29/11/2020

GABRIELLA GENISI E LOLITA LOBOSCO: DALLA PUGLIA CON PASSIONE!

Gabriella Genisi, nata a Bari nel 1965, laureata in Giurisprudenza, è una scrittrice italiana arrivata al successo grazie al personaggio del commissario di Polizia di Bari, Lolita Lobosco, considerata un po’ un “Montalbano in gonnella” e protagonista finora di 8 libri. Sapete già che sono maniacale e che, quando mi avvicino per la prima volta ad un autore, cerco di partire con il primo dei suoi romanzi…e così ho fatto anche con la Genisi. Quello di cui vi parlo oggi, infatti, è il primo della serie del commissario Lobosco “La circonferenza delle arance”, uscito nel 2010. A questo hanno fatto seguito, fra il 2011 e il 2020, “Giallo ciliegia”, “Uva noir”, “Gioco pericoloso”, “Spaghetti all'assassina”, “Mare nero”, “Dopo tanta nebbia” e “I quattro cantoni”. Il primo mi è piaciuto moltissimo e l’ho letto tutto d’un fiato, quindi sicuramente leggerò anche i successivi. Nel 2019 è uscito anche “Pizzica amara”, il primo libro di una nuova serie ambientata nel Salento con un’altra protagonista femminile, Chicca Lopez, giovane e intraprendente marescialla dei Carabinieri. Beh! Appena riuscirò a leggerlo ve ne parlerò, state tranquilli. Nel frattempo cerchiamo di conoscere meglio la nostra commissaria…Lolita Lobosco, detta Lolì, trentasei anni, sguardo intenso, lunghi capelli corvini e una quinta di reggiseno, è
una classica bellezza mediterranea che non lascia indifferente nessuno quando cammina sicura di sé e conscia del suo ruolo. Ha faticato molto per arrivare dove è ora, seguendo fin da ragazza con una forte determinazione la sua vocazione: combattere le prepotenze di tutti i tipi, riportare l’ordine e la giustizia nella vita di chi li ha abbandonati e, cosa non marginale, farsi rispettare dai colleghi maschi, subalterni, pari o superiori che siano. E tutto questo, ovviamente, senza rinunciare alla propria femminilità, alla cura del proprio corpo ed alla passione per le scarpe Louboutin e per la cucina! Donna forte e testarda, amante della sua terra, Lolita parla senza mezzi termini e va’ dritta al punto in ogni situazione. La verità, alla fine, in un modo o nell’altro viene a galla e Lolì ci crede fermamente e si butta a capofitto nelle indagini, senza trascurare nessun indizio e nessuna pista. E così legge e rilegge i verbali e interroga ripetutamente tutte le persone coinvolte, cercando di entrare nelle loro vite, nei loro punti deboli, nelle loro menti, per arrivare, alla fine, ad incastrare tutti i pezzi del puzzle e a guardare l’immagine della soluzione, la verità appunto, in maniera nitida. Nel caso che viene trattato nel suo primo romanzo, il commissario Lobosco viene messa a dura prova, in quanto conosce personalmente l’uomo accusato di un crimine odioso e si deve sforzare non poco per riuscire ad essere imparziale e a concentrarsi per poterlo scagionare, tenendo a bada la lotta interiore fra cuore e testa che disturba il suo lavoro! E a peggiorare le cose c’è il fatto che le indagini si volgono nel periodo delle feste, fra Natale e Capodanno, e siccome la sua vita sentimentale non è proprio come vorrebbe, Lolita vive questi giorni alternando il lavoro e i pranzi in famiglia e con gli amici, ritrovandosi a casa, da sola, a rimuginare sul passato ed a ragionare sul presente, senza nemmeno prendere in considerazione il futuro! Non vi dico altro perché vi rovinerei la lettura (e sapete che questo per me sarebbe il peggiore dei delitti!) e vi invito a leggere i libri della Genisi, almeno il primo...poi mi direte se vorrete leggere
anche gli altri o meno! Il successo del commissario Lobosco, comunque, arriverà anche sul piccolo schermo. A luglio di quest’anno, infatti, sono iniziate le riprese per la realizzazione di una serie televisiva. Interprete principale, nelle vesti di Lolita, sarà l’affascinante Luisa Ranieri e secondo me è proprio una scelta azzeccata: sono davvero curiosa di vedere se riuscirà a portare in scena il carattere forte di Lolita, oltre alla sua prorompente femminilità. Dal punto di vista del gusto…beh! Lolita è una vera gourmet, una di quelle che apprezzo tantissimo! Ama cucinare e mangiare bene e, oltre che per la gastronomia della sua magnifica Puglia, ha una vera mania per le arance che mangia in tutti i modi e che inserisce in diverse ricette (le trovate in appendice al libro). Il suo cavallo di battaglia, conosciuto e apprezzato da tutti i suoi amici e conoscenti, è la crostata di arance, appunto, semplice e dal gusto deciso, un po’ dolce e un po’ amara, con una nota asprigna che esalta ancora di più la versatilità dell’agrume…proprio come Lolita, una donna dalle mille sfaccettature, nonostante spesso sia semplicemente una donna sensibile e anche vulnerabile, che vuole vivere a pieno la sua vita, senza se e senza ma. Avete già capito che la ricetta che vi proporrò di seguito è quella della crostata e vorrei dedicarla a tutte le donne e in particolare ad una carissima e specialissima amica, Lucia, che proprio oggi compie gli anni. Anche lei è una donna forte e determinata, sensibile e con un profondo senso della giustizia, per alcuni versi molto
simile a Lolì. La conosco da molto tempo e non ho mai smesso di volerle bene e di ammirare la sua tenacia e la sua capacità di affrontare la vita, nel bene e nel male, rialzandosi sempre e camminando a testa alta! E allora in onore di Lolita, di Lucia e di tutte noi donne ecco a voi la crostata di arance del commissario Lobosco: cucinatela con passione e gustatela!

