24/04/2019

KATY REICHS E TEMPERANCE BRENNAN ALLE PRESE CON LE OSSA!


Kathleen Joan Kathy Reichs (Chicago, 7 luglio 1948) è una docente, antropologa forense statunitense e autrice di romanzi di genere thriller medico. Sposatasi giovanissima con Paul Riches, procuratore e comandante dei Marines; ha avuto tre figli e ha saputo conciliare egregiamente il difficile “mestiere” di mamma con tutte le altre ed impegnative attività. Docente in diverse prestigiose università statunitensi, al fine di perfezionare la sua conoscenza del francese, tra il 1989 e il 1990 si è trasferita a Montreal per studiare presso l'Università McGill e l'Università Concordia, ed è diventata l'unica antropologa forense con una certificazione in lingua francese in tutto il Nord America. Nel 1999 è stata consulente per il Tribunale penale internazionale per il genocidio ruandese e ha lavorato come antropologa forense con il National Disaster Medical System in diverse occasioni, in particolare dopo l’11 settembre 2001, contribuendo all’identificazione delle vittime degli attacchi. Continua a spostarsi in tutti gli States ed in Canada, per insegnamento, consulenze e conferenze e dirige i due uffici di Charlotte e di Montreal. A tutto ciò ha aggiunto la
sua attività di scrittrice, che l’ha portata ad avere molto successo ed a vincere diversi riconoscimenti. Beh! Durante una delle tante interviste ha ammesso che spesso ha avuto difficoltà a gestire tutte le sue diverse e brillanti carriere…quindi possiamo affermare che anche lei è umana! Quando all’inizio degli Anni Novanta Katy Reichs inizia a scrivere, ispirata dal successo di Patricia Cornwell e della sua Kay Scarpetta, non ha subito successo. Questo, però, non la scoraggia e nel 1997 pubblica “Corpi freddi” (“Déjà dead”) che diventa immediatamente un best seller negli Stati Uniti, in Canada ed in Gran Bretagna. Il successo poi dilaga e ben presto i suoi libri vengono tradotti in 22 lingue. La protagonista dei suoi medical thriller, Temperance Brennan (Tempe per gli amici), non poteva che essere un’antropologa forense molto simile a lei. Nei suoi romanzi la Reichs ha usato il “suo linguaggio”, quello tecnico, legato alle sue attività ed alle sue esperienze e, come da lei stessa affermato, attraverso la dottoressa Brennan è riuscita ad esprimere le emozioni ed i sentimenti provati durante il suo operato. Molti dei suoi romanzi si ispirano a casi reali ai quali l’autrice ha lavorato e in essi sono presenti lunghi passaggi in cui vengono descritti fatti di antropologia forense, che sembrano quasi provenire da un libro di testo, e che rivelano il suo intento di far conoscere ai lettori una materia solitamente ostica. Il messaggio che viene spesso trasmesso nei libri di Kathy Reichs è che la violenza non deve mai essere accettata, perché ferisce sia il corpo delle vittime che l'anima di chi si è reso responsabile delle violenze. La dottoressa Temperance Brennan, pur ostentando un atteggiamento freddo e razionale, non riesce a rimanere completamente “distaccata” durante il suo lavoro e la sua umanità, la sua curiosità, la sua sete di conoscenza e di giustizia, la portano a spingersi sempre oltre le quattro mura del suo laboratorio. Ha una cultura incredibile e si
documenta sempre a fondo su tutto ciò che può aiutarla a risolvere un caso. Anche lei si divide fra il Canada, dove collabora con la polizia ed in particolare con il tenente Andrew Ryan, e la Carolina del Nord. La narrazione è in prima persona: è Tempe che racconta i fatti e questo, secondo me, coinvolge ancora di più il lettore. Dai libri è stata tratta una serie televisiva, “Bones”, per la quale la Reichs ha fatto da consulente e nella quale è apparsa in un cameo. Anche la versione televisiva, in cui Temperance è interpretata da Emily Deschanel, ha avuto e continua ad avere successo, nonostante alcune immagini siano un po’ “crude” e quindi non adatte a tutti i telespettatori. Io ho letto diversi libri e mi sono piaciuti davvero tanto…ma non ho mai visto la serie TV perché a casa abbiamo un solo televisore e io sono l’unica che apprezza il genere (!), quindi non posso esprimermi a riguardo…almeno per ora! Come in tanti altri romanzi, i protagonisti si fermano poco a tavola e preferiscono spesso mangiare qualcosa al volo, durante le indagini: sandwich, pizza, hamburger, take away etnici…i soliti “cliché” già trovati in altri libri. Tempe, però, ama anche la cucina francese e, soprattutto, cerca di mangiare qualcosa di buono e sano. E allora questa sera vorrei proporvi una ricetta estremamente semplice, molto salutare e davvero gustosa. Visto che abbiamo conosciuto un’antropologa che analizza ossa tutti i giorni, ho deciso di optare per un piatto a base di verdura ma per niente banale…e quindi ecco a voi la RATATOUILLE!


