31/03/2021

IL COMMISSARIO AMBROSIO E LE UOVA STRAPAZZATE AL POMODORO

Per il libro di cui vi voglio parlare oggi, torniamo a Milano, la Milano di metà degli Anni Settanta, quella avvolta dalla nebbia, umida e malinconica, raccontata da Renato Olivieri (1925 – 2013). Olivieri, di origini venete, si trasferisce nella metropoli lombarda a 14 anni e lì vive fino alla sua morte. Impara fin da subito ad amare questa città e ne fa uno dei “personaggi” dei suoi romanzi. Giornalista e scrittore, incontra il successo grazie al protagonista dei suoi gialli, il commissario Ambrosio, di cui scrive per un ventennio, dal 1978 al 1998, e grazie al quale vince anche degli importanti premi letterari, fra cui l’ambito “Premio Scerbanenco” nel 1993. Amante del bello, conoscitore dell’arte e della natura umana, introverso, Olivieri “passa” queste sue caratteristiche ad Ambrosio e lo rende uno dei poliziotti più famosi nel panorama dei gialli italiani, interpretato al cinema dal grande Ugo Tognazzi nel film “I giorni del
commissario Ambrosio”, per la regia di Sergio Corbucci. L’esordio di Ambrosio avviene nel 1978, quando esce il primo libro che lo vede protagonista: “Il caso Kodra”. In una fredda sera di gennaio, a Milano (ovviamente!), una donna viene investita da un’auto e lasciata sul bordo della strada, di fronte al palazzo in cui viveva. Morirà più tardi al Policlinico, pronunciando una parola incomprensibile, simile a Pola, Paola, Paolo. Non ci sono testimoni e il caso dovrebbe essere archiviato come semplice ed ignobile omissione di soccorso…dovrebbe…sì, perché al vicecommissario Giulio Ambrosio qualcosa non quadra. Inizialmente si interessa della morte della misteriosa signora Anna Kodra, vedova e sola al mondo, unicamente in relazione alla via in cui abitava, via Catalani all'angolo con via Porpora, situata in una zona che lo riporta al passato. Poi, però, a poco a poco capisce che quello che sembra un caso di morte accidentale è un vero e proprio omicidio. Sostenuto dal commissario capo Massagrande, suo superiore, e dall’aiuto dell’affascinante Emanuela, giovane infermiera che ha assistito la vittima prima che morisse (e con la quale si mette a flirtare), Ambrosio sfodera le sue grandi doti investigative e inizia una vera e propria indagine. Cercando nella vita della signora Kodra finirà spesso avvolto dalla nebbia fitta, sia in senso figurato che in senso effettivo, e si ritroverà a dover scavare nel
passato per poter capire il perché, il come e il chi. Ambrosio ha un metodo tutto particolare di gestire il caso: ha una curiosità innata che lo spinge a fare domande su domande alle persone coinvolte e a ritornare nei luoghi che diventano parte integrante della matassa che cerca di dipanare. I vicini di casa, l’ex datore di lavoro, il presunto amante…tutti devono fare i conti con la tenacia di Ambrosio e con i suoi pacati ma efficaci interrogatori. Non vado oltre ma vi invito a leggere questo libro, a mio avviso godibile e scritto davvero bene, capace di coinvolgere e di regalare qualcosa anche ai lettori più esigenti. E adesso che vi ho presentato scrittore e protagonista, vi chiederete se possiamo parlare anche di gusto…ebbene sì! Ambrosio è un estimatore della buona cucina e sa bene cosa vuole. Sceglie locali dove sa che può mangiare e bere bene, anche quando si tratta di piatti cosiddetti “poveri”. "C’era un locale, mezzo caffè mezzo osteria, in via Lodovico il Moro, lungo il Naviglio Grande, di quelli frequentati da artigiani, bottegai del quartiere e camionisti…Il padrone, più largo che alto, portava intorno al ventre un grembiule bianco da oste, un mozzicone di matita all’orecchio. Data l’ora, quasi le due del pomeriggio, non c’era nessuno. Ambrosio aveva voglia di vino bianco secco e di uova strapazzate al pomodoro…” Ecco, avete capito? Il nostro vicecommissario le ha appena prese di santa ragione, ha appena risolto il caso e rischiato anche la vita e…cosa fa? Porta il principale testimone a mangiare in una trattoria! Fantastico! Questo è uno dei passaggi più belli del libro e non perché si parla di cibo ma perché dimostra quanto il gusto abbia importanza. Dopo una scarica di adrenalina,
dopo un crescendo di tensione, dopo momenti di pericolo e di sofferenza fisica, Ambrosio ha fame di qualcosa di semplice. Vuole ritrovare la “certezza”, la “consapevolezza”, quella che ti fa sentire ancora vivo, capace di gustare un piatto dai sapori decisi e un bicchiere di vino fresco. Le uova strapazzate al pomodoro per me sono un tuffo nel passato, un gusto ed un profumo che mi riportano bambina, a tavola, con la nonna. Lei le preparava ogni tanto, in particolare nei venerdì di Quaresima, perché non si poteva mangiare la carne e per me era una festa! E allora ecco a voi la semplice ma gustosa ricetta: se non l’avete mai assaggiata non sapete cosa vi siete persi!

