31/10/2019

IL COMMISSARIO RICCIARDI, INDAGINI E SFOGLIATELLE A NAPOLI


Maurizio De Giovanni, napoletano verace classe 1958, è uno scrittore, sceneggiatore e drammaturgo italiano, conosciuto soprattutto come autore di libri gialli, pur avendo “spaziato” anche in altri generi. Nel 2005 partecipa ad un concorso per giallisti emergenti e per l’occasione crea il commissario Ricciardi, che vive e lavora nella Napoli degli Anni Trenta. Il successo è immediato e a questo primo racconto, seguono altri romanzi con lo stesso protagonista. Ricciardi, però, non è l’unico personaggio creato da De Giovanni. A lui, infatti, si affiancano prima l’ispettore Lojacono e, in seguito, Lojacono e la sua squadra, nota come quella dei “Bastardi di Pizzofalcone”. Dai libri dei “bastardi” è stata tratta la fortunata serie televisiva con Alessandro Gassman, trasmessa dalla Rai a partire dal 2017, mentre proprio in questi giorni si sta girando la prima serie dedicata al commissario Ricciardi, che sarà interpretato dal bravissimo Lino Guanciale. I primi quattro romanzi che vedono protagonista il commissario compongono il cosiddetto “ciclo delle stagioni”: “Il senso del dolore. L’inverno del commissario Ricciardi”, “La condanna del sangue. La primavera del commissario Ricciardi”, “Il posto di ognuno. L’estate del commissario Ricciardi” ed infine “Il giorno dei morti. L’autunno del commissario Ricciardi”. Se volete conoscerlo, iniziate proprio da questi ed in questo ordine. De Giovanni, infatti, ne ha scritti altri undici ma questi ci permettono di conoscere a fondo questo personaggio così singolare nel panorama del genere giallo-noir italiano. Nato nel 1900 in
Cilento, da una famiglia nobile, alla morte dei genitori Luigi Alfredo Ricciardi, barone di Malomonte, si trasferisce a Napoli con Rosa, l’anziana tata che lo ha cresciuto e continua ad amarlo come se fosse suo figlio (…e a pregare che si trovi una donna da sposare!) Nella città partenopea si laurea in legge ed entra nella Regia polizia, pur non avendo necessità di lavorare. Ricco, integerrimo, intelligente; la sua preparazione, la sua capacità deduttiva ed il suo carattere introverso lo mettono in cattiva luce con i colleghi, che non riescono a relazionarsi con un uomo così strano ed ombroso, che considera vittime anche i colpevoli dei delitti sui quali indaga. Al contrario, la sua completa indifferenza verso la carriera e verso qualsiasi tipo di riconoscimento, gli avvalgono il rispetto dei superiori, primo fra tutti il vicequestore Garzo, che si prende volentieri i suoi meriti davanti al regime ed alla stampa e si fa sentire solo quando, durante le sue indagini, il commissario non usa nessun tipo di riguardo nei confronti di nobili e potenti (Non dimentichiamoci che siamo negli Anni Trenta, nel pieno dell’epoca fascista). Gli unici due colleghi con i quali il commissario si rapporta volentieri sono il brigadiere Maione, suo braccio destro, padre di famiglia e poliziotto dal cuore grande, e il razionale e umanissimo