La ricetta di umili origini nasce in Provenza, dai contadini che in estate raccoglievano i prodotti
dell’orto per stufarli e preparare la “ratatouille” il cui nome deriva probabilmente dall’occitano
“ratatolha”, simile al francese “touiller” che significa “rimestare”. Oggi la ratatouille è un sostanzioso contorno ricco di vitamine che si sposa bene con pietanze di carne o pesce. Per prepararne una da servire a 4 persone saranno necessarie due zucchine, una patata, un peperone, una melanzana, uno spicchio d’aglio, una cipolla, erbe aromatiche ed olio extravergine d’oliva. Molte versioni aggiungono anche uno o due pomodori. Dopo averle lavate e mondate, tutte le verdure devono essere tagliate a cubetti, il più possibile uguali (non tanto per un discorso di precisione o di estetica, quanto per una migliore gestione della cottura). In un tegame preparate un soffritto con olio, aglio e cipolla. Quando quest’ultima è appassita, aggiungete le patate, fatele saltare per 5/10 minuti e poi aggiungete uno alla volta gli altri ingredienti, in base ai tempi di cottura necessari. Quindi prima il peperone, poi la melanzana ed infine le zucchine. Cuocete a fuoco medio con il coperchio. Verso la fine della cottura si aggiungono i pomodori a cubetti, si regola di sale ed eventualmente si possono mettere delle erbe aromatiche o del semplice basilico. Ovviamente anche della ratatouille esistono delle varianti dettate dalla fantasia e dal gusto, come la versione in cui le
verdure vengono fritte in olio bollente prima di essere stufate nel tegame. Indubbiamente la più famosa è quella di Thomas Keller, uno chef che ha inventato la ricetta mostrata nel film d’animazione Disney Pixar, Ratatouille, dove vengono narrate le avventure del ratto Remy alle prese con la cucina di un grande ristorante di Parigi. In questa versione le verdure vengono tagliate a rondelle, sistemate in una teglia e cotte in forno. Personalmente seguo la ricetta originale, cuocendo tutto in una padella antiaderente e poi lascio “risposare” le verdure prima di servirle. È un contorno diverso e gusto e spesso un’ottima soluzione per svuotare il frigorifero. Se volete stupire i vostri commensali rendendola un po’ più “robusta”, vi propongo di servirla alternata ad una o due fettine di scamorza, magari aiutandovi con un coppapasta: il risultato è strepitoso e farete un successone! Se, invece, la mangiate da soli gustatela leggendo un libro di Kathy Reichs o guardando un episodio di “Bones”…et bon appétit!

17/04/2019

Aspettando la Pasqua...

Carissimi amici, bentrovati! So che, come ogni mercoledì, vi aspettate un nuovo post con tanto di autore e ricetta ma stasera non pubblicherò nulla. Siamo, infatti, nella Settimana Santa e quindi mi prendo una pausa dalla cucina, dalla lettura e dal blog per viverla il più intensamente possibile. Spero di ritrovarvi la prossima settimana con tanta voglia di leggere, gustare e condividere le nostre passioni. Nel frattempo vi auguro un buon Triduo e una serena e santa Pasqua! A presto!

10/04/2019

BARETTA, UN POLIZIOTTO MADE IN ITALY A LOS ANGELES!