CROSTATA ALLE ARANCE

Ingredienti per la frolla: 250 gr farina 00 – 150 gr burro – 90 gr zucchero – 2 tuorli d’uovo – 1 limone – vanillina **per la farcitura: 150 gr di marmellata di arance – 50 gr zucchero di canna – 2 arance succose – limoncello

Disporre la farina a fontana, formare un buco al centro, immergere il burro morbido, lo zucchero, la scorza del limone grattugiata, la vanillina e i tuorli e lavorare l’impasto con le mani. Farlo riposare in frigorifero per un’ora, coperto da pellicola. Tagliare le arance a fette, metterle in una pentola e ricoprirle con un bicchiere di limoncello. Aggiungere lo zucchero di canna e porre il tutto sul fuoco. Raggiunta l’ebollizione, attendere pochi minuti e scolare le arance. Stendere la pasta frolla, porla in una tortiera imburrata e bucherellarla. Aggiungere la marmellata di arance e posizionarvi sopra le fette di arancia scolate. Cuocere in forno statico a 180° per 20/25 minuti. Lasciar raffreddare la crostata e servirla con un bicchierino di limoncello. Buona degustazione e alla prossima!



15/11/2020

L’ITALIENNE. Un tranquillo omicidio borghese per il commissario Melykian

In uno dei miei “giri” in libreria, negli scorsi mesi ho pescato un po’ a caso e ho “incontrato” una nuova autrice che, lo ammetto, non avevo mai sentito nominare: Tiziana Albertini Cassinis. Beh! Magari neanche voi la conoscete e quindi permettetemi di presentarvela. Milanese di origine, ha studiato filosofia alla Statale di Milano e Arte all’Accademia Linguistica di Genova e attualmente vive un po’ in Italia e un po’ in Francia; è stata pittrice, fotografa, autrice di inchieste giornalistiche, reportages e libri…insomma possiamo dire che proprio ferma non ci sta!!! Come scrittrice ha pubblicato “Il segreto di Anna e Marco”, libro-intervista sull’Aids, nel 1996, “Jack e la storia dei tubi”, un thriller per ragazzi, nel 2009, e il suo primo giallo “L’italienne. Un tranquillo omicidio borghese”, nel 2012. In un’intervista la stessa Albertini Cassinis, alla domanda sul motivo di questa differenza di generi e argomenti, ha risposto: “Apparentemente sembrano generi letterari diversi, in realtà tutti e tre i libri hanno una matrice comune, cioè l’indagine: ciò che ancora non si sa e che va scoperto…” E io ho letto, ovviamente, proprio quest’ultimo libro, che si può definire un noir psicologico e nel quale fa il
suo esordio un personaggio davvero intrigante: il commissario armeno Jacques Melykian, soprannominato Aznavour per la sua grande passione/fissazione per il grande chansonnier suo connazionale. La descrizione che l’autrice fa della sua creatura è particolareggiata “Era un uomo dal fisico asciutto e atletico, non molto alto, con un viso segnato, ben proporzionato e maschile, due occhi intensi e scuri che avevano fatto impazzire più di una donna…” Melykian parla diverse lingue, suona e canta Aznavour, appunto, è ribelle e idealista a suo modo, simpatico e molto empatico, uno che conosce e ama la vita e l’amore e vuole vivere ogni momento intensamente, rifiutandosi di invecchiare, o meglio, rifiutando di sprecare tempo a pensarci! Dopo il pensionamento dalla Polizia vive sull’Isola di Porquerolles, al largo della Costa Azzurra, su una barca aperta a tutti per un buon caffè turco o un bicchiere di limoncello. Sempre pronto ad accogliere chiunque gli chieda un aiuto, un consiglio o anche solo un po’ di tempo per una chiacchierata, Melykian ha alle spalle tre matrimoni che, però, non sono riusciti a togliergli la passione e il romanticismo che l’hanno sempre contraddistinto. Così come tutte le brutture viste nella sua lunga carriera di brillante poliziotto non gli hanno tolto la fiducia
