali Philippe, ex marito di Florence e padre di Jules, ufficiale della Polizia doganale, Audrey Roche, avvocatessa in carriera e sorella di Pascal, e Stephane, poliziotto parigino ex collega (ed ex amante) di Cassandre. La serie mi piace molto, in particolare per il metodo di indagine di Cassandre: inizia cercando di “conoscere” la vittima e tutte le persone che in qualche modo hanno fatto parte della sua vita, prende in esame tutte le piste senza scartare niente e nessuno e si concentra sull’umanità di tutti i protagonisti di ciascuna vicenda, immedesimandosi ed entrando nelle loro esistenze. E facendo lavoro di squadra riesce sempre a risolvere i casi che le vengono affidati, spesso arrivando a discutere con superiori e sottoposti pur di arrivare alla verità. Ispirandomi alla bellissima ambientazione di questa serie, ho scelto di abbinare una ricetta tradizionale dell’Alta Savoia, dai sapori forti e decisi, semplice e
di grande effetto. I pochi ingredienti che la compongono, pur mantenendo la loro identità, riescono a fondersi egregiamente, dando vita ad un piatto unico, una vera festa per il palato. Un po’ come Cassandre e la sua squadra: ciascuno di loro ha un proprio carattere e sa lavorare da solo ma è insieme agli altri che riesce a dare il meglio. Il piatto di cui sto parlando è la “tartiflette”! La conoscete? No? Beh! Io vi consiglio di provarla…soprattutto in questi giorni di inizio autunno particolarmente umidi, nei quali è molto facile riuscire a gustarla e a lasciarsi avvolgere dall’intensità dei suoi sapori. Ecco a voi la ricetta.

TARTIFLETTE

Ingredienti per 4-6 persone: 1 Reblochon Dop (formaggio francese a pasta pressata da latte crudo di

vacca, tipico della Savoia) - 1 kg di patate di buona qualità - 200 g di pancetta affumicata a cubetti - 200 g di cipolle - 1 dl di vino bianco – pepe - noce moscata (facoltativa)

Sbucciate le patate e tagliatele a pezzetti o a fettine. Tagliate a rondelle le cipolle. Fate saltare la pancetta a cubetti in una padella assieme alle cipolle (senza aggiungere olio o burro) fino a quando inizieranno a essere dorate. Unitevi le patate e fate cuocere a fuoco medio per 20 minuti. Bagnate con il vino bianco, fate evaporare e lasciate cuocere per altri 5 minuti. Pepate e aggiungete della noce moscata se lo desiderate.

Tagliate il Reblochon in due parti nel senso dello spessore, conservate una delle due “facce” e tagliate l’altra in piccoli pezzettini che unirete al composto di patate e pancetta. Trasferite il composto in una pirofila da forno e posatevi sopra l’altra metà di Reblochon tagliata in due o quattro parti (la crosta va rivolta verso l’alto). Fate gratinare in forno preriscaldato a 200° per circa 15-20 minuti, quindi servite ben caldo accompagnando con un buon vino: una vera coccola! Buon appetito e alla prossima settimana.

