17/11/2024

LA SQUILLO E IL DELITTO DI LAMBRATE – LA PRIMA INDAGINE DI MARGHERITA GRANDE

Classe 1939, Dario Crapanzano è uno dei più famosi giallisti italiani. Dopo una laurea in Giurisprudenza e un diploma all'Accademia di Arte Drammatica (compagno di corso di Mariangela Melato) lavora in campo pubblicitario per poi esordire come scrittore nel 1967, con la guida sentimentale “A Milano con la ragazza...e no”. Il successo, però, insieme alla notorietà arriveranno solo nel 2011, quando Crapanzano decide di creare il personaggio del commissario Mario Arrigoni, che sarà protagonista di nove indagini in altrettanti romanzi. Nel 2018, invece, scrive il primo dei due libri che raccontano le vicende e le indagini di Margherita Grande, personaggio decisamente originale. Entrambi, Arrigoni e Margherita, si muovono nella Milano degli Anni Cinquanta, quelli della ricostruzione, dove ci si muove ancora con poche macchine nella nebbia che avvolge tutto e tutti. Milano è la protagonista principale di tutti i romanzi di Crapanzano a partire dai titoli e ci si ritrova all’ombra della Madonnina in ogni pagina. Vi parlerò in un’altra occasione del commissario Arrigoni, perché ho deciso di presentarvi prima la figura di Margherita Grande. Sono solo due i romanzi che la vedono protagonista: “La squillo e il delitto di Lambrate”, e “Una contessa a Chinatown”. Crapanzano, infatti, morto nel 2020 nella sua abitazione milanese, non ha potuto scriverne altri. Io ho letto il primo, per ora, ed è di questo che vi scrivo oggi. Siamo nel 1951 e la bella Margherita sbarca il lunario facendo la cameriera. La guerra le ha portato via i genitori e lei si ritrova, appena ventenne, a dover mantenere i due fratellini più piccoli e l’anziana nonna. La sua intelligenza, la sua vivacità, la sua bellezza e la sua innata eleganza, però, non passano inosservate e ben presto le viene proposto qualcosa di diverso e molto ben remunerato...quello che viene chiamato “il lavoro più vecchio del mondo” … E così, tenendolo
nascosto alla famiglia ed ai tanti amici e conoscenti, Margherita diventa una squillo d’alto bordo, in una lussuosa casa di via Monte Rosa. La signora che l’ha assunta ha capito subito le sue potenzialità e la trasforma, in poco tempo, in una delle ragazze più ambite dai clienti altolocati che frequentano la sua esclusiva casa di appuntamenti. Margherita, inizialmente titubante, mette a tacere la sua ritrosia e la sua coscienza davanti ai primi guadagni, che le permettono non solo di vivere meglio ma di far studiare i suoi fratellini, garantendo alla sua famiglia una vita tranquilla e dignitosa. Un giorno scopre che una delle sue amiche d’infanzia è accusata dell’omicidio del fidanzato, capo di una banda della ligera, la malavita milanese. Convinta della sua innocenza, si imbarca senza alcun indugio in un’indagine che la porterà a scoprire segreti di persone losche e di altre apparentemente “per bene”. Fra un appuntamento e l’altro, Rita (come viene chiamata dagli amici) riesce così a sbrogliare un’intricata matassa, fatta di tradimenti, bugie e sottili abusi di potere. Grazie alle sue conoscenze altolocate, arriva a sottoporre il risultato delle accurate e solitarie indagini al vicequestore, che rimane sbalordito dalle sue capacità investigative e dal suo acume…oltre che dalla sua bellezza, ovviamente! Il libro mi è piaciuto molto e vi confesso che l’ho letto tutto in un pomeriggio: ve lo consiglio proprio! La scrittura è scorrevole e “leggera”, coinvolge dall’inizio alla fine e sicuramente Margherita, al centro di alcuni divertenti siparietti, è capace di conquistare il lettore fin dalle prime righe. Ogni personaggio, anche quello che compare solo brevemente, è ben caratterizzato e occupa un suo specifico spazio. Per quanto riguarda il gusto, vengono citati qua e là dei piatti e delle bevande ma nulla di particolare…quindi ho deciso di proporvi una ricetta che è proprio solo milanese. Un dolce che parla in meneghino: il pan mejno o pan de mej (pane di miglio in dialetto milanese).