nel genere umano e l’innata capacità e curiosità investigativa e deduttiva. Di conseguenza, quando un ex collega lo contatta per chiedergli aiuto per un caso di apparente suicidio di una donna dell’alta borghesia di Lione, il nostro “Aznavour”, seppur con una certa ritrosia, lascia la sua barca e si reca nella cittadina francese, presentata in questo romanzo come “fredda nelle strade e gelida nei rapporti sociali”. E inizia un’indagine che lo costringerà a spostarsi continuamente da Porquerolles a Lione e viceversa, alla ricerca di uno spietato omicida che si nasconde dietro un ostentato perbenismo, dietro la facciata di una tranquilla e scialba borghesia. E l’apparenza diventerà l’ostacolo più grande che il commissario dovrà superare per arrivare alla triste e spietata verità. Sullo sfondo, come già dicevo, il sole ed il mare di Porquerolles in netto contrasto con l’umidità ed il buio grigiore di Lione, accompagnano i pensieri, le ipotesi, i dubbi del commissario che non vede l’ora di chiudere il caso per poter tornare alla tranquillità della sua barca, nella quiete della
“sua” isola…ma siamo sicuri che non sia proprio lì, nel suo angolo di paradiso, che si nasconde la chiave di lettura dell’intera, intricata vicenda? Lascio a voi di trovare la risposta fra le pagine di questo libro che vi consiglio di leggere se amate il genere. E per quanto riguarda il gusto? Possiamo tranquillamente affermare che, oltre ai tanti caffè alla turca e agli innumerevoli bicchierini di limoncello, Melykian non si concede molto altro, anzi, si può dire che sia addirittura noioso…già perché si prepara sempre e solo una semplice bistecca ai ferri accompagnata da un’insalata. Per carità, non che io abbia nulla contro un pasto così salutare e per nulla scontato, anzi, ammetto che non mi dispiace affatto, ogni tanto, gustarmi una bella bistecca, cotta al punto giusto…ma che diamine! È sull’isola di Porquerolles e non si cucina mai una bella grigliata o una zuppa di pesce, è in Francia e non si gusta mai un bel piatto di formaggi misti con pane e verdure di stagione, è vicino all’Italia e non va oltre il limoncello...insomma il nostro buon commissario non è proprio un gourmet, tutt’altro! E a mio avviso la scelta di mangiare sempre le stesse cose è dettata semplicemente dalla pigrizia, perché appena si ritrova a Lione, fuori dal suo “nido”, sceglie i migliori bistrot per mangiare piatti ben più gustosi e sostanziosi! Beh! Comunque non si scappa: per il nostro “Aznavour” non ho potuto fare altro che optare per un’ottima bistecca ed una tenera insalata e le ho accompagnate con un bicchiere di vino bianco fresco al punto giusto. Ma giusto per non lasciarvi solo con questo semplice piatto, in caso non la conosciate, vi racconto l’origine del termine “bistecca” che è molto generico e comprende una grande varietà di tagli di carne
principalmente bovina. La leggenda vuole che il nome bistecca nascesse nella seconda metà del ‘500, durante una festa popolare a Firenze, in piazza San Lorenzo. Fra i tanti presenti, c’era anche un gruppo di cittadini inglesi, venuti nel Granducato per affari. Mentre si servivano fette di manzo arrosto (all’epoca chiamate carbonate perché cotte sulla brace) si sarebbero fatti avanti per gustare la carne e, conquistati dalla pietanza, avrebbero cominciato a gridare entusiasti tra la folla “beef steak - beef steak” per averne ancora. E così pare che i fiorentini abbiano subito italianizzato quella richiesta in “bi-stecca”. Altre versioni si basano sulla stessa etimologia, ma attesterebbero la nascita del termine anglosassone italianizzato nella città di Livorno, all’epoca scalo tra i più importanti d’Europa e sede di una numerosa e ricchissima comunità inglese, innamorata della maniera toscana di cuocere la carne di manzo. Quest’ultima interpretazione sembra avvalorata anche da altri termini tutt’ora in uso a Livorno che derivano dalla storica convivenza con la comunità inglese. Al di là della querelle un po’ campanilistica su quale città toscana l’abbia inventata, la parola bistecca compare ufficialmente per la prima volta all’Esposizione di Parigi alla fine del XIX secolo, esposta nel padiglione italiano. E pare che sia proprio da qui che nacque anche il nome
della “fiorentina”, la bistecca per eccellenza! Bene, ora che sapere anche qualcosina in più sulla storia di questo piatto semplice ma per nulla povero, non vi resta che andare dal vostro macellaio di fiducia, prendervi una bella bistecca del taglio che preferite, cuocerla al punto giusto e gustarvela accompagnata dal contorno che più vi piace. Io vi aspetto la prossima settimana. Buon appetito!