dottor Modo, medico legale e ardente antifascista. Oltre alle sue incredibili doti, il commissario ha una caratteristica segreta che lo tormenta ma spesso lo aiuta nella soluzione dei casi, anche dei più difficili. Lui “sente” il dolore, “vede” le vittime di morte violenta e sente le loro ultime parole. Si tratta di un “dono” o di una condanna? Non sempre la differenza è netta. Ricciardi lo chiama “il fatto” e ci convive fin da bambino, quando scopre in un campo il cadavere di un bracciante. Crescendo ha cercato di gestire questo “fatto” e di non parlarne con nessuno, per paura di essere definito pazzo. Ciò lo fa vivere in un'atmosfera di continua tristezza, circondato dalle immagini dei corpi straziati in incidenti, suicidi e omicidi e dalla mestizia delle loro ultime invocazioni d'aiuto. Ha conosciuto Maione proprio quando il figlio del brigadiere, anch'egli poliziotto, fu ucciso e Ricciardi gli riferì le sue ultime parole. E il brigadiere non lo ha giudicato e, anzi, da allora non lo ha più abbandonato. Lo accompagna, infatti, in ogni sua indagine, ammirando il suo profondo senso della giustizia e la sua capacità di calarsi nei panni di vittima e carnefice, tornando e ritornando sugli stessi dettagli, lavorando senza sosta per non correre il rischio di incolpare un innocente. Per il commissario il movente di qualsiasi delitto si riconduce a due soli motivi: la fame o l’amore. E le sue indagini confermano quasi sempre questa sua convinzione. A causa del “fatto” la sua vita affettiva è vuota. Le uniche donne presenti nella sua esistenza sono Rosa,
che è per lui come una madre, Enrica, una timida ragazza che lui ama platonicamente, guardandola dalla finestra della sua stanza, ignaro del fatto che anche lei lo osserva ogni giorno, e Livia, vedova di un famoso tenore, che lo corteggia apertamente. A parte queste “distrazioni”, il nostro buon Ricciardi non fa altro che lavorare. A pranzo mangia una pizza al volo o si concede una sfogliatella al Caffè Gambrinus, in piazza Plebiscito, mentre alla cena (per fortuna!) ci pensa Rosa. Avendo molto apprezzato i libri che lo vedono protagonista, non vedo l’ora di guardare anche la serie televisiva: sono proprio curiosa di vedere come riusciranno a portare sul piccolo schermo questo originalissimo personaggio! Vi consiglio, nel frattempo, di leggere i suoi romanzi, almeno il ciclo delle stagioni e vi segnalo, nell’edizione Einaudi del primo libro, quello sull’inverno, il racconto dell’incontro fra il commissario Ricciardi e Maurizio De Giovanni, il suo creatore: davvero notevole! Per quanto riguarda il gusto, beh! Ho scelto una missione suicida: ho deciso di misurarmi con le sfogliatelle! E visto che sono proprio fuori di testa, ho provato a fare sia le sfogliatelle ricce che le frolle! Le prime sono state un completo disastro perché ho miseramente fallito con la sfoglia (ma ci riproverò, non dubitate!), mentre le altre sono venute proprio bene! Provateci anche voi e poi fatemi sapere se ci siete riusciti!!!