UOVA STRAPAZZATE AL POMODORO

Ingredienti (per 2 persone): 4 uova extra fresche - Passata di pomodoro – Cipolla - Olio extravergine di oliva- Sale - Pepe

Per prima cosa tritate la cipolla finemente e fatela soffriggere in una padella antiaderente, con un filo

d'olio evo. Quando sarà leggermente dorata, aggiungete la passata di pomodoro e un pizzico di sale. Fate cuocere per circa cinque minuti e, intanto, sbattete le uova in una terrina, con un pizzico di sale e pepe. Aggiungetele al pomodoro e mescolatele, facendo attenzione che non si rapprendano troppo ma che rimangano morbide. Servite insieme a dei crostini di pane e ad un bicchiere di vino bianco fresco: buon appetito!


25/03/2021

JACK TAYLOR: INDAGINI E WHISKEY NELLA VERDE IRLANDA

La fantastica voce di Fiorella Mannoia canta “Il cielo d'Irlanda è un oceano di nuvole e luce…” e questa settimana facciamo un viaggio virtuale proprio nella pittoresca e verde Irlanda e andiamo a prenderci un buon caffè a Galway, una delle più grandi città della costa occidentale. È ambientata qui, infatti, la serie televisiva “Jack Taylor”, basata sui libri di Ken Bruen. Lo scrittore irlandese ha scritto diversi romanzi, e non solo con questo personaggio, ma il successo è arrivato proprio grazie alla trasposizione delle avventure di Taylor sul piccolo schermo. Ma cerchiamo di conoscere meglio il protagonista della serie che prende il suo nome…Ufficiale della “Garda”, la polizia irlandese, Jack Taylor (interpretato dal britannico Iain Glen) è
un poliziotto brillante, che ama il suo lavoro ed è abituato a condurre le proprie indagini “alla vecchia maniera”, basandosi sul proprio intuito e affidandosi alle proprie conoscenze ed esperienze, contrario all’utilizzo delle moderne tecnologie. Affascinante, controverso, con una forte e pericolosa dipendenza dall’alcol, Taylor usa spesso delle maniere un po’ troppo brusche ed è incapace di rispettare le regole, pur avendo un suo codice d’onore e un forte senso della giustizia. Dopo aver aggredito un politico a cui stava contestando un illecito, viene espulso dalla Garda e si allontana per un po’ di tempo dalla sua città. Al suo rientro, ritrova vecchi amici e vecchi nemici, fa nuove conoscenze e si scontra con i fantasmi del suo passato…e decide di guadagnarsi da vivere (e da bere!) facendo la cosa che gli riesce meglio: il segugio! E così si reinventa investigatore privato e si ributta nella mischia. Accanto a lui troviamo sempre il giovanissimo e fidato Cody, aspirante detective che prova un misto di ammirazione e pietà nei confronti di quell’ex
poliziotto che beve troppo, ogni tanto fa a cazzotti e sembra non voler ragionare ma è capace di risolvere anche i casi più complessi, riuscendo sempre a sorprenderlo, nel bene e nel male. Nelle sue indagini, Jack è aiutato anche da Kate Noonan, poliziotta e vecchia amica, con la quale potrebbe “scattare” quel qualcosa in più che però rimane bloccato dall’incostanza di Taylor e dalle sue troppo frequenti bevute. Sullo sfondo, come dicevo, la città di Galway, di cui ci viene presentata la solare bellezza alternata all’oscurità dei bassifondi malfamati, e la fierezza dei suoi abitanti legati alla terra, al mare, alle tradizioni, e soprattutto al loro essere irlandesi. Nei casi che vengono affrontati da Jack vengono presentate le