Quando fece il suo debutto in TV, nel 1975, fu subito chiaro che la serie televisiva “Baretta” era decisamente differente rispetto alle serie a cui era abituato il pubblico statunitense. Anthony Vincenzo “Tony” Baretta era un poliziotto dall’aspetto trasandato, certo non ai livelli del tenente Colombo, ma pur sempre diverso dai classici piedipiatti in giacca e cravatta. Sempre in jeans e t-shirt, spesso con uno stuzzicadenti in bocca, Tony vive in una stanza d’albergo con Fred, un pappagallo bianco, e frequenta il mondo della piccola e media criminalità. Prostitute, spacciatori, ladruncoli, truffatori…per lui diventano informatori e preziosi collaboratori in più di un’occasione. Maestro dei travestimenti, spesso sorprende i suoi stessi colleghi, finendo anche arrestato per non far saltare la propria copertura. Allergico alla burocrazia ed alle regole, segue comunque una sorta di codice non scritto, fatto di rispetto, onestà, attaccamento al lavoro e tanta, tanta umanità. Nei vari episodi della serie, andata in onda fino al 1978 negli USA ed arrivata in Italia agli inizi degli Anni Ottanta, non sono narrate vicende di crimini “importanti” o efferati ma storie della criminalità di strada, dove i
protagonisti vivono ai margini della società e la distinzione fra vittime e carnefici non sempre è così netta. A volte sembra che le indagini si perdano in un dedalo di diverse piste…in realtà Baretta ha già fiutato il colpevole e lo punta come un esperto segugio fino a metterlo all’angolo. Come si intuisce dal cognome, la famiglia di Tony è di origine italiana ed infatti la sua “vena artistica”, il suo carattere passionale e, soprattutto, il suo amore per il buon cibo ed il buon vino sono tutte caratteristiche riconducibili al DNA tricolore! Anche l’attore che lo interpreta è italoamericano. Robert Blake, nome d’arte di Michael James Gubitosi, deve al personaggio di Baretta la sua fama e anche due importanti premi, un Emmy Awards nel 1975 ed un Golden Globe nel 1976. Ogni tanto Tony si mette ai fornelli e cerca di riprodurre una ricetta di sua mamma o di sua nonna…altre volte decide di sedersi ad un tavolo dei tanti locali di cucina italiana che attirano i turisti…tutto per cercare di mangiare qualcosa di buono, qualcosa che ricordi i sapori e gli odori di casa. Io ho pensato di proporvi un piatto classicissimo, un piatto capace di trasportarti subito nella cucina di casa, un piatto che ogni italiano conosce, un piatto intramontabile, con tantissime varianti, tantissime declinazioni, tantissimo gusto: le lasagne! Vi propongo quelle che faccio io, ispirandomi a quelle che mangiavo in casa quando c’era ancora mia nonna che le chiamava “pasta al forno” (…perché in dialetto lasagne non lo diceva!) Ecco a voi la mia ricetta: sia ben chiaro che non si tratta di quella originale bolognese! Fatemi sapere se vi è piaciuta e ditemi come la fate voi! Buon appetito!

LASAGNE A MODO MIO (o meglio la pasta al forno della nonna Giulia)

Ingredienti per 4-6 porzioni – per il ragù: • 150 gr salsiccia • 500 gr di macinato misto (lombo di maiale e muscolo di manzo) • ½ bicchiere di vino bianco secco • 400 g di passata di pomodoro • sedano • carote • 1 cipolla • 2 cucchiai di concentrato di pomodoro • sale • pepe • timo e alloro • olio evo – la pasta: potete farla voi (sempre calcolando un uovo ogni 100 gr di farina) oppure utilizzare quella già pronta che si trova in tutti i supermercati (decisamente più comoda!) – la besciamella: 50 gr di farina • 50 gr di burro • mezzo litro di latte • sale/pepe/noce moscata ed infine grana grattugiato.