SFOGLIATELLE NAPOLETANE NELLE DUE VARIANTI (ricetta originale partenopea)
Ingredienti per il ripieno (uguale per entrambe): 250 gr ricotta – 150 gr semolino – 500 ml acqua - 100 gr canditi misti – 150 gr zucchero a velo – un uovo – essenza di vaniglia – cannella
Per la preparazione del ripieno occorre far bollire in una casseruola mezzo litro di acqua, versarvi il semolino a pioggia e mescolare, evitando che si formino grumi. Dopo averlo fatto raffreddare, versarlo in una terrina, unire la ricotta, l’uovo, lo zucchero a velo, i canditi, un pizzico di cannella e qualche goccia di essenza di vaniglia. Far riposare il composto in frigorifero per almeno un paio d’ore.
Ingredienti per l’impasto della sfogliatella frolla: 500 gr farina – 200 gr strutto – 200 gr zucchero –  3
uova      Preparare la pasta frolla e farla riposare in frigorifero per almeno un’ora. Riprenderla, stenderla e, con l’aiuto di un coppapasta (o di una tazzina), ricavare dei dischi uguali. Posizionare il ripieno al centro di metà dei dischi e coprirli con la restante metà. Mettere i dolci in forno a 180° per 20 minuti circa. Sfornare, lasciare raffreddare e servire con una spolverata di zucchero a velo.
Ingredienti per l’impasto della sfogliatella riccia: 400 gr farina – 150 gr burro – 50 gr zucchero – un pizzico di sale – acqua q.b.
Lavorare gli ingredienti, aggiungendo acqua sufficiente a rendere l’impasto sodo ed elastico. Dividerlo in 4 sfoglie, sovrapporle e arrotolarle. Tagliare delle fette larghe circa 1 cm e piegarle una ad una, spingendo con le dita e ricavando una specie di “cappuccio”
triangolare, nel quale andrà inserito il ripieno precedentemente preparato. Adagiare le sfoglie sulla teglia e infornare a 200° per 20 minuti, poi a 180° per altri 20 minuti ed infine a 160° per dieci minuti. Le sfogliatelle dovranno essere ben dorate ma non bruciate. Lasciarle raffreddare e servirle con una spolverata di zucchero a velo. Attenzione: una volta sfornate, attratti dal profumo inebriante, vi verrà voglia di addentarne subito una...non fatelo!!!! Esternamente potrebbero anche essere solo un po’ calde ma il ripieno è ustionante!!! Sono l’ideale per un caffè o un tè in compagnia o per una merenda, sul divano, con una tisana calda e un bel libro…in entrambi i casi finiranno in un istante. Buona degustazione, buona lettura e alla prossima!