speranze di chi vorrebbe cambiare il mondo, contrapposte alla rassegnazione di chi pensa che la vita non abbia più niente da offrire, e tutto questo lo ritroviamo nello stesso Taylor, divorato da una dipendenza dalla quale non riesce (o non vuole?) guarire eppure attaccato tenacemente alla vita ed alla giustizia, un uomo dall’animo “spezzato” ma dal cuore grande, che spesso piange davanti alle brutture ed alle sofferenze degli altri e si arrabbia quando vede i deboli sfruttati e perseguitati dai più forti. Al momento la televisione irlandese ha prodotto tre stagioni e sembra debbano iniziare a girare la quarta. Da noi, invece, gli episodi sono andati in onda (e continuano ad andare in onda) a “singhiozzo” ed in orari e giorni sempre diversi (…infatti non sono ancora riuscita a vederli tutti! Spero di riuscirci prima o poi!) Per quanto riguarda le edizioni in italiano dei romanzi di Bruen…beh! Le sto cercando e anche questa non sembra impresa da poco…ma tranquilli: non demordo! Spostandoci sul “fronte” del gusto, come potete intuire, posso solo dirvi che non è facile vedere il nostro Jack alle prese con un vero e proprio pasto, anzi! A parte le patatine fritte e un piatto di uova e
bacon a colazione, quando si ricorda di farla, lo si vede sempre e solo bere…ovviamente whiskey rigorosamente Irish alternato a qualche boccale di Guinness! Quindi, non potendo proporvi di andare in un pub tutti insieme (!), ho deciso di proporvi qualcosa di tipicamente irlandese che ho avuto la fortuna di assaggiare in loco, durante un fantastico viaggio di lavoro di tanti (troppi) anni fa nel sud dell’Irlanda: l’Irish coffee. Si tratta di un caffè caldo, servito con panna, zucchero e whiskey. Gli
irlandesi lo bevono abitualmente e, in effetti, in alcune giornate fredde e piovose è proprio indicato, perché scalda non poco! Molti lo paragonano al nostro vin brulè ma è molto più alcolico, credetemi. Vi confesso che, quando l’ho assaggiato per la prima volta, sono stata contenta che fosse nel bar dell’hotel in cui alloggiavo, perché così ho dovuto solo trascinarmi all’ascensore, aprire la porta della mia camera e stramazzare sul letto!!! Secondo la tradizione questa bevanda venne creata nel 1943 da Mr Joe Sheridan, chef di un ristorante di Foynes. Pare che una notte all’aeroporto giunse un gruppo di viaggiatori, arrabbiati e infreddoliti a causa della cancellazione del loro volo per il maltempo. Per aiutarli a scaldarsi e per cercare di calmarli, Sheridan servì loro un caffè forte, zuccherato, corretto con whiskey e guarnito con della panna. Fu un successo! Da quel momento la calda e confortante bevanda iniziò ad essere preparata abitualmente dallo stesso Sheridan e venne “esportata” in tutto il mondo, pur rimanendo tipicamente irlandese. (Nel 1988, l'Autorità Irlandese degli Standard Nazionali pubblicò lo standard di preparazione dell'Irish Coffee, noto sotto la voce "I.S. 417: Irish Coffee"). A questo punto direi che, se ancora non l’avete fatto, dovete assolutamente assaggiarlo. Prepararlo non è difficile, ve lo assicuro, si tratta solo di seguire attentamente i pochi e semplici passaggi indicati nella ricetta originale. Magari gustatelo leggendo o guardando in TV le avventure di Jack Taylor…ma senza esagerare, altrimenti vi ritroverete ubriachi in men che non si dica!

