29/03/2018

VERDURE E DELITTI PER SIDNEY GRICE E MARCH MIDDLETON


M.R.C. Kasasian è cresciuto nel Lancashire e prima di diventare uno scrittore ha fatto molti lavori diversi. Vive con la moglie fra il Suffolk e Malta e di lui non si sa molto altro, a parte che finora ha scritto quattro libri con due protagonisti decisamente fuori dal comune. Ambientati nella Londra fosca e cupa di fine Ottocento, i suoi gialli ruotano attorno al 125 di Gower Street, dove vive Sidney Grice, “detective personale”, come ama definirsi, insieme a March Middleton, di cui è tutore legale. Nobile, eccentrico, cinico, esigente, estremamente tirchio e pignolo fino all’esasperazione, Grice è stato definito il “nuovo Sherlock Holmes” ma a parte il fatto che sono entrambi “very british” non c’è altro che li accomuna. Insieme a Grice troviamo March Middleton, giovane dama inglese, rimasta orfana e presa dal detective sotto la sua ala protettrice. Intelligente, curiosa, ribelle, March non è proprio capace di rimanere davanti al focolare a ricamare né di frequentare gli ambienti nobili londinesi, anzi! Lei ambisce a diventare la prima detective donna di Londra! E il suo tutore, suo malgrado, si rende conto che March è davvero acuta e spesso trova in lei una preziosa aiutante per le sue indagini. Mentre Sidney Grice beve tè e si dedica alla lettura di libri che trattano di argomenti impossibili, la sua figlioccia si rifugia nella sua camera a fumare una sigaretta, sorseggiando sherry e leggendo romanzi...entrambi in attesa del prossimo cliente!
Ho letto i libri di Kasasian per pura curiosità: essendo una grande ammiratrice del grande Sherlock Holmes volevo capire se davvero Grice poteva essergli paragonato. E direi proprio di no! Ammetto che i due inquilini di Gower Street mi sono simpatici e i libri scorrono bene, anche se Kasasian non è un giallista classico, tutt’altro. Sidney Grice riesce a catturare l’attenzione del lettore, però, ha un problema molto serio (almeno per me!): mangia poco e male! Un po’ per la sua profonda avarizia, un po’ per la sua tendenza a non lasciarsi andare agli stravizi, infatti, fa preparare dalla sua cuoca solo verdure bollite e brodi! Tant’è che ho pensato potesse cascare a fagiolo parlarne proprio il mercoledì della Settimana Santa, durante la quale si osservano digiuno e sobrietà! Spero non siate delusi, quindi, se stasera vi ho parlato semplicemente di un autore poco conosciuto e dei suoi protagonisti che poco hanno a che fare con i gourmet incontrati finora e che non ci siate rimasti male se non ho condiviso una ricetta degna di tale nome…il punto è che non me la sentivo di proporre qualcosa di gustoso in questi giorni…dovrete pazientare e attendere la prossima settimana. Beh! Comunque resta inteso che le verdure fanno sempre e comunque molto bene…basta cucinarle con fantasia, seguire le giuste stagionalità e non farle sempre bollite, mi raccomando, altrimenti più che di gusto del delitto si arriva a parlare di omicidio del gusto! Allora buona serata e alla prossima settimana con un nuovo autore ed una nuova ricetta!

