21/09/2022

NERO CARAVAGGIO – La prima indagine del libraio Ettore Misericordia

Max e Francesco Morini sono fratelli, autori teatrali e televisivi, e dirigono da circa dieci anni l’Accademia del Comico di Roma. Entrambi amano i romanzi polizieschi e Roma, la loro città, e così, qualche anno fa, hanno deciso di scrivere dei romanzi, che spiccano nel panorama della letteratura gialla italiana per l’ironia e per l’originalità. Loro stessi, in un’intervista, hanno detto “…ii nostri gialli (non sono thriller, attenzione!) sono un nostro personale omaggio alla grande narrativa giallistica anglo-americana classica dell’inizio del Novecento: Conan Doyle, Agata Christie, Chesterton, Van Dine, Ellery Queen, Rex Stout. I loro detectives immortali, a cominciare dal più famoso di tutti, Sherlock Holmes, non solo hanno straordinarie doti deduttive ma anche una cultura enciclopedica, di cui si servono per risolvere anche i casi più complessi. Proprio come il nostro Ettore Misericordia, Sherlock Holmes romano del ventunesimo secolo...” I loro libri sono ambientati ai giorni nostri e riportano continui riferimenti alla storia, in particolare alla storia dell’arte. Il loro personaggio è unico e per presentarvelo voglio utilizzare le parole del narratore (di cui vi parlerò fra poco): “Ettore aveva quarant’anni, era magro, con un naso prepotente a farla da protagonista su un viso perennemente pallido, quel classico pallore di chi sta sempre chino sui libri…le donne subivano il suo fascino e gli cadevano ai piedi…gli occhi scuri erano belli, acuti, penetranti, i capelli arruffati biondo cenere e a completare il quadro i basettoni lunghi…alto e dinoccolato…somigliava a uno chansonnier francese…e poi era un pozzo di scienze…”. Aveva ereditato la libreria dal padre, “il Sor Aldo, romano DOC da sette generazioni come vuole la tradizione, che aveva gestito il negozio dal dopoguerra finché era rimasto in vita. Poi era toccato a Ettore”. La libreria dei Misericordia è una sorta di monumento cittadino, 
specializzata in tutto ciò che riguarda Roma, dalla storia agli aneddoti, dalle tradizioni alla miriade di opere d’arte di tutti i tipi e di tutti i periodi…qualsiasi informazione o curiosità si stia cercando, qui si troverà di sicuro. E a districarsi in mezzo a tutti i libri, c’è Ettore, autodidatta dalla cultura immensa, che conosce tutti i segreti della città eterna come nessun altro. Completamente dedito alla lettura, è appassionato di romanzi gialli e investigatore dilettante. I suoi due creatori lo paragonano ad un moderno Sherlock Holmes, giustamente, e le sue affinità con il famoso personaggio di Conan Doyle sono davvero numerose. E come Holmes anche Misericordia ha il “suo” Watson, il suo assistente Fango, unico impiegato della libreria, chiamato così da talmente tanto tempo che nessuno ne ricorda il vero nome! “Fango vive all’ombra di Misericordia accettando serenamente il suo ruolo di “assistente”, lasciandosi spesso travolgere dall’esuberanza del suo Capo; nutre un sentimento di sincera ammirazione per Ettore, rimanendo sempre stupito dalle sue soluzioni investigative…” Fango è l’io narrante dei libri finora scritti, che sono: “Nero Caravaggio” (2016), “Rosso barocco (2018), “Il giallo di Ponte Sisto” (2019), “Il mistero della casa delle civette” (2020) e “Mozart deve morire” (2021). Non si sa molto