15/11/2020

L’ITALIENNE. Un tranquillo omicidio borghese per il commissario Melykian

In uno dei miei “giri” in libreria, negli scorsi mesi ho pescato un po’ a caso e ho “incontrato” una nuova autrice che, lo ammetto, non avevo mai sentito nominare: Tiziana Albertini Cassinis. Beh! Magari neanche voi la conoscete e quindi permettetemi di presentarvela. Milanese di origine, ha studiato filosofia alla Statale di Milano e Arte all’Accademia Linguistica di Genova e attualmente vive un po’ in Italia e un po’ in Francia; è stata pittrice, fotografa, autrice di inchieste giornalistiche, reportages e libri…insomma possiamo dire che proprio ferma non ci sta!!! Come scrittrice ha pubblicato “Il segreto di Anna e Marco”, libro-intervista sull’Aids, nel 1996, “Jack e la storia dei tubi”, un thriller per ragazzi, nel 2009, e il suo primo giallo “L’italienne. Un tranquillo omicidio borghese”, nel 2012. In un’intervista la stessa Albertini Cassinis, alla domanda sul motivo di questa differenza di generi e argomenti, ha risposto: “Apparentemente sembrano generi letterari diversi, in realtà tutti e tre i libri hanno una matrice comune, cioè l’indagine: ciò che ancora non si sa e che va scoperto…” E io ho letto, ovviamente, proprio quest’ultimo libro, che si può definire un noir psicologico e nel quale fa il
suo esordio un personaggio davvero intrigante: il commissario armeno Jacques Melykian, soprannominato Aznavour per la sua grande passione/fissazione per il grande chansonnier suo connazionale. La descrizione che l’autrice fa della sua creatura è particolareggiata “Era un uomo dal fisico asciutto e atletico, non molto alto, con un viso segnato, ben proporzionato e maschile, due occhi intensi e scuri che avevano fatto impazzire più di una donna…” Melykian parla diverse lingue, suona e canta Aznavour, appunto, è ribelle e idealista a suo modo, simpatico e molto empatico, uno che conosce e ama la vita e l’amore e vuole vivere ogni momento intensamente, rifiutandosi di invecchiare, o meglio, rifiutando di sprecare tempo a pensarci! Dopo il pensionamento dalla Polizia vive sull’Isola di Porquerolles, al largo della Costa Azzurra, su una barca aperta a tutti per un buon caffè turco o un bicchiere di limoncello. Sempre pronto ad accogliere chiunque gli chieda un aiuto, un consiglio o anche solo un po’ di tempo per una chiacchierata, Melykian ha alle spalle tre matrimoni che, però, non sono riusciti a togliergli la passione e il romanticismo che l’hanno sempre contraddistinto. Così come tutte le brutture viste nella sua lunga carriera di brillante poliziotto non gli hanno tolto la fiducia
nel genere umano e l’innata capacità e curiosità investigativa e deduttiva. Di conseguenza, quando un ex collega lo contatta per chiedergli aiuto per un caso di apparente suicidio di una donna dell’alta borghesia di Lione, il nostro “Aznavour”, seppur con una certa ritrosia, lascia la sua barca e si reca nella cittadina francese, presentata in questo romanzo come “fredda nelle strade e gelida nei rapporti sociali”. E inizia un’indagine che lo costringerà a spostarsi continuamente da Porquerolles a Lione e viceversa, alla ricerca di uno spietato omicida che si nasconde dietro un ostentato perbenismo, dietro la facciata di una tranquilla e scialba borghesia. E l’apparenza diventerà l’ostacolo più grande che il commissario dovrà superare per arrivare alla triste e spietata verità. Sullo sfondo, come già dicevo, il sole ed il mare di Porquerolles in netto contrasto con l’umidità ed il buio grigiore di Lione, accompagnano i pensieri, le ipotesi, i dubbi del commissario che non vede l’ora di chiudere il caso per poter tornare alla tranquillità della sua barca, nella quiete della
“sua” isola…ma siamo sicuri che non sia proprio lì, nel suo angolo di paradiso, che si nasconde la chiave di lettura dell’intera, intricata vicenda? Lascio a voi di trovare la risposta fra le pagine di questo libro che vi consiglio di leggere se amate il genere. E per quanto riguarda il gusto? Possiamo tranquillamente affermare che, oltre ai tanti caffè alla turca e agli innumerevoli bicchierini di limoncello, Melykian non si concede molto altro, anzi, si può dire che sia addirittura noioso…già perché si prepara sempre e solo una semplice bistecca ai ferri accompagnata da un’insalata. Per carità, non che io abbia nulla contro un pasto così salutare e per nulla scontato, anzi, ammetto che non mi dispiace affatto, ogni tanto, gustarmi una bella bistecca, cotta al punto giusto…ma che diamine! È sull’isola di Porquerolles e non si cucina mai una bella grigliata o una zuppa di pesce, è in Francia e non si gusta mai un bel piatto di formaggi misti con pane e verdure di stagione, è vicino all’Italia e non va oltre il limoncello...insomma il nostro buon commissario non è proprio un gourmet, tutt’altro! E a mio avviso la scelta di mangiare sempre le stesse cose è dettata semplicemente dalla pigrizia, perché appena si ritrova a Lione, fuori dal suo “nido”, sceglie i migliori bistrot per mangiare piatti ben più gustosi e sostanziosi! Beh! Comunque non si scappa: per il nostro “Aznavour” non ho potuto fare altro che optare per un’ottima bistecca ed una tenera insalata e le ho accompagnate con un bicchiere di vino bianco fresco al punto giusto. Ma giusto per non lasciarvi solo con questo semplice piatto, in caso non la conosciate, vi racconto l’origine del termine “bistecca” che è molto generico e comprende una grande varietà di tagli di carne
principalmente bovina. La leggenda vuole che il nome bistecca nascesse nella seconda metà del ‘500, durante una festa popolare a Firenze, in piazza San Lorenzo. Fra i tanti presenti, c’era anche un gruppo di cittadini inglesi, venuti nel Granducato per affari. Mentre si servivano fette di manzo arrosto (all’epoca chiamate carbonate perché cotte sulla brace) si sarebbero fatti avanti per gustare la carne e, conquistati dalla pietanza, avrebbero cominciato a gridare entusiasti tra la folla “beef steak - beef steak” per averne ancora. E così pare che i fiorentini abbiano subito italianizzato quella richiesta in “bi-stecca”. Altre versioni si basano sulla stessa etimologia, ma attesterebbero la nascita del termine anglosassone italianizzato nella città di Livorno, all’epoca scalo tra i più importanti d’Europa e sede di una numerosa e ricchissima comunità inglese, innamorata della maniera toscana di cuocere la carne di manzo. Quest’ultima interpretazione sembra avvalorata anche da altri termini tutt’ora in uso a Livorno che derivano dalla storica convivenza con la comunità inglese. Al di là della querelle un po’ campanilistica su quale città toscana l’abbia inventata, la parola bistecca compare ufficialmente per la prima volta all’Esposizione di Parigi alla fine del XIX secolo, esposta nel padiglione italiano. E pare che sia proprio da qui che nacque anche il nome
della “fiorentina”, la bistecca per eccellenza! Bene, ora che sapere anche qualcosina in più sulla storia di questo piatto semplice ma per nulla povero, non vi resta che andare dal vostro macellaio di fiducia, prendervi una bella bistecca del taglio che preferite, cuocerla al punto giusto e gustarvela accompagnata dal contorno che più vi piace. Io vi aspetto la prossima settimana. Buon appetito!


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