23/09/2020

I CORDIER: PADRE E FIGLIO AL SERVIZIO DELLA LEGGE

Per questa penultima tappa del nostro tour rimaniamo nella capitale e incontriamo un personaggio davvero simpatico che dà anche il nome alla serie tv di cui vi voglio parlare: “Il commissario Cordier”. Creata da Alain Page, la serie è andata in onda in Francia fra il 1992 ed il 2005 ed in Italia fra il 1996 ed il 2007 (alcuni canali ancora oggi trasmettono qualche replica). Il titolo originale in francese, “Les Cordier, juge et flic” (letteralmente “I Cordier, giudice e poliziotto”), rivela che il protagonista non è uno solo ma due: Cordier padre e Cordier figlio. Il primo è un poliziotto di altri tempi, con una grande esperienza e tanti anni di lavoro alle spalle. Burbero dal cuore d’oro, francese purosangue, irascibile e insofferente verso la burocrazia, Pierre Cordier, interpretato dal bravissimo e amatissimo Pierre Mondy, è un vero e proprio segugio, testardo e sempre pronto ad andare dritto al punto, senza fronzoli o giri di parole e…con metodi non sempre ortodossi! Per lui ciò che conta è trovare il colpevole e lo fa con tutti i mezzi, buttandosi a capofitto nelle indagini in prima persona ed esigendo lo stesso impegno dai suoi collaboratori. Quando segue una pista non si ferma fino a quando non ha raggiunto il suo scopo: assicurare il criminale di turno alla giustizia. E qui entra in scena il Cordier figlio, ovvero il giudice istruttore Bruno Cordier (che ha il volto di Bruno Madinier). Diametralmente opposto rispetto al padre, Bruno è un giudice scrupoloso ed integerrimo, pacato e capace di affrontare i casi più difficili con professionalità e umanità
al tempo stesso. Single, dongiovanni impenitente, si scontra spesso con il padre, soprattutto per i loro metodi così diversi, ma l’affetto e la stima reciproci hanno sempre la meglio e ciascuno di loro è capace di tornare sui propri passi e di ammettere i propri sbagli…seppur con riluttanza! La famiglia Cordier ha anche altri componenti tutti femminili: Lucia, l’italianissima e simpatica moglie di Pierre e madre di Bruno, che ha il volto della “nostra” Antonella Lualdi; la figlia Myriam, sorella di Bruno, giornalista sempre in cerca di storie originali e paladina delle cause perse; la nipote Lara (figlia del fratello di Pierre) e la piccola Charlotte (figlia di Bruno avuta da una collega a sua insaputa). Le peripezie che i due uomini di casa affrontano con il loro lavoro spesso non sono nulla di fronte ai problemi che devono risolvere fra le mura di casa. Lucia battibecca con Pierre e difende sempre a spada tratta i figli, da buona “mamma-chioccia” made in Italy; Myriam riesce sempre a cacciarsi nei guai a
causa delle sue ricerche giornalistiche o a trovare ragazzi che poi puntualmente la lasciano o si rivelano dei poco di buono…insomma il nostro buon poliziotto, quando torna a casa, vorrebbe tanto rilassarsi e godersi la cena e della buona musica ma raramente ci riesce! La serie è da sempre una delle più seguite in Francia, dove Mondy è sempre stato uno degli attori più amati dai telespettatori di tutte le età. Pur trattando diverse tipologie di crimini, gli episodi di Cordier sono sempre apprezzabili, a volte quasi “leggeri” e per questo adatti anche alle famiglie. Io, lo sapete, prediligo altri generi ma devo ammettere che i Cordier mi sono sempre stati simpatici. Beh! Non ho visto tutti gli episodi però quelli che sono riuscita a seguire sono stati gradevoli. E inoltre, a differenza di altri suoi “colleghi”, Cordier padre ama il buon cibo, in particolare la cucina classica francese e, anche se non sempre lo ammette, adora i piatti italiani che gli prepara la sua Lucia. Per lui la cena è sacra e, al termine di una giornata di lavoro, ciò che preferisce è sedersi a tavola con tutta la famiglia, dopo aver aperto una bottiglia di buon vino. A fine cena, poi, ascoltando Duke Ellington si concede un bicchiere di cognac. Il pranzo, invece, è un optional e spesso è costretto a saltarlo o ad arrangiarsi…allora prende un panino al volo oppure, goloso com’è, si concede un dolce. E per lui ho pensato ad un “must” di Parigi: le crepes suzette. Sono semplici e vengono addolcite con una salsa a base di burro e arancia e “vivacizzate” da un bicchierino di Grand Marnier: un mix di sapori, profumi e consistenze che ricorda proprio la complessità del carattere dei due Cordier. Provatele e non potrete più farne a meno!!!!

Prima della ricetta, però, un pochino di storia…Anzitutto bisogna dire che, nonostante siano per antonomasia francesi, in realtà le crepes potrebbero essere considerate monegasche. L’origine di questo gustosissimo piatto, infatti, è misteriosa e due sono le versioni più accreditate. La prima narra che siano nate dall’errore fortunato e casuale di un giovane apprendista di nome Henry Charpentier, che lavorava ai fornelli al servizio del grande chef Auguste Escoffier, presso il "Cafè de Paris" di Montecarlo. Secondo la leggenda Charpentier doveva preparare una crepe per un cliente d’eccezione: Edoardo VIII, principe del Galles. Preso dall'emozione avrebbe fatto cadere del liquore sulla crepe che a contatto con il gas si infiammò. Il risultato fu inaspettatamente delizioso e quindi il giovane chef decise di servire ugualmente il dolce al tavolo di Edoardo VIII che chiese addirittura il bis. Il nome Suzette si deve, secondo questa storia, a quello della bellissima figlia di un amico che stava pranzando con il principe. Secondo un’altra leggenda, invece, l’inventore di questo piatto è il maitre Josèph del ristorante "Marivaux" di Parigi nel 1897 che dedicò la ricetta alla bella attrice dell'opera di nome Suzette. Credete pure alla versione che preferite e poi seguite la ricetta!

CREPES SUZETTE - Ingredienti per le crepes: 150 gr farina 00 - 2 uova - 300 ml latte - 40 gr burro - 1 cucchiaio di zucchero - scorza di mezza arancia – 1 bacca di vaniglia 

Per la salsa e per flambare: Scorza di 2 arance - 150 ml di Grand Marnier - 130 gr zucchero - 80 g burro

Preparazione della salsa - Lavate per prima cosa le arance e il limone, asciugateli e aiutandovi con un coltellino ben affilato o con un pelapatate tagliate solo la parte colorata della scorza fino ad ottenere dei filetti sottilissimi, che andrete a mescolare con 4 cucchiai di zucchero e un pochino d’acqua. Spremete il succo, passatelo al colino e versatelo in una casseruola. Aggiungete le scorzette e 50 g di burro. Fate bollire e poi aggiungete l'acqua insaporita agli agrumi. Quando bolle togliete dal fuoco. 