di lui, appunto perché “parla” più che altro degli altri, ma è certo che condivide le passioni del suo capo, in particolare ama Roma e tutto ciò che la riguarda, ed è fiero di poter svolgere un lavoro così bello che gli permette di immergersi nella cultura. Oltre ai due protagonisti principali, troviamo l’ispettore Ceratti della Squadra Omicidi “sessant’anni, un cristone di un metro e novanta e passa, occhi azzurro ghiaccio, temperamento collerico, toni e modi secchi e sbrigativi...sotto la scorza dura c’era un animo sensibile, romantico, quasi ottocentesco. Come i suoi baffi vagamente asburgici…un milanese che amava Roma…e che da lei era stato rapito e adottato…” Ceratti conosce bene le incredibili capacità di Misericordia, ne apprezza l’acume e la cultura e lo coinvolge nelle sue indagini, anche se apparentemente controvoglia, perché sa che con il suo aiuto la soluzione non tarderà ad arrivare. E insieme a Ceratti troviamo l’agente Antonio Cammarata, trentenne di Benevento, diametralmente opposto al suo capo, con l’abitudine di parlare troppo! Infine…la protagonista per eccellenza che ora si trova sullo sfondo, ora è chiamata a mostrarsi in tutto il suo splendore, nei vari quartieri, nelle vie, nelle chiese…Roma, sempre presente in tutte le pagine scritte dai fratelli Morini. Chi non la conosce sentirà il desiderio di visitarla e chi già crede di conoscerla…beh! Si ricrederà! Io per ora, come d’abitudine, ho letto il primo libro della serie “Nero Caravaggio” (e spero di riuscire a leggere anche gli altri, appena possibile!). È un romanzo che si legge tutto d’un fiato, perché è coinvolgente, ironico, pieno di citazioni, di piccoli siparietti fra i vari personaggi, di colpi di scena…lo stile narrativo è scorrevole, piacevole e leggero. La trama è semplice...o almeno così sembra. Il corpo senza vita di un rispettabile imprenditore viene trovato nella Basilica di Sant’Agostino, davanti alla “Madonna dei Pellegrini”, uno dei capolavori del
Caravaggio. L’ispettore Ceratti, incaricato delle indagini, capisce subito che il caso non è facile e chiama il suo amico libraio. Misericordia accorre, insieme a Fango, e intuisce immediatamente che la soluzione è nascosta nella travagliata storia di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, e nelle sue opere. Inizia a seguire varie piste, ad affiancare Ceratti durante gli interrogatori dei diversi sospettati, e così, poco alla volta, la matassa si dipana e… Stop! Mi fermo qui. Se volete saperne di più vi consiglio di leggere il libro! Per quanto riguarda il gusto, invece, cosa posso dire? Non se ne parla esplicitamente ma è certo che Ettore e Fango mangiano bene. Basti pensare che i nostri due investigatori dilettanti vivono a Roma, la amano e la conoscono e di conseguenza sanno bene dove trovare una trattoria in cui gustare uno dei tanti, tantissimi piatti tipici della cucina della capitale. E quindi ho deciso di scegliere uno degli emblemi di Roma, uno dei piatti più conosciuti e più mangiati: i bucatini all’amatriciana! Ovviamente nella versione classica, anzi, l’unica e la sola, come direbbe un qualsiasi romano…prepararla non è difficile, l’importante è utilizzare gli ingredienti giusti: guanciale e pecorino…mi raccomando…altrimenti sarebbe un vero delitto del gusto!!! Eccovi, quindi, la ricetta: se non l’avete ancora fatta provatela!