23/10/2019

NAPOLI, AGLIO, OLIO E...ASSASSINO!

Pino Imperatore, umorista e giornalista, è nato nel 1961 a Milano, da genitori napoletani emigrati per lavoro e poi tornati nel loro paese di origine, Mugnano di Napoli. Attualmente vive ad Aversa e lavora a Napoli. Fin da ragazzo Imperatore dimostra un vivo interesse per la letteratura, il giornalismo e l’impegno civile, vivendo un forte senso di appartenenza alla sua amata Campania, così affascinante ed al tempo stesso così martoriata. Dopo la laurea in Scienze Politiche, inizia subito a collaborare con le principali testate giornalistiche, lavorando anche con Amato Lamberti e Giancarlo Siani. L’uccisione di quest’ultimo per mano della camorra segnerà profondamente il giovane Pino e lo porterà ad impegnarsi nel sociale per combattere con tutti i mezzi questo “cancro” che divora la sua terra. Le sue armi principali sono da allora i suoi articoli, i suoi libri, le sue sceneggiature e il suo immenso umorismo. Pino Imperatore scrive della camorra utilizzando personaggi tragicomici che fanno ridere ma fanno riflettere e lasciano l’amaro in bocca. Scrive moltissimo e diverse delle sue opere diventano best sellers e vengono utilizzate nelle scuole per affrontare il tema della lotta alla camorra. Il successo come scrittore, in tal senso, arriva con il romanzo “Benvenuti in casa Esposito – Le avventure tragicomiche di una famiglia camorrista”, in cui racconta le avventure del figlio goffo e incapace di un boss, che cerca di emulare il padre  Le indagini porteranno Scapece a scavare nel passato delle superstizioni e delle leggende napoletane, arrivando anche a rischiare in prima persona per assicurare il colpevole alla giustizia. Nonostante i delitti che vengono commessi e narrati, il libro di Pino Imperatore è davvero “scoppiettante” e pieno di momenti, di “scenette” esilaranti che alleggeriscono non poco il racconto, stemperando il crescendo di tensione che coinvolge il lettore. Ve lo consiglio di cuore, soprattutto se volete una lettura rilassante. Essendo ambientato, per buona parte, nel locale dei Vitiello, nel romanzo si trovano moltissime descrizioni di piatti tipici e stuzzicanti, citazioni, racconti e richiami di argomento culinario…ma non ho potuto fare altro che scegliere la ricetta che viene richiamata nel titolo e che è la protagonista per eccellenza: gli spaghetti aglio, olio e peperoncino.
finendo sempre per combinare guai. Il suo primo libro come giallista, invece, è “Aglio, olio e assassino”, un poliziesco avvincente, ricco di suspense e, al tempo stesso, spassosissimo! Le parole di Imperatore scorrono che è un piacere e riescono a coinvolgerti, catapultandoti letteralmente in quella che lui definisce la città più imprevedibile del mondo: Napoli. Nel pittoresco quartiere di Mergellina si trova da più di trent’anni la premiata trattoria “Partenope”, gestita da Francesco Vitiello, meglio conosciuto come Nonno Ciccio, e da suo figlio Peppe, detto Braciola. E di fronte al locale, che dispensa quotidianamente deliziosi piatti della cucina tipica napoletana, è stato da poco aperto un commissariato di Polizia. L’ispettore Gianni Scapece, ottimo segugio, appassionato di gialli (e di belle donne!), amante della buona tavola, è da poco tornato nella sua città natale, proprio nella casa dei genitori, nello stesso quartiere in cui è cresciuto e nel quale, ora, si trovano il suo posto di lavoro e il fantastico ristorante della famiglia Vitiello. E fra un omicidio, un pranzo e una discussione con il suo capo (il tenace commissario Carlo Improta, che gli si è affezionato come ad un figlio), Scapece cerca di risolvere un caso davvero difficile. Un serial killer, infatti, terrorizza Napoli proprio nei giorni precedenti il Natale e “condisce” le sue vittime con ingredienti della cucina partenopea. I Vitiello, oltre a dispensare degli ottimi piatti, cercano di aiutare il nuovo amico ispettore, sostenendolo ed unendo gli sforzi di tutta la loro originalissima famiglia. Già perché chi frequenta la trattoria frequenta di riflesso anche tutti i Vitiello che, oltre ai due sopra citati, comprende Angelina, moglie di
Peppe, i loro due figli, Isabella e Diego, le due “aggiunte” sorelle Giaquinto, cuoche eccellenti e lavoratrici indefesse, ed il simpatico Zorro, cane “custode” e fedele di Nonno Ciccio.
Questo piatto tipico della cucina napoletana (“spaghetti aglio e uoglie”) fa parte della schiera di ricette “povere” e cosiddette della “cucina piccina” partenopea. Nonostante sembri estremamente semplice…non lo è per niente! È necessario, anzitutto, utilizzare delle materie prime eccellenti e poi è fondamentale rispettare i tempi e fare attenzione al dosaggio, per esaltare tutti i sapori e non coprirne neanche uno. E allora…ecco a voi questa eccellenza!

SPAGHETTI AGLIO, OLIO E PEPERONCINO 

Ingredienti per 4 persone: 320 g di spaghetti - 2 spicchi d'aglio - peperoncino (1 grande o 2 piccoli) – olio evo – sale – prezzemolo fresco
Cominciate la preparazione degli spaghetti aglio, olio e peperoncino mettendo a bollire abbondante
acqua salata in una pentola capiente. Tagliate a metà i due spicchi d'aglio, privateli dell'anima al loro interno e tritateli molto finemente. Poi prendete il peperoncino e tagliatelo a rondelle fini.
Scaldate in una padella 5/6 cucchiai di olio, unite l'aglio tritato e fatelo soffriggere per qualche minuto facendo molta attenzione affinché non bruci. Unite il peperoncino e fatelo soffriggere per qualche secondo. Fate cuocere gli spaghetti in abbondante acqua salata e scolateli al dente. Trasferiteli nella padella con l'aglio e il peperoncino e fateli saltare a fuoco vivo per distribuire bene il condimento e lasciarli insaporire. Servite subito gli spaghetti aglio, olio e peperoncino ben caldi e gustateli in buona compagnia! Buon appetito e alla prossima!