Preparazione dell'impasto: Mettete in una ciotola dai bordi alti la farina setacciata, lo zucchero

semolato, i semi di mezza bacca di vaniglia, un pizzico di sale e il latte. Lavorate il composto con una frusta a mano o con uno sbattitore elettrico fino a che avrà una consistenza liscia e senza grumi. In una terrina a parte sbattete con una forchetta le uova, poi aggiungetele agli altri ingredienti e continuate a mescolare. Sciogliete il burro in un pentolino a fuoco basso e dopo averlo fatto intiepidire aggiungetelo all’impasto per le crepes e mescolate con cura. Aggiungete all’impasto la buccia dell’arancia grattugiata. Mescolate gli ingredienti fino ad ottenere un impasto denso senza grumi e poi copritelo con una pellicola trasparente e lasciatelo riposare per almeno mezz’ora/un’ora in frigorifero. Quando lo riprendete munitevi di una padella da crepe, piatta e con i bordi bassi, scaldatela e cuocete ruotando la padella per distribuire il composto su tutta la superficie. Cuocete su entrambi i lati. Ripiegate le crepe in 4 per ottenere dei piccoli ventagli e immergetele nella casseruola con la salsa precedentemente preparata per farle insaporire. Nel frattempo scaldate il Grand Marnier in un pentolino e poi versatelo nella padella con le crepes, incendiate il liquore e spegnete la fiamma al momento giusto coprendo la padella con un coperchio (lo ammetto...io sono una vera frana a flambare!!! Non sempre si riesce!). Le crepes suzette sono pronte per essere gustate: non esitate e godetevi ogni boccone! Alla prossima settimana con l'ultima tappa del nostro tour!

10/09/2020

ALICE NEVERS: PROFESSIONE GIUDICE

Proseguiamo nel nostro tour de France virtuale e torniamo a fare tappa nella capitale, dove lavora il giudice istruttore Alice Nevers, interpretata dall’affascinante Marine Delterme. La serie è ispirata ai romanzi di Noëlle Loriot e viene trasmessa con successo in Francia dal 2002 ed in Italia dal 2010. Le stagioni finora sono diciassette ma per il momento da noi sono arrivate solo le prime dodici…una cosa curiosa: le prime sei serie sono state trasmesse parzialmente. Il motivo?!?!? Boh!!! Ma non perdiamoci in quisquilie e veniamo a noi. Anche questa, così come la maggior parte delle serie di cui vi ho parlato, ha per protagonista una donna. Alice è bellissima, intelligente, colta, elegante, raffinata, una professionista affermata che ha dovuto faticare non poco per fare carriera in un mondo prevalentemente maschile e maschilista. E ce l’ha fatta! Sì, perché è una tipa davvero tosta e dietro ai suoi occhioni da “femme fatale” nasconde un carattere forte ed una fermezza insospettabile. Ogni episodio presenta un caso di omicidio, rapimento, estorsione…e le indagini vengono affidate al “bel tenebroso” comandante Frédéric Marquand, che ha il volto di Jean-Michel Tinivelli. Poliziotto esperto e ottimo investigatore, attraente e scanzonato, Marquand è da sempre innamorato di Alice, con la quale c’è un’ottima intesa lavorativa e…non solo! Pur essendo diametralmente opposti, Alice e Frédéric finiscono sempre ed irrimediabilmente per attrarsi e poi
allontanarsi e questo loro rapporto “altalenante”, insieme alle loro vite ed alle persone che li circondano, fa da sfondo alla serie. Le “scaramucce” e le battute che si scambiano servono spesso solo a stemperare un po’ della tensione dovuta alle indagini e non impediscono loro di risolvere anche i casi più spinosi. Accanto a Marquand troviamo il tenente “di turno”, personaggio che è cambiato diverse volte nelle diverse stagioni, mentre il fedelissimo ed efficientissimo cancelliere tuttofare del giudice Nevers è l’impeccabile Édouard Lemonnier (l’attore Jean Dell), sostituito, dopo il pensionamento, dall’altrettanto impeccabile e simpatico nipote Victor (Guillaume Carcaud).  Alice ha un figlio, Paul, avuto dall’intensa e “pericolosa” relazione con Mathieu Brémont, latitante e primo grande amore del giudice, che ha messo a dura prova il suo cuore, la sua carriera e il suo rapporto con Marquand. Ad aiutarla poi c’è suo padre, sempre pronto a fare il nonno a tempo pieno e ad abbracciarla nei momenti più difficili. Il comandante, invece, “paga” il suo passato di incallito dongiovanni affrontando varie ex che ricompaiono nei momenti più inadatti e si scopre padre quando sua figlia è ormai adulta. Nel tentativo di recuperare il tempo perduto rischierà più volte di perdere Alice e attraverserà una forte crisi che lo porterà a mettere in discussione le sue scelte. Tutto questo,
ovviamente, succede fra un caso e l’altro e aumenta il coinvolgimento dei telespettatori, curiosi di vedere come andrà a finire fra i due! Devo dire che si tratta di una serie molto interessante, con un taglio diverso rispetto a tante altre, più giudiziario che poliziesco e mi è sempre piaciuta. Non ci sono scene di violenza né volgarità e si indaga nelle pieghe più nascoste delle persone coinvolte, siano esse vittime o criminali…perché tutte hanno una cosa in comune per Alice Nevers: meritano giustizia. Spero che riprendano a trasmettere anche le altre stagioni e di riuscire a vederle…anche per capire come andrà a finire fra Alice e Frédéric! Nel frattempo pensiamo al gusto…già! Facile a dirsi! Non si vedono praticamente mai Alice e Marquand a tavola, al massimo prendono la colazione da asporto al bar o bevono qualcosa di caldo dalle immancabili macchinette fuori dalla sala interrogatori. Solo una volta hanno espresso il desiderio di godersi una serata con ostriche e champagne…ma ancora non ce l’hanno fatta! Quindi ho concesso loro, almeno nelle pagine del mio blog, un bel vassoio delle migliori ostriche e una bottiglia di pregiate bollicine. Dello champagne parleremo in altre occasioni. Questa volta ho deciso di documentarmi un po’ e di capire perché questo famoso (e costoso) mollusco è così ambito da tante persone…