Conosciuto anche come pane dei poveri, è un dolce tipico lombardo, in particolare della cucina milanese. Si tratta di fragranti biscotti a base di farina 00 e farina di mais, aromatizzati con fiori di sambuco essiccati, che conferiscono loro un aroma fresco e leggermente erbaceo. L'origine del dolce non è certa, ma pare che il nome derivi dal miglio, cereale largamente utilizzato nell'antichità per produrre il pane. La leggenda narra che, con il passare del tempo, il "pane di miglio" si sia trasformato in una sorta di focaccina dolce, preparata tradizionalmente il 23 aprile per celebrare San Giorgio, protettore dei lattai, i quali offrivano per l'occasione tazze di panna da accompagnare al pan de mej. Un'altra versione racconta, invece, che il pan meino venne inventato nel XIV secolo nelle campagne milanesi per festeggiare la vittoria di Luchino Visconti sui briganti. Qualunque sia la sua origine, sta di fatto che da secoli non c’è giorno di San Giorgio in cui un vero milanese non mangi almeno un pan mejno inzuppato nella panna fresca (…anche se, a mio avviso, non è necessario limitarsi a gustarlo solo una volta all’anno)!!! Nel tempo molti pasticceri e fornai hanno apportato delle modifiche alla ricetta, mettendo l’anice o utilizzando solo la farina gialla, facendoli più grandi o più piccoli, togliendo lo zucchero a velo e aggiungendo del cacao…La ricetta che vi propongo è quella originale, che vuole tassativamente i fiori di sambuco. Io ho faticato un pochino a trovarli ma poi è venuta in mio aiuto la mitica signora Betty, che me li ha procurati e alla quale dedico questa preparazione, ringraziandola di cuore!

RICETTA DEL PAN DE MEJ

Ingredienti (per 18/20 biscotti): 200 gr farina 00 – 300 gr farina di mais (meglio se fioretto) – 150 gr burro – 150 gr zucchero semolato – 3 uova – 16 gr lievito per dolci – 1 cucchiaino di estratto di vaniglia (o una bustina di vanillina) – un pizzico di sale – zucchero a velo e semolato – fiori di sambuco essiccati

In una ciotola lavorate uova, zucchero ed estratto di vaniglia con le fruste elettriche fino a ottenere una massa gonfia e spumosa. Unite il burro, precedentemente sciolto e lasciato raffreddare, e un pizzico di sale. In un altro recipiente unite le farine e il lievito, mescolatele insieme e poi setacciate il tutto direttamente nella ciotola con gli ingredienti liquidi.  Amalgamate il tutto fino ad ottenere un impasto compatto e poco appiccicoso. Coprite con pellicola e riponete in frigorifero per una mezz'ora. Trascorso il tempo necessario, prelevate delle porzioni di impasto e formate delle palline di circa 60 grammi ciascuna. Appiattite ogni sfera per ottenere dei dischi di circa 9 cm di diametro e adagiateli su una leccarda rivestita di carta forno, facendo attenzione a tenerli distanziati. Cospargete ogni biscotto con un pochino di zucchero semolato, una spolverata di zucchero a velo e dei fiori di sambuco. Cuocete in forno statico, preriscaldato, a 180° per 15/20 minuti. Una volta sfornati, lasciateli raffreddare e, al momento di servirli, cospargeteli con altro zucchero a velo (se conservati in un contenitore ben chiuso si possono mantenere fino a 4 o 5 giorni…se resistete!!!).

Come vi dicevo, tradizione vuole che si gustino con la panna fresca ma c’è chi li preferisce nel latte o con il vino…decidete voi come e quando ma vi consiglio di provarli in qualsiasi stagione e magari leggendo un bel libro! Buona degustazione e alla prossima!


  

27/10/2024

IL CLUB DEL CRIMINE E IL COMPLICATO CASO DEI CIOCCOLATINI AVVELENATI

 Grazie ad una carissima amica, che me lo ha regalato, è arrivato nelle mie   mani il libro “Il caso dei cioccolatini avvelenati”, pubblicato da “Polillo   editore” nella serie “I bassotti – Mystery Collector’s Edition” e scritto da   Anthony Berkeley Cox, scrittore britannico di libri gialli, nato nel 1893.   Berkeley Cox iniziò a scrivere nel 1925, quasi per gioco e con uno dei suoi   tanti pseudonimi ma, dopo il successo ottenuto, decise di dedicarsi alla   letteratura gialla, sia come scrittore che come critico. Nel 1928 fondò a   Londra il celebre Detection Club, al quale aderirono giallisti del calibro di G.   K. Chesterton, Agatha Christie, Dorothy L. Sayers, Freeman Wills Crofts e negli anni Trenta lavorò come recensore sulle pagine del Daily Telegraph. Nel 1939   Berkeley cessò la sua attività letteraria, limitandosi a quella di critico per The Sunday Times. Il suo nome, però, resterà per sempre legato a quella che viene detta “Età d’oro dei libri gialli”. Nel panorama di questo genere letterario, infatti, è considerato uno degli autori più importanti, insieme al suo personaggio più famoso, Roger Sheringham, protagonista di dieci romanzi, il più conosciuto e apprezzato dei quali è “The Poisoned Chocolates Case” (1929), in Italia intitolato, appunto, “Il caso dei cioccolatini avvelenati”. 