Mettete in una casseruola dal fondo pesante la cipolla tritata e fatela rosolare dolcemente con un po’ di olio, quindi unite il sedano e la carota tritati e rosolate anche questi. Aggiungete la salsiccia e, dopo un minuto, la carne macinata. Fate rosolare a fiamma alta mescolando continuamente e sgranando con un cucchiaio. Quando cambierà colore, aggiungete gli aromi, un po’ di sale e del pepe. Sfumate con il vino bianco, che lascerete evaporare. Unitela passata di pomodoro e i due cucchiai di concentrato. Mescolate e fate prendere il bollore, quindi coprite e cuocete per circa due ore a fuoco lentissimo. Questo è il vero segreto per la buona riuscita di questa ricetta: la cottura lenta e pacifica del ragù! Preparate intanto la besciamella: in un pentolino lasciate fondere il burro a fuoco moderato e unite la farina mescolando con la frusta, fino a formare un
composto cremoso (il roux). Versate quindi il latte freddo tutto in una volta continuando a mescolare finché inizia a bollire. Salate, diminuite l’intensità della fiamma e cuocete per almeno venti minuti coperto e mescolando di tanto in tanto: la besciamella non deve assolutamente “sapere” di farina. Togliete dal fuoco, regolate di sale e insaporite con un pizzico di noce moscata e una “spruzzata” di pepe. (N.B.Se la besciamella fosse venuta troppo soda aggiungete un po’ di latte. Se troppo liquida, ponete sul fuoco aggiungendo una noce di burro infarinata). Iniziate a disporre i vari strati, partendo con un pochino di besciamella e ragù per fare la “base” morbida. Iniziate poi alternando la pasta, la besciamella, il ragù e cospargete con abbondante parmigiano grattugiato. Coprite con altra pasta e procedete in questo modo fino ad esaurimento degli ingredienti. Dovrete fare in tutto 5 massimo 6 strati. Terminate coprendo il tutto con il sugo, la besciamella ed il grana. Preriscaldate il forno a 180°, modalità statica, ed infornate la teglia coperta dalla carta stagnola. In questo modo le lasagne si cuoceranno e non si asciugheranno, diventando troppo secche. Dopo circa 30 minuti, togliete la stagnola e passate il forno in modalità ventilata. Cuocete per altri 15/20 minuti e comunque fino alla doratura della superficie. Sfornate, lasciate riposare per 5 minuti e servite le vostre lasagne, meglio se accompagnate da un bel bicchiere di rosso corposo. A me piacciono tantissimo anche il giorno dopo, quando sono ancora più “risposate”. Beh! Allora? Provateci: preparatele e gustatele! Buon appetito e alla prossima settimana!

03/04/2019

MARIO FALCONE, ROMA E…LO CHEF DEGLI CHEF


Mario Falcone è nato a Messina nel 1952 e vive a Roma. Oltre ad essere uno scrittore, è tra gli sceneggiatori più noti in Italia, ha firmato alcune delle fiction televisive di maggior successo e vinto numerosi premi nazionali e internazionali. Da qualche anno organizza workshop di sceneggiatura e scrittura creativa ed è inoltre un apprezzato Writing Coach. In qualità di scrittore ha pubblicato i romanzi diversi romanzi, il primo dei quali è stato “L’alba nera”. Nel 2018 è uscito il suo ultimo romanzo dal titolo “Lo Chef degli Chef”, un originalissimo poliziesco ambientato nel mondo della cucina stellata. «“Lo chef degli chef” vuole essere paradossalmente un atto d’amore verso un mondo che amo: quello del cibo», ha raccontato 
Mario Falcone in un’intervista.  «Il grido di un amante deluso nei confronti di un universo che, specie nell’ultimo decennio, coinciso con la comparsa dei talent culinari, a mio avviso rischia di snaturare completamente quella che è sempre stata la sua mission originaria (nutrimento del corpo, dell’anima, comparto produttivo, fiore all’occhiello del nostro Paese) per approdare in terreni sempre più incomprensibili al grande pubblico; ai palati che richiedono gusti semplici, genuini e ben riconoscibili come il mio, ad appannaggio di ristrette schiere di gourmet (o presunti tali) “gastrofighetti”, riccastri di ogni latitudine che la cucina più che affidarla alle papille gustative e ai sensi, la demandano agli occhi e alle parole con la complicità di chef, molti dei quali hanno barattato il loro posto dietro ai fornelli per quello di fronte a una telecamera o a una macchina da presa».