21/03/2018

A TAVOLA CON CAMILLERI E MONTALBANO



Dire qualcosa di Andrea Camilleri e del suo commissario Montalbano che non sia già stato detto non è facile se non addirittura impossibile…ma né l’uno né l’altro potrebbero mancare nel mio blog, anzi! Da tempo voglio parlare di loro ed eccomi finalmente ad affrontare questi due “giganti” siciliani doc. Anzitutto lo scrittore, anche se è un po’ riduttivo definirlo solo così. Andrea Calogero Camilleri (Porto Empedocle 1925), infatti, oltre che scrittore è anche sceneggiatore, regista drammaturgo e docente di regia all'Accademia nazionale d'arte drammatica. La sua vita è stata caratterizzata dal successo in tutto ciò che ha fatto, diretto, scritto e la sua fama l’ha fatto conoscere in tutto il mondo, in particolare grazie ai libri che hanno come protagonista il commissario Montalbano,
appunto. Vi ho già detto che il suo nome è stato un omaggio di Camilleri all’amico Vazquez-Montalban e anche i personaggi dei due scrittori, Montalbano e Carvalho, hanno qualcosa in comune. Come Pepe, infatti, Salvo Montalbano (classe 1950) ama la buona cucina e le buone letture, ha modi piuttosto sbrigativi e non convenzionali nel risolvere i casi e, accanto al profondo senso del dovere e della giustizia, non mancano una serie di abitudini e vizi che lo contraddistinguono. Il nostro commissario lavora a Vigata, in provincia di Montelusa, e vive a Marinella, in una villetta sul mare (tutti nomi inventati ma che rimandano a Porto Empedocle ed Agrigento nei libri e alla provincia di Ragusa nei film). È circondato da altri personaggi, non sempre secondari, che sono come la sua famiglia. Il suo vice Mimì Augello, ex sciupafemmine ora accasato; Fazio, ispettore, ottimo collaboratore e incredibile segugio; Catarella, poliziotto imbranato e casinista che però si rivela un mago al computer; il dottor Pasquano, anatomopatologo che non sopporta le insistenze di Montalbano per avere subito i rilievi autoptici (ma cede davanti a cannoli e cassate!); Adelina, cameriera e cuoca che si occupa della casa del commissario e che spesso gli lascia in frigorifero o in forno la cena, ed infine Livia, l’eterna fidanzata che vive e lavora a Genova e che spesso raggiunge Salvo in Sicilia, o si fa raggiungere in Liguria, senza però riuscire a distoglierlo dal lavoro. Tutti questi personaggi si muovono insieme a Montalbano e ciascuno contribuisce a rendere i libri di Camilleri così originali e quasi “familiari”. Ogni libro, infatti, affronta un’indagine diversa ma, pagina dopo pagina, il lettore si ritrova insieme a questo gruppo e si sente come accolto da loro, accompagnato nella loro Sicilia, fatta di tradizioni, di legami, di persone e di luoghi, di parole e di sentimenti, di ricerca della giustizia e di silente omertà…E chi apprezza o ha apprezzato i libri di Montalbano, ritrova tutto questo nei film televisivi che continuano ad ottenere un grande successo. Sia nei libri, sia nei film, come già vi dicevo, Salvo Montalbano è un grande amante della buona tavola. A pranzo si lascia viziare dai manicaretti del ristorante “San Calogero” prima e “Da Enzo” poi, dove gusta il piatto del giorno a base di pesce fresco, in religioso silenzio. Per lui, infatti, mangiare è importante e non si deve mischiare il cibo con il lavoro. A cena, invece, il più delle volte benedice la brava Adelina che gli lascia una delle sue specialità pronte da scaldare. Quando, raramente, questo non accade Montalbano non dispera e si arrangia mangiando del caciocavallo con delle olive nere. Il nostro commissario, quindi, si può annoverare fra i detective gourmet più conosciuti e apprezzati. Non sa cucinare ma adora mangiare e mangiare bene. Per la ricetta di stasera avevo solo l’imbarazzo della scelta…e alla fine ho deciso di proporvi la classicissima “pasta alla Norma”, così chiamata in onore del grande compositore Bellini, che Montalbano apprezza nel libro “Il ladro di merendine”. La ricetta che segue è presa direttamente dalle ricette di Camilleri e vorrei dedicarla alla mia amica e collega Rita, siciliana doc e grande estimatrice di Montalbano.

Pasta alla Norma (pasta 'a Norma)

Ingredienti (non è specificato per quante persone…dipende dalla vostra fame!)  500 gr. di maccheroncini, 1 kg. di pomodori maturi, 1 cipolla, 4 melenzane, 100 gr. di ricotta salata, basilico abbondante, olio e sale. 
Friggete le melenzane tagliate a tocchetti, dopo averle lasciate in acqua salata per circa un'ora. Spellate i pomodori, tagliateli a pezzetti e soffriggeteli in un tegame, con la cipolla affettata. Salate e lasciate cuocere fin quando la salsa non si sarà addensata. Lessate i maccheroncini, scolateli al dente e conditeli con la salsa di pomodoro, le melenzane fritte e la ricotta salata grattugiata. Mescolate il tutto e guarnite con foglie di basilico. Buon appetito e mi raccomando: gustatela in religioso silenzio come fa il commissario Montalbano, accompagnata solo da un buon bicchiere di vino siciliano!