09/10/2019

HANNA LINDBERG, STOCCOLMA E...IL GUSTO DI UCCIDERE


Hanna Lindbergh è nata nel 1981 e vive a Stoccolma. È una giornalista di costume che lavora soprattutto sul web e ha esordito come scrittrice nel 2017 con il romanzo “Stockholm Confidential”, subito arrivato in cima alle classifiche svedesi e pubblicato in oltre 10 paesi.  Con il suo secondo libro “Il gusto di uccidere”, la Lindberg si riconferma come la più giovane autrice svedese di gialli capace di riscuotere grande successo anche al di fuori dei confini del proprio Paese.  La protagonista dei suoi libri è Solveig Berg, una brava e giovane giornalista, coraggiosa e spregiudicata, pronta a superare qualsiasi limite per conoscere i fatti e la verità. La sua determinazione l’ha portata a lavorare accanto a una celebrità: Vanja Stridh, critica gastronomica e nome affermato delle scene giornalistiche di Stoccolma e di tutta la Svezia. Mentre nella sua prima indagine Solveig è alle prese con il mondo apparentemente dorato ma in realtà profondamente marcio della moda, nel secondo libro (quello che mi ha subito attratto, ovviamente!) si ritrova in quello dell’alta cucina. Il “Cuoco d’Oro”, che premia lo chef più talentuoso di Stoccolma, è l’evento più importante dell’anno, quello che riunisce cuochi stellati, critici ed esperti culinari, giornalisti, blogger e gourmet nell’enorme sala dello Stockholm Grotesque, il consacrato tempio della ristorazione svedese. Solveig è riuscita ad entrare, grazie soprattutto al suo capo, Vanja Stridh appunto, ed attende con trepidazione l’annuncio del vincitore. I due chef stellati che si contendono il premio sono Florian
Leblanc e Jon Ragnarsson, un tempio soci ed ora rivali ed acerrimi nemici. Vincere questo premio sarebbe davvero molto importante per entrambi. Ma ad un tratto le luci nella sala si spengono e si sente un colpo di pistola. Mentre il panico mette in fuga la folla, la luce ritorna e mostra qualcosa di terribile: il corpo senza vita sul palco è quello di Vanja. Da quel momento l’unico obiettivo di Solveig è quello di scoprire la verità, a tutti i costi e con tutti i mezzi. Il proiettile era davvero destinato a Vanja o a qualcun altro? Ed in tal caso a chi? La giornalista si troverà sola contro tutti, compresa la Polizia e il suo compagno, e arriverà a rischiare la vita più di una volta per scoprire il colpevole dell’omicidio e, allo stesso tempo, realizzare l’inchiesta più importante della sua carriera. Nella sua indagine incontrerà persone che hanno potere e possono disporre della vita altrui, persone che non sono ciò che sembrano, persone che cercano una seconda possibilità e altre che hanno perso la loro umanità. Solveig porterà a galla un passato molto pesante e svelerà segreti che affondano le proprie radici nelle pagine più cupe della storia. Parallelamente a lei si muove Lennie Lee, ex fotografo di moda caduto in disgrazia, una vita ed una carriera travolte dagli scandali e dalla galera, che finisce a lavorare nella cucina della famosissima Linda Berner, cercando di riprendere in mano la propria vita e di “fare le cose giuste”. È su questi due personaggi soprattutto, Solveig e Lennie, che si concentra la capacità di Hanna Lindberg di dare valore e luce agli aspetti più intimi e contraddittori delle menti e delle azioni. “Il gusto di uccidere” è un thriller spietato e insieme insolitamente umano e, nella sua struttura, rivela la formazione giornalistica di Hanna Lindberg, capace di indagare nei fatti, senza trascurare nessun elemento, consapevole che la verità, come il buon cibo, deve essere sempre autentica e rispettata. Una curiosità: l’autrice, per poter rendere in maniera credibile ed efficace cosa succede dietro le quinte, si è fatta assumere e ha lavorato in un vero ristorante. E racconta in modo eccezionale un’immagine inedita della società svedese che ha anche un lato oscuro, ben lontano dagli stereotipi della Svezia a cui ci si riferisce abitualmente, con foreste immense e laghi cristallini. Per rendere omaggio a questa brava scrittrice ed alla sua protagonista, ho scelto di proporvi qualcosa di semplice e schietto, come il pane. In Svezia, infatti, ogni momento è buono per fare una pausa e le mete preferite degli svedesi sono proprio le panetterie, dove è possibile bere una bevanda calda e gustare un dolce o uno dei tanti, tantissimi tipi di pane. Panini al sesamo, ai semi di papavero, alle spezie, ai cereali, bianchi, neri, profumati, morbidi…ce n’è per tutti i gusti e sono tutti buonissimi, sia da soli che farciti. Io ho preparato quelli ai semi di zucca, li ho farciti con il sempre gustosissimo salmone e ve li consiglio spassionatamente, così come vi consiglio i libri della Lindberg…soprattutto “Il gusto di uccidere”!