LE OSTRICHE sono dei molluschi bivalvi e la storia ci dice che sono stati uno dei primi alimenti consumati dall’uomo, in particolare nel bacino del Mediterraneo. Ce ne sono tracce in molti scavi archeologici e in diverse zone, in particolare vicino alle coste francesi, italiane, greche ed egiziane, dove sono sempre state facilmente reperibili. Una delle prime testimonianze scritte del loro consumo, risale all'impero romano guidato da Nerone, che le divorava e le aveva rese un piatto riservato solo a lui e ai romani più ricchi. Arrivavano dalla Britannia, ricoperte di ghiaccio e acqua marina ma non sempre in buone condizioni, così, per ovviare al problema del trasporto, ci si rivolse al mercato francese, dal quale si diceva arrivassero ostriche migliori. Alla corte di Luigi XIV non potevano mancare e il Re Sole ne proibì il consumo durante i mesi estivi, per evitare che, dopo il trasporto con il clima caldo, arrivassero praticamente immangiabili. Altamente “ecosostenibili”, oggi le ostriche sono allevate soprattutto nelle zone costiere e vicino alle lagune e, grazie alla loro funzione di filtraggio e purificazione delle acque, sono ritenute preziose per la conservazione dell’ecosistema
marino. Coltivare le ostriche, però, non è cosa facile: ne esistono infinite varietà diverse per sapore, aspetto e proprietà nutrienti. Come i vigneti hanno i loro “terroir”, le ostriche hanno i cosiddetti “merroir”, a seconda del particolare ambiente naturale nel quale sono allevate. Nel tempo sono sempre state considerate un cibo di lusso, afrodisiaco e destinato solo ai più abbienti e questo ha contribuito a creare aspettative altissime fra tutti coloro che non se le potevano permettere. Oggi sono più accessibili e chi lo desidera può facilmente trovarle ed assaggiarle. Devono essere freschissime…già ma come capire se un'ostrica è fresca o meno e gustarla al suo meglio? Se contiene troppo liquido, la carne ha iniziato a staccarsi dalla conchiglia o la conchiglia è aperta, buttatela via immediatamente! Attenti anche alla temperatura di servizio: quella ideale oscilla tra i 4°C e gli 8°C. Sempre che abbiate deciso di servirle crude, "alla francese", marinate con un po' di scalogno e aceto e accompagnate da pane, burro e ovviamente champagne. Vi avverto però: sia che si tratti di ostriche dalla qualità eccellente o di specie più “dozzinali”, l’approccio con questi simpatici molluschi può non essere dei più semplici. Non solo si pone un problema tecnico sul come aprirle e consumarle…una volta che ci si è riusciti bisogna anche fare i conti con una consistenza e un odore non proprio “allettanti” che non piace a tutti. Le ostriche non hanno mezze misure: o si amano o si odiano! Io le ho assaggiate, seguendo i consigli di persone più esperte di me, al naturale e in altre preparazioni e, cosa non marginale, in diversi momenti della mia vita e quindi del mio senso del gusto…ahimè non è scattata la “scintilla” e posso tranquillamente
affermare che non amo particolarmente il loro gusto così forte. Certo un flûte di champagne ti aiuta non poco a mandarle giù ma il mio palato non le ha inserite nella gamma di delizie che ho potuto gustare nei miei primi cinquant'anni! Le ho provate in una pescheria stupenda, insieme a mio padre, freschissime e con una bella spruzzata di limone e un pizzico di pepe…che delusione! Ho provato un leggero senso di nausea e le ho ingoiate in fretta, bevendo poi una gazzosa, visto che ero ancora minorenne (comunque credo che mio padre sia stato contento perché l’ho fatto risparmiare!!!!) Poi le ho “incontrate” di nuovo a Parigi, in un locale esclusivo, servite nel modo più classico, su un letto di ghiaccio e con il limone. Ero con un parigino doc che mi ha guidato passo passo e…beh! Credo che la mia faccia abbia parlato da sola perché ci è rimasto un po’ male e poi le ha mangiate tutte lui!!!! Per fortuna ho potuto consolarmi con le bollicine di un ottimo champagne e con dei meravigliosi gamberoni (che ho apprezzato moltissimo)! Chissà? Magari un giorno proverò di nuovo a mangiarne una, così giusto per capire definitivamente se siamo proprio incompatibili…nel frattempo vi invito, se ancora non l’avete fatto, ad assaggiarle (almeno una!) e poi mi direte se vi sono piaciute o se, invece, la pensate come me. Vi aspetto la prossima settimana per la penultima tappa del nostro tour. À bientôt!!! 