IRISH COFFEE

Ingredienti: 5 g di zucchero di canna (un cucchiaino o una bustina) - 90 ml di caffè bollente - 40 ml di whiskey irlandese - 30 ml panna fresca liquida (a piacere cannella o noce moscata per guarnire).

L'Irish coffee si realizza con la tecnica “build”, cioè direttamente nel bicchiere: preparate il caffè con la moka, meglio se lungo. Versate il whiskey, il caffè bollente e lo zucchero in un bicchiere capiente precedentemente riscaldato con acqua bollente, e mescolate facendo sciogliere bene lo zucchero. Inserite la panna fresca nello shaker e agitate per circa dieci secondi. Fatela riposare un momento e poi versatela piano piano nel bicchiere, magari aiutandovi con un cucchiaino, appoggiandolo alla parete del bicchiere con il dorso rivolto verso l'alto. Se volete potete guarnire con una spolverata di cannella o di noce moscata. Servite ben caldo e... Sláinte (che in gaelico significa “salute”)! 

19/03/2021

LAW & ORDER: INDAGINI AL GUSTO DI CAFFÈ

Alzi la mano chi non ama il caffè! Già, siete davvero pochi! “Il caffè è un piacere…” recitava una famosa pubblicità ed è proprio così. Questa bevanda dal gusto robusto e dall’aroma avvolgente è, per molti, sinonimo di socialità, di relax, di intervallo. La pausa caffè (o coffee break per chi preferisce!) è ormai parte integrante della giornata lavorativa di ciascuno di noi, viene inserita obbligatoriamente nei convegni, negli eventi formativi, nelle “riunioni-fiume”…persino in questi tempi di lavoro agile (o smart working sempre per chi preferisce!) ci ritagliamo dei momenti per concederci una tazzina di caffè. Al bar, al distributore automatico, con la macchinetta o con la classicissima moka…ognuno di noi ha le sue preferenze e non rinuncerebbe mai a bersene una o più tazze. Non starò a tediarvi con tutte le varie nozioni e informazioni circa questa famosa bevanda, vorrei, però, condividere alcune curiosità che ho scoperto leggendo qua e là, un po’ sulla carta un po’ on line. Anzitutto non è ancora ben chiaro quando il caffè ha fatto la sua apparizione nel mondo: la cosa certa è che gli archeologi ne hanno trovato traccia in scritti risalenti al 900 D.C. in cui si parlava di un suo utilizzo in medicina. Fra miti e leggende legate alla sua scoperta, la più diffusa e verosimile pare sia quella che racconta di un pastore etiope di nome Kaldi. Egli osservò che il suo gregge era molto attivo e dormiva meno dopo aver ingerito delle bacche rossastre, ossia le bacche di caffè, e così decise di assaggiarle, scoprendo il loro effetto corroborante. A poco a poco l’usanza di utilizzare queste bacche come cibo energetico si diffuse sempre di più tra la gente del luogo e ben presto dall’Etiopia si diffuse nelle zone
limitrofe. La prima piantagione di caffè sorse nello Yemen, dopodiché la coltivazione si diffuse progressivamente anche in Arabia e in Egitto. Il caffè come bevanda divenne ben presto una vera e propria abitudine in diversi paesi del Medio Oriente e da lì venne fatto conoscere in tutto il mondo. In Europa arrivò nel XVII° secolo, grazie ai traffici dei mercanti veneziani, e, prima di diventare famoso e di venire apprezzato, dovette anche combattere contro la diffidenza di chi lo chiamava la “bevanda del diavolo”. Erano molti, infatti, i sacerdoti che facevano pressioni affinché il Papa, Clemente VIII°, ne vietasse l’uso. Prima di farlo, però, il pontefice volle assaggiarlo e, contrariamente a chi ne sosteneva la “malvagità” lo apprezzò tanto da iniziare a consumarlo abitualmente e da contribuire alla sua diffusione (ah! Benedetto gusto!!). Da quel momento nacquero i primi “caffè”, botteghe “antenate” dei bar, in cui si poteva consumare quella che sarebbe diventata una vera e propria “bevanda sociale”. Il seguito vi invito a scoprirlo da soli…lo troverete davvero interessante, credetemi! Ma veniamo a noi…vi starete chiedendo come mai oggi ho iniziato il mio post parlandovi proprio del caffè…no, tranquilli, non ho bevuto troppo caffè e non sono diventata matta (beh! Un po’ lo sono sempre stata…ma questa è un’altra storia!) …per spiegarvelo vi farò una domanda: quante sono le tazze di caffè consumate dai vari poliziotti, detective, investigatori e
affini protagonisti di libri, film e serie TV? Non riuscite a quantificarle, vero?!? Ovvio, perché si tratta di un numero infinito! Tanti dei protagonisti di cui vi ho parlato nel mio blog ne bevono…alcuni fin troppi! Se si parla di libri o telefilm italiani vediamo i nostri eroi di turno consumarlo a casa, al bar o all’immancabile distributore automatico (con tutte le smorfie del caso!). Se ci spostiamo in un Paese europeo le tazze iniziano a diventare più grandi ed il caffè si allontana dalla nostra “versione”. Ed infine arriviamo oltreoceano e troviamo quella che, almeno a me, sembra una “brodaglia scura” ben lontana dalla nostra concezione di caffè espresso! I vari detective o ispettori si siedono alle loro scrivanie e si riempiono una tazzona dall’onnipresente caraffa di vetro, offrendone a destra e a manca…sono in auto per un appostamento e hanno l’immancabile bicchiere con coperchio…si trovano sulla scena del delitto e arriva l’agente di turno con ciambelle e bicchieri di caffè caldo per tutti…vanno ad interrogare testimoni e sospettati e accettano “solo un caffè”…pranzano al bancone di una tavola calda e mangiano uova e bacon o hamburger e patatine bevendo caffè…Gli esempi sono molteplici e verrebbe da pensare che, in pratica, il caffè dovrebbe essere inserito di diritto nel cast di ogni film o telefilm e nell’elenco dei personaggi di ogni libro made in USA!!! Pensate, per esempio, ad una qualsiasi serie televisiva americana: è difficile vedere uno dei protagonisti mangiare tranquillamente, a meno che non si tratti di un qualcosa preso e consumato “al volo”, ma ogni episodio ha almeno una delle scene che vi ho elencato sopra! A questo proposito vorrei parlarvi oggi di una delle serie TV americane più famose e longeve: “Law & Order”. Nata nel 1990 dalla mente di Dick Wolf, suo creatore e oggi uno dei produttori più affermati della tv statunitense, questa serie mette insieme per la prima volta due dei generi più amati dal pubblico: il poliziesco e il “legal drama”, ispirandosi spesso a fatti realmente accaduti. L’inedito mix di indagini guidate dai poliziotti, che davano poi spazio anche alle conseguenze legali in tribunale, conquistò immediatamente i telespettatori, dando vita a un mastodontico “franchise crime” che, ad oggi, conta svariati “spin-off” e quasi 1200 episodi in tutto. Nel
cast si sono alternati diversi attori (fra gli altri Jerry Orbach e Chris Noth), mentre altri sono stati presenti per tutte le 12 stagioni. L’elemento chiave, però, è rimasto sempre lo stesso: l’alternanza fra indagini “sul campo” e dibattiti e arringhe nell’aula di un tribunale. A questo si aggiunge il lavoro di squadra fra polizia e pubblico ministero e, soprattutto, l’ambientazione nella Grande Mela. E mentre il successo della serie “madre” aumentava, nascevano gli spin-off. Fra gli altri “Law & Order - Criminal Intent”, con il fantastico duo