BUCATINI AL’AMATRICIANA

Ingredienti per 4 persone: 320 gr di bucatini - 300 gr di pomodori pelati (in stagione 4-5 pomodori rossi maturi) - 120 gr di guanciale stagionato (tagliato possibilmente a fette spesse) - 50 gr circa di pecorino grattugiato - 1 peperoncino - 1/2 bicchiere di vino bianco secco e acidulo - olio evo – sale - pepe

Se utilizzate i pomodori freschi, per prima cosa sbollentateli per pochi istanti in acqua bollente salata, scolateli e raffreddateli sotto l’acqua corrente. Dopo averli pelati, eliminate i semi e tagliateli a filetti. In una padella (preferibilmente di ferro) scaldate l’olio e aggiungete il guanciale tagliato a listarelle lunghe circa un paio di centimetri. Quando avrà iniziato a fondere, unite il peperoncino. Rosolate il guanciale fino a quando avrà preso colore, quindi sfumate con il vino bianco. Lasciate evaporare, scolate il guanciale e tenetelo da parte al caldo. Nella stessa padella mettete i pomodori pelati schiacciati (oppure quelli freschi precedentemente preparati), regolate di sale e cuocete per il tempo di cottura della pasta, che nel frattempo avrete buttato all'interno di una casseruola con acqua bollente salata. Quando sarà quasi giunta a cottura unite il guanciale al condimento ed eliminate il peperoncino. Scolate la pasta al dente e trasferitela nella padella con il sugo. Fuori dal fuoco aggiungete il pecorino grattugiato e regolate di pepe a piacere. Mescolate bene e servite subito, completando la vostra pasta all'amatriciana con altro pecorino. Accompagnate i bucatini con un bicchiere di buon vino e una buona compagnia!! Buon appetito e alla prossima!