02/09/2020

IL COMANDANTE FLORENT: UNA DONNA A CAPO DEI GENDARMI

Dopo la meritata pausa estiva, eccoci di nuovo in Francia per proseguire il nostro “tour virtuale” delle città che ospitano le serie televisive francesi di ieri e di oggi. Non mancano molte tappe al nostro tour, a differenza di quello vero, il mitico Tour de France che è appena iniziato e che sta entusiasmando gli appassionati delle due ruote. Per il post di oggi arriviamo nello Yonne, un dipartimento francese della regione Borgogna-Franca Contea, nel nord est della Francia e il capoluogo, Auxerre, è una pittoresca
cittadina medievale sulle rive del fiume Yonne, da cui prende appunto il nome la regione, fra colline e vigneti. In questo tranquillo scenario sono ambientati gli episodi della serie tv “Il comandante Florent”, trasmessa in Francia dal 1996 al 2008 ed in Italia dal 2005 al 2008 (tutt’ora vanno in onda sporadicamente le repliche). La serie, sviluppatasi in undici stagioni, vede protagonista una brigata di gendarmi guidata da Isabelle Florent, interpretata dall’affascinante Corinne Touzet, attrice molto amata oltralpe. Isabelle è una donna energica, intelligente e tenace che ha dovuto conquistare il suo posto e grado faticando il doppio dei suoi colleghi, crescendo un figlio da sola e dimostrando la sua preparazione ed il suo valore direttamente sul campo, a fianco dei suoi uomini. La sua schiettezza, la sua capacità di giudizio, il suo amore per la giustizia e il suo spiccato intuito investigativo la aiutano ad affrontare le situazioni più estreme e a portare la sua squadra alla soluzione dei diversi casi. La gendarmeria, nel bene e nel male, è la sua famiglia e il lavoro è la sua vita. E suo figlio Nicolas cresce in questo ambiente, circondato dall’affetto dei gendarmi di turno. Alcuni di loro 
sono personaggi “fissi” che ritroviamo in tutte le stagioni: il biondo “sciupafemmine” Pierre Roussillon, intraprendente e sempre pronto all’azione, l’aggiunto Francis Rivière, apparentemente un po’ “tonto” ma sorprendentemente capace nelle indagini, sposato e innamoratissimo della “sua” Christine. E ancora Playton, pacioso esperto in indagini scientifiche, il giovane Cluzeau, volonteroso e un po’ irruento, ed infine l’affascinante capitano Philippe Kremen, vecchia fiamma di Isabelle (…non proprio spenta…!). Ognuno di loro prova rispetto e affetto per il comandante e ciascuno di loro, con il proprio carattere, dona vivacità ai vari episodi, in cui si affrontano crimini di tutti i tipi, dall’omicidio al furto, dal ricatto al rapimento, dall’aggressione alla frode…tutto nell’apparente quiete della campagna francese. Ovviamente ogni caso viene brillantemente risolto dai “nostri eroi”, spesso con salvataggi e inseguimenti rocamboleschi ma sempre con poca violenza e tanta, tanta umanità.
Purtroppo per i già noti problemi di programmazione dei vari canali italiani, non sono ancora riuscita a vedere tutte le stagioni di questa serie…chissà se prima o poi ci riuscirò?!? Quelle che ho visto, però, mi sono piaciute abbastanza. Beh! Non posso dire che mi hanno entusiasmato o coinvolto come altre di cui ho già parlato ma tutto sommato la serie non è male. Neanche a dirlo tutti i gendarmi, Isabelle in testa, non hanno molto tempo per il cibo…o almeno non quanto vorrebbero. Christine, la moglie di Rivière, ogni tanto cerca di organizzare una cena o di preparare qualcosa per tutta la brigata…ma poi succede qualcosa che impedisce loro di sedersi a tavola e di soddisfare stomaco e palato. Fra le tante specialità locali che ho trovato “spulciando” i ricettari francesi, mi sono lasciata tentare da una in particolare: la flamusse bressanne. Questo nome così interessante identifica una semplice e golosissima torta paesana alle mele e ormai sapete che io adoro tutto ciò che contiene le mele! Si tratta di un dolce che veniva preparato in campagna, per dare un po’ di energia ai contadini che rientravano dai campi, utilizzando ingredienti semplici e genuini. Ogni famiglia aveva una propria ricetta con una particolare “variante” ma la preparazione base era la stessa per tutti e, con il passare del tempo, è diventato un piatto tipico delle feste paesane. Ho pensato di abbinarlo al comandante Florent perché, come lei, unisce la dolcezza dei suoi ingredienti e la loro forza ed il risultato mette d’accordo tutti. Vi consiglio di provarla e sono sicura che vi piacerà! E allora tutti in cucina!