14/03/2018

LE RICETTE DI PEPE CARVALHO

Manuel Vázquez Montalbán (Barcellona 1939 – Bangkok 2003) è stato uno scrittore, saggista, giornalista, poeta e gastronomo spagnolo. Militante della resistenza antifranchista, motivo per il quel passò tre anni in carcere, fu un apprezzato giornalista e scrisse per le principali testate spagnole. Scrisse diversi saggi di natura politica, raccolte di poesie, libri sulla gastronomia, sua grande passione, e libri polizieschi. Questi ultimi, con protagonista l’investigatore privato Pepe Carvalho, gli diedero fama internazionale a partire dai primi anni Settanta e fino alla sua morte, avvenuta per infarto all’aeroporto di Bangkok. Carvalho è una figura del tutto singolare nel panorama della letteratura gialla e poliziesca e in Spagna è stato anche protagonista di film e serie tv. La sua biografia ha molto in comune con quella dello stesso Vazquez Montalban, a partire dalla data di nascita fino all’esperienza in carcere e alla militanza politica. Burbero, cinico, libertino…ma soprattutto amante della buona cucina e del vino, cuoco e gourmet. Si potrebbe aggiungere molto altro ma il mio consiglio è quello di leggere le pagine riempite delle sue avventure. Una delle sue frasi preferite recita “Bisogna bere per ricordare e mangiare per dimenticare”. E lui non si tira certo indietro, anzi! Pepe Carvalho segue le sue indagini fermandosi solo per mangiare. Si concede pranzi e cene abbondanti, rigorosamente accompagnati da un vino adeguato e si sofferma a parlare con i gestori dei locali per chiedere o dare indicazioni circa questo o quel piatto. Circondato da diversi personaggi, solo apparentemente secondari, Carvalho è molto esigente a tavola. Il suo segretario tuttofare, nonché cuoco, Biscuter è sempre alla ricerca degli ingredienti più insoliti per creare delle prelibatezze per il suo capo, al quale sottopone le sue creazioni nella speranza di ricevere approvazione e complimenti. E Fuster, commercialista e suo vicino di casa, intenditore di cibi raffinati si trova spesso a cena con lui, a gustare e a disquisire su quanto viene servito. Dal suo ufficio sulle Ramblas Pepe Carvalho ci porta spesso in giro per la sua città, Barcellona, e per il suo paese. E molte volte queste sue uscite diventano vere e propri tour enogastronomici! La passione per la cucina di Vazquez Montalban e del suo Carvalho è talmente grande che ha scritto diversi libri sull’argomento. Fra questi i più famosi sono “Ricette immorali”, in cui associa la cucina e il sesso, e “Le ricette di Pepe Carvalho”, una raccolta di 120 ricette del più famoso detective-gourmet di Spagna, dalle più semplici alle più complesse, accompagnate dalle citazioni dei libri in cui vengono descritte. Ed è proprio da quest’ultimo libro che ho scelto un dessert semplice e buonissimo, che ricorda quanto siano importanti le materie prime per rendere speciale anche la preparazione più banale. Compare nel romanzo “La solitudine del manager”, quando al termine di un pasto pantagruelico, Carvalho ordina “mel i matò” …ed ecco la ricetta, direttamente dalle pagine di Vazquez Montalban!

                                                         MEL I MATO’ (Miele e ricotta)
80-100 gr di ricotta fresca – miele – mandorle (o altra frutta secca a piacere)

Si taglia la forma di ricotta a fette di un centimetro e si dispongono su un piatto. Su di esse si versa il miele, che le deve coprire ma non eccessivamente. Si guarnisce con mandorle, noci o altra frutta secca.  Assaporatelo pian piano, magari sorseggiando un liquore alla frutta, e con un libro di Pepe Carvalho: sono certa che apprezzerete ancora di più la sua dolcezza! Dimenticavo! Una piccola curiosità: lo sapevate che il grande Andrea Camilleri ha chiamato il suo commissario Montalbano per rendere omaggio a Vazquez Montalban?! Beh! Sicuramente hanno in comune anche il grande appetito!