14/09/2022

IL METODO DEL COCCODRILLO: LOJACONO PRIMA DI PIZZOFALCONE

Vi ho già parlato di Maurizio De Giovanni, creatore di diversi personaggi, in particolare dei mitici Bastardi di Pizzofalcone (vedi post del 4/03/2020)…ma non vi ho detto che c’è un romanzo che si può considerare il preludio della serie, portata anche sul piccolo schermo. Si tratta de “Il metodo del coccodrillo”, uscito nel 2012, in cui De Giovanni ci presenta il commissario Giuseppe Lojacono, appena trasferito a Napoli dalla Sicilia, per “punizione”. Un collaboratore di giustizia, infatti, lo ha accusato di passare informazioni alla mafia e lui, stimato segugio della squadra mobile di Agrigento, ha perso tutto, dall'affetto della moglie e della figlia fino al rispetto di colleghi e amici. Sta combattendo, anche se a distanza, per riabilitare il suo nome e per riallacciare i rapporti con la figlia Marinella, che sua moglie gli impedisce di vedere e sentire. E questa per lui è la sofferenza più grande. Immediatamente dopo c’è la rabbia di non essere rispettato e considerato per quello che è: un poliziotto che vorrebbe solo svolgere il suo lavoro. Si ritrova in una città, Napoli, qui presentata come scura, tetra,
avvolta nell’indifferenza, dove non conosce nessuno e dove nessuno conosce lui. E nel commissariato di San Gaetano, in cui è considerato pari a zero, Lojacono si sente come all’inferno. Non gli vengono affidati incarichi, non segue nessuna inchiesta e viene assegnato all’Ufficio denunce, dove dovrebbe lavorare con il sovrintendente Giuffrè. Dovrebbe…sì…perché in realtà l’unico che prende le poche (e colorite!) denunce è proprio il ciarliero Giuffrè, che non riesce proprio a capire quel suo nuovo collega, così ombroso e taciturno, sempre seduto davanti al PC, con la testa chissà dove. Finché un giorno, anzi una notte, durante uno dei turni che nessuno vuole e che lui, invece, accetta volentieri per poter stare da solo, Lojacono deve uscire per rispondere ad una chiamata. Si tratta di omicidio. La vittima è un ragazzo di appena sedici anni e la disperazione della madre lo colpisce come un pugno nello stomaco, soprattutto gli fa sentire ancora di più la mancanza di Marinella, che ha la stessa età dell’adolescente riverso a terra, ucciso con un colpo di pistola alla nuca. Lojacono arriva sulla scena del crimine, osserva, registra ogni piccolo particolare, sul campo emerge il suo essere commissario, abituato a guardare ogni cosa con occhi indagatori, apparentemente freddi e vigili, ad andare oltre le apparenze per cercare di entrare nella mente dell’assassino. Ma la sua presenza non è gradita. Non appena giunge sulla scena, Di Vincenzo, il suo nuovo capo, gli ordina di tornare in ufficio a scaldare la sedia, a chiudere di nuovo gli occhi, perché lui è un infame, un traditore e non è gradito. Lojacono obbedisce però prima dice la sua, esprime un suo pensiero, esterna un’intuizione…Ovviamente viene ignorato da tutti ma non dalla giovane ed affascinante Laura Piras, magistrato che si occupa delle indagini e che, nonostante i malumori degli altri poliziotti, lo coinvolgerà quando la scia di morte continuerà e le piste da seguire sembreranno dei vicoli ciechi. La Piras è la prima a capire l’arguzia e le capacità del commissario siciliano, la prima ad ignorare le motivazioni che l’hanno portato a Napoli e a credere in lui, la prima che lo guarderà negli occhi per confrontarsi con lui e per farsi aiutare in quella che diventerà una tremenda caccia all’uomo. Un uomo che i media hanno
ribattezzato “il coccodrillo”, perché pare che pianga, prima o dopo gli omicidi, un uomo che sa attendere il momento giusto per agire, un uomo che colpisce di notte e poi sembra dileguarsi nel nulla, un uomo che porta in sé una profonda sofferenza. Lojacono è l’unico che riesce a capire le sue motivazioni perché, del resto, anche lui è un uomo che convive con una profonda sofferenza. E questa sua capacità di empatia lo porterà a risolvere il caso, anche se la vittoria avrà un sapore amaro e non servirà a riportare in vita le vittime innocenti che il coccodrillo ha seminato lungo il suo cammino. Ho letto questo libro in due giorni, perché non riuscivo a smettere, dovevo assolutamente andare avanti e arrivare alla fine, all’epilogo. Che, non ve lo nascondo, è proprio amaro! Ciò nonostante, come tutti i libri di De Giovanni, anche questo mi ha coinvolto fin dalle prime pagine e mi ha trasportato in una Napoli un po’ “diversa” rispetto alla città solare e avvolgente descritta in altri libri. Del resto per raccontare il dramma dell’assassino e per presentare Lojacono, De Giovanni non poteva fare altrimenti. “Il metodo del coccodrillo” andrebbe proprio letto prima di leggere gli altri romanzi dedicati ai Bastardi di Pizzofalcone, soprattutto perché getta una luce diversa proprio su Giuseppe Lojacono. Ho voluto leggerlo per questo motivo e vi consiglio di fare altrettanto. Per quanto riguarda il gusto…beh! Come già tutti sapete, gli unici pasti degni di tale nome che si concede Lojacono sono le cene al ristorante di Letizia, che si è perdutamente innamorata di “Peppuccio” (come lo chiama lei) fin dal primo momento in cui si è seduto al “suo” tavolo. Da quel momento gli ha sempre tenuto quel posto, dove lo raggiunge prima della chiusura, per fare due chiacchiere con quell’uomo così misterioso ed affascinante. Ahimè! Le prelibatezze di Letizia non vanno proprio d’accordo con il caldo che ci sta distruggendo da mesi e sapete tutti, ormai, che non mi metto ai fornelli se le temperature non scendono seriamente (e per me seriamente significa sotto i 20 gradi!). Quindi, anziché leggere il libro preparando un ragù o un gattò di patate, ho scelto di godermelo
gustando un classico dei classici estivi: prosciutto e melone. Lo so, sembra banale…ma non lo è! Inoltre, per rendere omaggio a Napoli, ho deciso di esagerare e ho aggiunto anche una mozzarellina di bufala rigorosamente campana! So bene di avervi abituato a ricette e piatti ben diversi ma per ora dovrete accontentarvi. E voglio darvi un piccolo suggerimento: anche quando preparate un piatto “base” per il quale non dovete nemmeno cucinare, come quello che vi propongo stasera, non limitatevi a mettere in tavola tutti gli ingredienti…presentateli sempre con cura e un po’ di allegria, in modo che anche l’occhio abbia la sua parte e goda insieme agli altri sensi di quanto state per mangiare. Così facendo anche un semplice melone con prosciutto e una mozzarella, possono diventare una festa per occhi, naso, palato e stomaco! Buona lettura e buon appetito a tutti! Vi aspetto alla prossima.