FLAMUSSE BRESSANNE

Ingredienti per la base: 250 gr. farina - 1 uovo - 125 gr. burro - 75 gr. zucchero semolato - 1 bicchiere vino bianco secco - 1 pizzico sale ** Per la farcia: 500 gr. mele - 3 uova - 80 gr. zucchero - 50 gr. burro - 1 tazza latte - 1 tazza panna fresca - 1 bustina zucchero vanigliato

Impastare la farina insieme allo zucchero, al burro, all'uovo, al vino bianco e al sale. Lavorare fino ad ottenere un composto omogeneo e morbido, quindi formare una palla e mettere a riposare per 1 ora. Passato il tempo di riposo, stendere l'impasto e disporlo in una tortiera tonda (meglio se con bordo alto), imburrata e infarinata, formando un bordo di circa 3/4 cm d'altezza. Ricoprire con la carta forno e versarvi all'interno i fagioli secchi. Cuocere in forno preriscaldato a 200°-210° per circa 15 minuti, quindi sfornare ed eliminare fagioli e carta forno. Preparare poi la farcia:
sbucciare le mele, privarle del torsolo e affettarle, quindi scottarle nel burro caldo. Lasciarle sgocciolare e raffreddare. Nel frattempo sbattere le uova in una terrina, insieme allo zucchero semolato e a quello vanigliato. Unire il latte e la panna e mescolare energicamente, meglio se con una frusta elettrica. Passare infine tutto al colino. Disporre le mele sulla superficie della torta, quindi irrorarle con il composto. Rimettere in forno la torta per 20-25 minuti circa. Lasciare che la flamusse bressanne intiepidisca prima di sformarla e servirla ancora tiepida, insieme ad un bicchiere di vino dolce ben fresco e gustatela in compagnia di buoni amici o di un buon libro! Alla prossima!

26/06/2020

IL COMMISSARIO JULIE LESCAUT E IL PAIN AU CHOCOLAT!

Il nostro tour oggi arriva molto vicino alla mitica Ville Lumière, più precisamente nella banlieue di Clairières, dove vive e lavora il commissario di polizia Julie Lescaut, dell’omonima serie televisiva. Delle ventidue stagioni create da Alexis Lecaye e trasmesse in Francia dal 1992 al 2013, in Italia ne sono arrivate (ahimè!!) solo nove, a “singhiozzo” fra il 2007 e il 2012. In patria, infatti, “Julie Lescaut” ha riscosso un grandissimo successo di pubblico, tanto da portare la rossa Véronique Genest, ad essere annoverata fra le attrici più amate del piccolo schermo…mentre da noi ha ottenuto uno share molto alto ma evidentemente non sufficiente per i gestori dei vari canali televisivi. La serie narra le vicende del commissario Lescaut, appunto, a capo del commissariato di un sobborgo parigino. Donna dall’eleganza sobria, conscia della propria femminilità e delle proprie “misure curvy”, forte, tenace e determinata, gestisce un gruppo composto da più di una trentina di agenti. Fra questi i suoi più stretti collaboratori sono Justin N’Guma e David Kaplan, giovani ed intraprendenti, pronti a rispondere ai suoi ordini e a supportarla anche nelle indagini più difficili. Alle prese con la malavita e la delinquenza di strada, la Lescaut può sempre contare sull’appoggio dei suoi sottoposti, che tratta con rispetto e profonda umanità e con i quali è riuscita, negli anni, a costruire un ottimo rapporto. Un po’ più difficile per Julie è la gestione della sua vita privata. Madre di due figlie
adolescenti, Sarah e Babou, toste (quasi) quanto lei, con un matrimonio che, dopo anni di alti e bassi, è arrivato al capolinea e l’incapacità di “lanciarsi” in una nuova relazione…beh! Julie non ha vita facile! Conciliare tutto questo con il suo lavoro particolarmente stressante non sempre le riesce e la nostra poliziotta si trova spesso a voler “staccare la spina” da tutto e da tutti…per poi sentirsi in colpa e arrivare a fare i salti mortali per cercare di accontentare capi, colleghi e famiglia! Nei “suoi” momenti, quelli in cui si concede una piccola pausa, Julie entra in un bistrot per un’omelette o in un caffè per un espresso o, ancora meglio, in una boulangerie per concedersi un croissant o altro! Ovviamente poi si pente e rimedia saltando il pranzo o cenando con una semplice insalata…ma almeno, rispetto a tanti suoi “colleghi televisivi” il suo palato prova ancora
qualcosa!!!! Chi di voi è stato a Parigi o, in generale in Francia, sa bene che le boulangeries (alla lettera “panifici”) si trovano semplicemente seguendo il fantastico ed irresistibile profumo che le contraddistingue e che corrisponde a tantissimi prodotti da forno salati e dolci, fragranti, invitanti e tanto, tanto, tanto “burrosi”!!! Fra le diverse specialità ho scelto il golosissimo “pain au chocolat”, un involucro di sfoglia friabile che racchiude due barrette di cioccolato fondente. È un po’ come Julie Lescaut: i diversi strati di poliziotta, commissario, madre, moglie…racchiudono la sua “essenza fondente”, semplicemente una donna con tutta la sua forza e la sua fragilità. Così, dopo tante esitazioni, mi sono cimentata nell’impasto da sfoglia classico e…beh! Non ho proprio raggiunto un alto livello di pasticceria ma sono davvero soddisfatta del risultato ottenuto, soprattutto perché era la prima volta che lo facevo. Il pain au chocolat è un ottimo dolce: provatelo e vedrete che mi darete ragione! Alla prossima “tappa”!