PANINI AI SEMI DI ZUCCA

Ingredienti: 200 gr di farina 00 - 200 gr di farina 0 - 180 ml di acqua - 12 gr di lievito di birra - 1 cucchiaino di zucchero - 4 cucchiai di olio extravergine d'oliva - 2 cucchiaini di sale - 2 cucchiai di semi di zucca – latte - semi di zucca

Mettete le farine disposte a fontana e versate man mano al centro l'acqua, leggermente tiepida, nella quale avete precedentemente sciolto il lievito. Iniziate a lavorare l'impasto e, quando la farina avrà assorbito tutta l'acqua, aggiungete il sale, lo zucchero, l'olio e i semi di zucca. Lavorate l'impasto fino ad ottenere un panetto liscio e omogeneo che metterete a lievitare per 2 ore. Riprendete l'impasto e formate con esso 8 panini che andrete a disporre su una placca da forno rivestita di carta forno. Spennellate con un po' di latte, spolverizzare con i semi di zucca e lasciate riposare ancora per 30 minuti. Preriscaldate il forno a 220 gradi e quando sarà caldo infornate i panini e fate cuocere per 15 minuti. Sfornate, lasciate intiepidire e servite. Io ho preparato una crema di burro con dell'erba cipollina fresca tritata a mano, l’ho spalmata sui panini e li ho completati con del salmone, un pizzico di pepe e qualche goccia di limone…una delizia! Buon appetito e alla prossima!