Queste parole dello stesso autore rendono subito l’idea della lettura che ci si appresta a fare. Il libro racconta le “gesta” di Asso, nome d’arte di un aspirante chef che diventa un serial killer. Asso rapisce famosi chef stellati, a suo dire colpevoli di aver tradito la vera cucina tradizionale per vendere piatti “rivisitati” senza anima né sapore, li interroga sul loro operato, li tortura per farsi svelare i segreti del loro “piatto simbolo” e, dopo averli uccisi, li cucina, utilizzando parte dei loro corpi per ricreare proprio quei piatti. So che leggendo queste parole si può pensare di trovarsi di fronte ad una lettura orribile e “truculenta” ma non è così: Falcone riesce a dire senza dire, a raccontare senza scendere in particolari sanguinari e aberranti! Anzi, spesso ci fa quasi stare dalla parte di Asso, quasi ammirati dal suo amore per la vera cucina. La storia è ambientata a Roma, descritta come una città eternamente bella ma sofferente ed in lento declino. È in questa città che Asso si muove e colpisce. A cercare di trovarlo e di fermarlo troviamo Michela Serrano, una giovane foodblogger, pianista mancata, figlia di un noto ristoratore ormai deceduto e compagna di Sandro Cecchin, il primo chef stellato che viene rapito da “Asso”. È a Michela che Asso invia le foto dei suoi trofei, attraverso il suo famoso blog. Insieme a lei due dei migliori investigatori della Polizia di Stato: il commissario Max Rosati, scanzonato e casinista, e l’ispettore Giorgio Scuderi, suo assistente e mentore, ormai vicino alla pensione. A coordinare le indagini Lorenzo Canfora, un magistrato sui generis, amante del cinema d’autore degli anni Settanta. Michela e Max faticheranno non poco per riuscire a stanare ed assicurare alla giustizia il giovane assassino, arrivando a rischiare la vita in prima persona. Al termine di questa serrata “caccia all’uomo” le vite dei protagonisti, segnate dai fatti accaduti, subiranno delle svolte che li porteranno a scelte radicali. Ho letto il libro dopo averlo trovato per caso fra gli scaffali di una libreria. Date le mie passioni, il titolo e la copertina mi hanno subito colpito e devo dire che Falcone scrive davvero bene. Certo lo conoscevo come sceneggiatore e non immaginavo fosse anche un bravo scrittore. Dovrò sicuramente leggere anche gli altri suoi libri ma intanto vi consiglio questo che è molto scorrevole, a tratti divertente ed irriverente e capace di coinvolgere e di creare quella giusta suspense che ogni thriller dovrebbe avere. Ovviamente in un libro del genere non mancano le ricette, i piatti classici e quelli innovativi, i personaggi mangiano…anzi spesso mangiano davvero bene ed alcuni cucinano, compreso l’assassino! Siccome non mi andava di riproporre i piatti creati dal serial killer (!) ho scelto uno dei piatti tipici di Roma, citato e descritto
diverse volte nel testo. Signore e signori ecco a voi gli spaghetti cacio e pepe!

Ingredienti per 4 persone: 400 gr spaghetti – 100 gr pecorino romano dop grattugiato - Pepe nero – Sale  * Per ottenere una pasta cacio e pepe perfetta bisogna non solamente condire la pasta cotta con il formaggio grattugiato, ma miscelare un po’ di acqua di cottura della pasta (ricca di amido) con il formaggio, in modo che questo si sciolga sino a formare una specie di crema, particolarità di questa ricetta. Mettere in una terrina abbastanza capiente tutto il pecorino romano dop e il pepe nero macinato (meglio pestato
nel mortaio al momento). Cuocere la pasta in acqua bollente salata, scolarla al dente con un mestolo forato per mantenere l’acqua di cottura. Versare la pasta nella terrina e aggiungere immediatamente un mestolo scarso di acqua bollente avanzata dalla cottura della pasta. Mescolare velocemente in modo che il formaggio si sciolga con l’acqua, aggiungendone se necessario. Servire immediatamente, in un piatto possibilmente caldo, spolverando con altro pepe nero. 
N.B. La ricetta originale della pasta con cacio e pepe alla romana prevede l’utilizzo degli spaghetti ma negli anni le varianti sono diventate infinite, anche perché nella cucina di ogni giorno, la ricetta, si prepara spesso con quello che c’è in dispensa. Sono conosciute quindi versioni in cui si utilizzano i rigatoni, i tonnarelli o la pasta all’uovo, come ad esempio i tagliolini o gli spaghetti alla chitarra, che favorirebbero la cremosità del piatto. Beh! Scegliete voi, l'importante è il pecorino! Buon appetito e alla prossima!