07/03/2018

DUCA LAMBERTI E LA "SUA" MILANO


Giorgio Scerbanenco (Kiev 1911 – Milano 1969), nato Volodymyr-Džordžo Ščerbanenko da padre ucraino e madre italiana, è stato scrittore e giornalista. Rimasto orfano a 16 anni, appassionato di scrittura, per problemi economici non riuscì a terminare gli studi e cercò di mantenersi facendo molti mestieri, prima di entrare nel mondo dell’editoria. Negli anni Trenta lavorò come redattore e capo redattore rispettivamente in Rizzoli e in Mondadori, collaborò con diverse testate giornalistiche e, dopo la guerra, tornò alla Rizzoli come direttore di periodici femminili.  Fu uno scrittore prolifico, capace di spaziare in ogni genere della narrativa con ottimi risultati. Fu con i gialli, però, che raggiunse la fama fino ad essere considerato da molti “esperti del settore” uno dei grandi maestri dei giallisti italiani, in particolare degli anni Settanta. Alla sua memoria è dedicato il più importante premio italiano per la letteratura poliziesca e noir: il premio Scerbanenco. Si riteneva a tutti gli effetti italiano e soffriva molto quando veniva considerato “straniero” in quella che considerava la sua patria. Visse gli ultimi anni a Lignano Sabbiadoro ma fu sepolto nel Cimitero Maggiore di Milano, città che amava e nella quale ambientò diversi gialli, in particolare quelli con protagonista Duca Lamberti. Medico radiato dall’albo per aver
aiutato un’anziana paziente terminale a morire serenamente, Lamberti, figlio di un poliziotto, si ritrova ad aiutare le forze dell’ordine in un’indagine molto delicata. La sua intelligenza, la capacità di ascoltare e capire la natura delle persone, il suo profondo senso del dovere e della giustizia e la sua tenacia, lo rendono un ottimo investigatore e, grazie ad un altro poliziotto grande amico del defunto padre, entra in Polizia. Le sue indagini si snodano fra le vie di una Milano degli anni Sessanta grigia ma sempre in movimento, laboriosa, popolata di persone perbene che vivono a stretto contatto con i malviventi, sfruttatori e sfruttati, industriali e operai, milanesi “doc” e meridionali…tutti insieme formano un insieme che Lamberti osserva curioso. Si rilassa e si concentra camminando per le vie di Milano, in particolare la mattina presto o la sera tardi, quando ancora c’è poca gente in giro e il caos del quotidiano non ha ancora invaso la città. E spesso sente forte la sua impotenza e la sua rabbia davanti alla cattiveria umana, che arriva a livelli impensabili e lascia una tristezza infinita, un amaro che permane in bocca... Non ho ancora letto tutti i suoi libri ma credo che Scerbanenco sia stato davvero un grande scrittore. Ritengo che uno dei suoi noir più “amaro” sia “I milanesi ammazzano al sabato”, in cui Lamberti sembra frugare in tutti gli angoli più bui di Milano, fino a trovare la soluzione al caso che, però, arriva come un pugno nello stomaco. Non c’è spazio per la cucina vera e propria negli scritti di Scerbanenco ma ho voluto omaggiare lui, Duca Lamberti e, soprattutto, Milano, che è anche la mia città, preparando il piatto milanese per eccellenza: il risotto giallo. La ricetta che vi propongo (e che ho seguito alla lettera) è quella ufficiale, depositata presso il Comune di Milano.  
RISOTTO ALLA MILANESE (o allo zafferano o giallo)
Ingredienti per 6 persone: 30 g di midollo di manzo o di bue tritato - 2-3 l di brodo bollente ristretto (non deve essere “di dado”!) - Due cucchiai di grasso d’arrosto di manzo chiaro e scuro (se manca aumentare il midollo fino a 60 g) - Una piccola cipolla tritata finemente - Un ciuffo di pistilli di zafferano o una bustina di zafferano – Sale - (Abbondante) Grana Padano grattugiato - 50 g di burro

Mettere in una casseruola il midollo, il burro, eventualmente il grasso d’arrosto, e la cipolla. Cuocere a fiamma bassa finché la cipolla non avrà preso un colore dorato. Aggiungere il riso e rimescolarlo bene perché possa assorbire il condimento. A questo punto alzare la fiamma e iniziare a versare sul riso il brodo bollente a mestoli, continuando a rimestare regolarmente con un cucchiaio di legno. Man mano che il brodo evapora e viene assorbito, continuare a cuocere sempre a fuoco vivo e aggiungendo man mano altro brodo a mestolate fino a cottura ultimata, facendo attenzione che il riso resti al dente (cottura da 14 a 18 minuti approssimativamente, a seconda della qualità di riso utilizzato). Arrivati a due terzi di cottura, aggiungere i pistilli di zafferano preventivamente sciolti nel brodo: se però si usa zafferano in polvere, è necessario aggiungerlo a fine cottura per non perderne il profumo. A cottura ultimata aggiungere il burro e il grana padano e lasciar mantecare per qualche minuto. Aggiustare di sale. Il risotto deve essere piuttosto liquido (“all’onda”), con i chicchi ben divisi, ma legati fra loro da un insieme cremoso. Importante è non aggiungere mai del vino, che ucciderebbe il profumo dello zafferano! Vi confesso che adoro il risotto alla milanese e lo considero uno dei miei piatti preferiti. Quando ero ragazzina mia nonna lo faceva completo, cioè accompagnato da un ossobuco “in gremolada” (misto di aglio, prezzemolo e buccia di limone) ed era subito festa! L’ho assaggiato anche in alcuni ristoranti e trattorie che si definiscono milanesi ma il sapore che aveva quello della nonna Giulia non l’ho mai ritrovato. Vorrà dire che prima o poi mi cimenterò nella ricetta completa, con l'ossobuco, almeno per provare a ricreare quei sapori, quei profumi, quei colori…poi vi dirò se ci sono riuscita. Nel frattempo vi consiglio di farvi un bel risotto all’onda: con questo freddo sarà come avere il sole nel piatto!