02/10/2019

RICETTE, AMORI E…DELITTI DI UNA SINGLE A GENOVA


“Rebecca Coen (è uno pseudonimo) è una donna (o forse più di una) che si divide tra famiglia, lavoro, sociale, politica e ghostwriting. Ha già scritto gran parte del suo secondo thriller culinario e immaginato parte del terzo”. Questo è ciò che è scritto sulla quarta di copertina del libro “Morte alla cannella” di Rebecca Coen, appunto. Non sono riuscita a trovare altre notizie e credo proprio che per ora dovremo accontentarci di queste poche righe, sperando di scoprire di più con l’uscita dei prossimi libri. Del libro, invece, posso dirvi decisamente di più e anche consigliarvelo. Bisogna dire, anzitutto, che non si tratta di un classico ma di un romanzo giallo che si potrebbe definire “tragicomico”.  Leggero, accattivante, capace di coinvolgere il lettore non solo nell’indagine vera e propria ma anche, e soprattutto, nella vita della protagonista, originale e fuori da ogni schema. Emma Mezzalira, infatti, è una trentenne genovese, single, disoccupata, curiosa, “casinara”, un po’ goffa e grande appassionata di cucina. Perennemente alla ricerca di un lavoro e di un fidanzato, cerca di sbarcare il lunario accettando qualsiasi occupazione precaria, purché dignitosa si intende, e divide un appartamento con due ragazzi, un timido e introverso genio informatico e un prorompente e solare personal trainer. Tanto disordinata e imbranata in qualsiasi ambito, Emma si trasforma quando si mette ai fornelli e prepara manicaretti per coinquilini ed amici. La cucina è la sua valvola di sfogo, il posto in cui si lascia andare, in cui è solo sé stessa; mentre taglia, impasta, inforna…si rilassa, mette ordine nei suoi pensieri e si tira su di morale. Per far colpo su un corriere che le consegna la merce acquistata on line, decide di preparare dei dolci alla cannella ma si accorge di averla finita e si precipita nel minimarket più vicino per comperarla. Si ritrova davanti allo scaffale, sul quale è rimasta una sola confezione della preziosa e profumata spezia, accanto ad una distinta ed agguerrita signora che gliela prende letteralmente dalle mani dopo una piccola schermaglia. Emma maledice in cuor suo la nemica e va in un altro negozio ad acquistare la cannella. Poche ore dopo, però, scopre che la signora è morta in circostanze misteriose e pensa che le sue maledizioni abbiano avuto effetto.
La sua immensa curiosità, unita al senso di colpa, la spingono ad indagare sull’omicidio e a commettere un errore dietro l’altro, arrivando anche ad intralciare il lavoro delle forze dell’ordine. In tutto questo la storia con il bel corriere non decolla ma, in compenso, Emma conosce un carabiniere dagli occhi azzurri che le farà girare la testa; le sue due nonne, Crocefissa e Ortensia, si alternano alla sua porta con i loro rimproveri e i loro consigli (diametralmente opposti come sono loro!); la sua amica Cleo, che fino a qualche anno prima era il brasiliano Thiago, scompare…Insomma la sua vita è tutta un susseguirsi di scelte sbagliate e momenti di sconforto, per uscire dal quale Emma si rifugia in cucina, con grande gioia dei suoi coinquilini. Pensate che nel libro sono proprio inserite le ricette che la protagonista cucina nei diversi momenti dell’indagine, spaziando dal dolce al salato, dal classico all’etnico, dalla cucina di nonna Crocefissa, rigorosamente casalinga, a quella di nonna Ortensia, in versione light per mantenere la linea. Insomma ce n’è per tutti e non si può proprio dire che ad Emma manca il senso del gusto, anzi! Ha proprio buon gusto e anche abbastanza fiuto per il delitto! Avrei potuto scegliere una delle ricette proposte da Emma ma per rendere omaggio alla spezia che fa partire le indagini e dà il titolo al libro, ho deciso di preparare dei soffici e profumatissimi muffin alle mele e cannella. Sono facilissimi da fare e…ancora più facili da mangiare!!!



MUFFIN ALLE MELE E CANNELLA

Ingredienti per 12 muffin: cannella - 2 mele – 2 uova – 100 gr burro – 120 gr zucchero – 160 ml latte – 260 gr farina 00 – una bacca di vaniglia – 3 cucchiaini di lievito per dolci – un limone – sale – zucchero a velo
Fate fondere il burro e lasciatelo raffreddare. Intanto sbattete dolcemente le uova con lo zucchero e la vaniglia: dovrete ottenere un composto leggero e spumoso. Aggiungete il latte, il burro fuso, un pizzico di sale e la scorza grattugiata del limone. Mescolate a parte il lievito con la farina e la cannella e aggiungete lentamente al composto. Per ultima aggiungete una mela tagliata a dadini. Riempite con il composto lo stampo dei muffin leggermente imburrato (se non l’avete utilizzate dei pirottini di carta), tagliate l’altra mela a fettine sottili e mettetene due o tre su ogni muffin. Infornate in forno statico, a metà altezza, a 180° per 30/35 minuti. Sfornate, fate raffreddare e togliete i muffin dallo stampo. Prima di servirli cospargeteli con un pochino di zucchero a velo. Consiglio di gustarli con un tè o con una tisana, in compagnia di persone simpatiche o di un buon libro…giallo ovviamente! Alla prossima!