formato da Vincent D’Onofrio e Kathryn Erbe, “Law & Order L.A.”, ambientato a Los Angeles e “Law & Order – UK”, che sposta la scena a Londra, facendo conoscere una diversa gestione processuale. E, soprattutto, “Law & Order - Special Victims Unit”, l’unica “derivazione” ancora attualmente in onda che, con le sue 22 stagioni, è diventato il titolo più longevo di tutto il franchise. La serie, nata nel 1999, segue le vicende dell’Unità speciale della polizia di Manhattan, specializzata in crimini a sfondo sessuale, in particolare a quelli rivolti a bambini, anziani e giovani. Nonostante le trame, spesso davvero molto crude, la serie ha avuto un immediato e duraturo successo, anche grazie alla chimica fra i due protagonisti, gli investigatori della polizia di New York Olivia Benson e Elliot Stabler, interpretati rispettivamente dai bravissimi Mariska Hargitay e Christopher Meloni. E voi? Fra i diversi spin-off, qual è quello che preferite? Sinceramente ho visto alcune stagioni di tutte le varie versioni e devo ammettere che, pur apprezzandole tutte, ho amato tantissimo “L&O – Criminal Intent” (e Vincent
D’Onofrio!). Il modo quasi subdolo dell’approccio psicologico con cui il magnifico detective Goren, affiancato dalla paziente collega Eams, arriva ad inchiodare il colpevole di turno è a dir poco geniale! Goren/D’Onofrio ha una cultura sconfinata, è acuto e meticoloso, capace di entrare nella mente del criminale di turno, immedesimandosi e arrivando a cogliere le emozioni e gli impulsi più nascosti, fino a farlo crollare. Ovviamente, come tutti i più brillanti detective, non potrebbe nulla senza il prezioso supporto professionale e umano della sua partner e la fiducia del suo capo, pronto a coprire le sue scorrettezze burocratiche per permettergli di risolvere i vari casi. La serie è andata in onda per 10 stagioni e poi, per vari motivi legati anche all’inevitabile avvicendarsi degli attori protagonisti, è stata sospesa. Le repliche continuano ad essere trasmesse e seguite su diversi canali specializzati nel genere (Giallo e Top Crime per citarne due)
e “L&O”, nelle diverse versioni, continua ad avere successo. Una curiosità: una delle caratteristiche che contraddistingue tutte le serie di Law & Order è un elemento davvero distintivo e riconoscibile, qualcosa che rende immediatamente chiaro agli spettatori che cosa stanno guardano. È un suono di pochi secondi, una specie di “dun – dun” o “chung – chung”, rielaborato digitalmente e sovrapposto ad altri suoni per ottenere qualcosa di metallico e altamente simbolico. Viene utilizzato come raccordo nei cambi di scena dei vari episodi, per evocare un’atmosfera ben precisa. L’effetto sonoro, divenuto letteralmente iconico, è opera di Mike Post, celeberrimo compositore delle colonne sonore di numerose serie tv, e in tanti hanno ipotizzato che il musicista volesse riprodurre un suono ben preciso, come il martelletto del giudice in tribunale o la chiusura
metallica di una cella o ancora i colpi di una pistola con il silenziatore…Post non si è mai sbilanciato…chissà se qualcuno ha indovinato o se si tratta di qualcosa di completamente diverso? Fatto sta che è un suono ormai inconfondibile e legato indissolubilmente a tutti gli episodi delle tante serie. A voi piace? Fatemelo sapere e, se siete fra i pochi che non hanno mai visto nemmeno un episodio dei vari “L&O”, non indugiate e rimediate subito! Sceglietene una e fatevi una bella maratona-TV…ah! Dimenticavo: se vi viene sonno basterà bere un buon caffè!!! Vi aspetto la prossima settimana.