RICETTA PAIN AU CHOCOLAT

Ingredienti per 12/14 panini: 300 gr di farina 0 -  10 gr di lievito di birra -  1 uovo -  35 gr di zucchero -  1 pizzico di sale -  175 ml di latte -  150 gr di burro -  120 gr di cioccolato fondente -  1 uovo per spennellare -  Zucchero

Innanzitutto, tirate il burro fuori dal frigo, per farlo ammorbidire. In un'ampia ciotola, lavorate insieme lievito, zucchero, latte e uovo. Aggiungete la farina e iniziate ad impastare. Quindi aggiungete il sale e continuate a lavorare fino ad ottenere un impasto omogeneo. Formate una palla e lasciatela riposare, coperta da pellicola, per circa 30 minuti. Mettete il burro oramai a temperatura ambiente tra due fogli di carta forno, appiattitelo un po' con il matterello e poi stendetelo fino a formare una sfoglia. Quindi rimettetelo in frigo. Passata 1 ora, riprendete l'impasto e il burro. Stendetelo l'impasto in una sfoglia più o meno quadrata. Posizionate il burro al centro della sfoglia. Chiudete i 4 angoli della sfoglia sopra al burro, accavallandoli tra loro. Quindi stendete delicatamente (per non far rompere l'impasto e non far fuoriuscire il burro) l'impasto dandogli una forma allungata. Fate la prima piega: piegate un terzo dell’impasto verso il centro e ripiegateci sopra l'impasto rimanente. Avvolgete con pellicola trasparente e riponete in frigo a riposare per 30 minuti. Riprendete l'impasto, stendetelo
nuovamente in una forma allungata E rifate le pieghe a 3. Rimettete in frigo per altri 30 minuti. Ripetete questo procedimento anche una terza volta. Riprendete l'impasto e stendetelo in una sfoglia abbastanza sottile, dando più o meno una forma rettangolare. Regolate i bordi con il coltello (questo impasto in più, sovrapposto e leggermente rilavorato, lo potrete utilizzare per fare altri paninetti) e tagliate la sfoglia in strisce larghe più o meno 6-7 cm. Dividete le strisce in rettangolini più piccoli. (dovreste ottenere dei rettangoli di circa 7x11 cm). A questo punto, se guardate la sfoglia di taglio, dovreste riuscire ad apprezzare la sfogliatura. Iniziate ora a formare i vostri pains au chocolat. Tagliate la cioccolata e componete i pezzetti a formare delle sbarrette di 6-7 cm. Lasciando un dito di impasto libero, poggiate una prima stecchetta di cioccolato su un rettangolino. Avvolgetela con l'impasto lasciato libero, appiattite leggermente il rotolino ottenuto, poggiate la seconda barretta di cioccolato all'estremità del rotolino e continuate ad arrotolare fino ad avvolgere anche la seconda barretta. Posizionate il saccottino con la chiusura nel lato inferiore. Man mano che sono pronti, sistemateli su una teglia rivestita di carta forno. Mi raccomando di distanziarli molto tra loro perché cresceranno molto durante la lievitazione e ancora un pochino durante la cottura. Lasciate lievitare per circa 2 ore o almeno fino al raddoppio. Spennellate i pain au chocolat con un po' di uovo leggermente sbattuto e spolverizzate di zucchero. Preriscaldate il forno a 200°C, in modalità ventilata. Prima di infornare, abbassate la temperatura a 180C°. Cuocete per circa 10 minuti o comunque fino a doratura. Lasciate raffreddare (se ci riuscite!) e gustate i vostri pain au chocolat da soli o in compagnia…poi potrete sempre cenare con una bella insalata!!!! Alla prossima!


18/06/2020

CANDICE RENOIR: MAMMA E POLIZIOTTA IN TACCHI ALTI E BORSA ROSA!

Oggi rimaniamo nel sud della Francia, nella regione dell’Occitania, e più precisamente a Sète, importante porto e stupenda cittadina. È qui che sono ambientati gli episodi della serie televisiva “Candice Renoir”, le cui sette stagioni sono andate in onda a partire dal 2013 in Francia e dal 2015 in Italia…purtroppo su Fox Crime! Io sono riuscita a vedere solo qualche episodio su Rai2 in estate (!!). Questa penalizzazione, però, non ha impedito alla serie televisiva di riscuotere un buon successo e spero che, prima o poi, uno dei tanti canali in chiaro metta in onda tutte le serie…magari in ordine cronologico!!! Ma parliamo della protagonista che, ovviamente, è colei che dà il nome alla serie: Candice Renoir, brillantemente interpretata dalla bionda Cécile Bois. Il comandante Renoir si trasferisce da Parigi a Sète, appunto, e torna in servizio in Polizia dopo dieci anni di “interruzione”, durante i quali si è dedicata a tempo pieno ai suoi quattro figli: Emma, Jules e i due gemelli Léo e Martin. È separata dal marito Laurent, anche se lui ogni tanto “compare” nella sua vita
per cercare invano di riconquistarla, e non disdegna le avances di altri uomini, con i quali, però, flirta senza arrivare ad impegnarsi. Candice è un personaggio decisamente bizzarro: ama il colore rosa e lo indossa con entusiasmo, nonostante il suo fisico “morbido”, dovuto al suo amore per la buona tavola; è allegra, eccentrica e apparentemente un po’ frivola ma non bisogna farsi ingannare perché è una poliziotta di prima categoria. Insofferente alle regole e al lavoro d’ufficio, le piace lavorare sul campo, interrogare tutte le persone coinvolte nei vari casi e indagare a fondo sulla vittima, per conoscerla a fondo e arrivare, così, ad individuare ed incastrare il colpevole. Deve fare spesso i salti mortali per riuscire a gestire il lavoro e la famiglia e la sua umanità, la sua capacità di riconoscere i propri limiti, i suoi errori e le sue ansie la rendono ancora più vera e simpatica! Al suo arrivo nel nuovo commissariato trova un gruppo di giovani agenti molto affiatato e “chiuso” che le mostra una certa ostilità e le affibbia subito il nomignolo di “Barbie”, per via dell’abbigliamento e dell’inseparabile borsa rosa. Il più “freddo” nei suoi confronti è Antoine Dumas, giovane e dinamico detective che pensava, per la sua anzianità di servizio, di prendere il comando della squadra e non accetta la nomina di Candice. Anche gli altri colleghi, il simpatico brigadiere Jean-Baptiste Medjaoui (JB per gli amici) e l’ombrosa agente Chrystelle Da Silva, non la accolgono a braccia aperte e continuano a fare riferimento
ad Antoine. Certo la situazione non è delle migliori…se poi aggiungiamo anche il commissario Yasmine Attia, diretto superiore di Candice, che non gradisce un’altra donna forte e di carattere nel suo “regno”…beh! Chiunque al suo posto si scoraggerebbe! Ma Candice Renoir non è “chiunque” e con la sua determinazione, il suo carattere e la passione per il suo lavoro riesce a poco a poco a farsi conoscere ed apprezzare da quella che diventerà ben presto la “sua” squadra e con la quale affronterà e risolverà molti difficili casi. Come dicevo, non ho visto tutte le stagioni ma spero tanto di poterlo fare presto…e consiglio anche a voi di guardare questa serie, se vi capita, perché è proprio interessante e coinvolgente. Per quanto riguarda il gusto…beh! Candice mi è simpatica anche perché ama cucinare e, soprattutto, mangiare e bere bene ed è una donna “curvy”. Cerca sempre di mettere in tavola qualcosa di gustoso che soddisfi i gusti dei suoi figli e che magari sia anche sano…ma poi non sa resistere ad un cartoccio di pesce e patatine fritte, acquistato in giro fra un’indagine e l’altra! Curiosando fra le varie specialità gastronomiche di questa zona ho
scoperto che la città di Séte da sempre accoglie un gran numero di migranti, soprattutto di origine italiana e nordafricana, e di conseguenza molti piatti risentono dell’influenza e della cucina di quei paesi. Al pittoresco e spumeggiante personaggio di Candice ho scelto di abbinare una ricetta che si avvicina ad un classico italiano, arricchito con ingredienti tipici occitani: la pissaladiere. Si tratta di una specie di focaccia morbida farcita con cipolle, olive e acciughe. Gusti forti, sapori intensi che si abbinano e si esaltano a vicenda stesi sopra un impasto morbido e croccante allo stesso tempo. Come Candice Renoir: morbida ma forte e decisa!

RICETTA PISSALADIERE 

Ingredienti per l’impasto: 500 gr. di farina 00 (in alcune versioni viene utilizzata quella semi integrale) - 200/250 ml. di acqua - ½ cucchiaino di sale - 15-20 gr. di lievito da pane - 15 ml. di olio d'oliva - 1 cucchiaino di miele  Ingredienti per la farcitura: 500/00 gr cipolle bionde - 100 ml. di olio d'oliva - 1 bouquet garni (timo, alloro, alloro, rosmarino) - 10 gr. di aglio (1 spicchio) - 8 filetti di acciughe sotto sale - Olive nere (taggiasche o di Nizza) - Sale e pepe

Sbucciare le cipolle, affettarle finemente e metterle in una pentola con l'olio d'oliva, gli spicchi d'aglio e il bouquet garni; condire con sale e pepe, coprire e cuocere a fuoco basso per 45 minuti (permettendo all’acqua di evaporare). Togliere l'aglio a fine cottura. Preparare il lievito madre: su un piano di lavoro, mettere 125 g di farina, scavare una fontana e aggiungere il lievito diluito in un po' d'acqua calda. Mescolare tutto insieme fino a ottenere una palla di pasta e lasciarla riposare in una ciotola ricoperta da un panno. In mezz'ora, la pasta deve raddoppiare di volume. Disporre a corona il resto della farina, aggiungere al centro l'acqua, l'olio d'oliva e il sale.
Lavorare la pasta aggiungendo acqua fino alla giusta consistenza. Aggiungere la pasta madre all'impasto e impastare il tutto. Lasciare riposare per un'ora al coperto. Oliare una piastra o una teglia da forno, stendere l'impasto (1/2 cm di spessore), aggiungere le cipolle, decorare con acciughe e olive. Mettere in forno, già riscaldato, per 20 minuti a 180/200°. Condire con il pepe quando esce dal forno. Lasciare raffreddare e servire abbinando un vino bianco frizzante fresco o una birra ghiacciata e…vi leccherete i baffi!!!! Alla prossima!