La trama è interessante…Il presidente dell'esclusivo Club del Crimine, Roger Sheringham, ha un’idea per vivacizzare le assemblee, ultimamente un po' noiose. Perché non indagare su un caso vero, un caso reale che ha scosso l'opinione pubblica…un caso di omicidio? Tramite le sue conoscenze altolocate, è riuscito ad avere il permesso per fare questa “esercitazione” direttamente da Scotland Yard e, dopo aver riunito tutti i soci, presenta l'ispettore capo Moresby, il quale si mette a raccontare come sono avvenuti i fatti. “Il 15 novembre Sir Eustace Pennefather ha ricevuto una scatola con un biglietto di accompagnamento. Nel biglietto c'era scritto che l'importante ditta di dolci Mason & Sons voleva un parere, da lui, a proposito di nuovi cioccolatini appena creati. Sir Pennefather odia i cioccolatini, per cui li regala al socio del suo circolo ricreativo, il giovane e ricco Graham Bendix. (N.B. Il biglietto accluso alla scatola di cioccolatini e la confezione che l'avvolgevano, vengono gettati nel cestino dell'immondizia). Bendix porta la scatola di cioccolatini a casa da sua moglie e mentre lui ne assaggia solo un paio, sua moglie ne mangia otto o nove. Dopo poco l’uomo torna al circolo, e si sente male, mentre sua moglie, a casa da sola, muore. Il sospetto cade immediatamente sui cioccolatini che, dopo accurate analisi, si confermano essere stati avvelenati. Chi è stato? E perché? E a chi erano destinati?”
Moresby lascia tutte queste domande in sospeso, risvegliando la curiosità dei membri del club. Afferma, inoltre, che Scotland Yard ha ufficialmente chiuso il caso, dichiarando che i dolci sono stati avvelenati da un pazzo sconosciuto e che fu solo la “sorte avversa” ad averli fatti finire nelle mani (e nello stomaco) dei coniugi Bendix, provocando la tragica morte della giovane donna, colpevole solo di troppa golosità. In realtà l’ispettore non è convinto che la soluzione possa essere così “banale” e decide di svelare al Club tutti i particolari, compresi quelli non ufficiali, confidando nell’acume dei vari soci per poter risolvere il complicatissimo caso. Il Club del Crimine è composto da menti brillanti: Sir Charles Wildman, avvocato di vecchia scuola, Mabel Fielder-Flemming, commediografa, Morton Harrogate Bradley, scrittore di gialli, Alicia Dammers, scrittrice di romanzi, Ambrose Chitterwick, ometto anonimo e timidissimo e Roger Sheringham, scrittore e presidente del Club. Congedato Moresby e rimasti soli, i soci si accordano su come affrontare e risolvere questo “affascinante” caso di omicidio. Le regole sono semplici: ognuno potrà lavorare a questa esercitazione come meglio crede e, a turno, esporre le proprie teorie e conclusioni al resto dei soci. Tutti loro, uno alla volta, portano a termine il compito e ciascuno  espone la propria teoria, basata su quanto acquisito da Moresby e da ulteriori indagini svolte personalmente e segretamente. Le teorie sono tutte diverse e portano a diverse possibili soluzioni con altrettanti colpevoli…chi ha ragione? Chi è stato ad avvelenare i cioccolatini? Ovviamente non posso svelarvi niente! Se volete scoprire la soluzione e capire chi è il colpevole, dovrete leggere il libro. Vi avverto, però, non è facile da trovare e non è un genere che può piacere a tutti. Il racconto, infatti, risulta per certi versi un po’ statico…pagina dopo pagina si “ascoltano” le varie versioni dei soci, le loro indagini, i ragionamenti e le intuizioni che li hanno portati a puntare il dito contro questa o quella persona…non ci sono pedinamenti, inseguimenti, sparatorie, colpi di scena…solo ed esclusivamente le riunioni del Club in ciascuna delle quali, uno alla volta, i soci espongono le loro teorie. Se vi piace il genere o se siete semplicemente curiosi di conoscerlo, allora vi consiglio vivamente questa lettura…naturalmente sarebbe ottimale, mentre si sfogliano le pagine e si avanza nella trama, avere a portata di mano una tazza di tè caldo e una bella scatola di cioccolatini. Fate attenzione, però: comprateli voi e verificate che la confezione sia integra…è sempre meglio stare tranquilli e non correre rischi!!!!

Buona lettura, allora, e alla prossima!!!


22/04/2024

A TAVOLA CON LUCIANO COSIMO CARLUCCIO E…IL COMMISSARIO CUCCI!

Vi ho già parlato in due occasioni del commissario Cosimo Cucci, detto Mino, e del suo creatore, Luciano Cosimo Carluccio (per chi se li fosse persi, sono i post del 18/09/19 e del 19/02/2023) e spero di tornare presto a leggere uno dei suoi romanzi e ad invitarvi a fare altrettanto…Nel frattempo, però, voglio condividere una bellissima esperienza, una di quelle che non capitano proprio tutti i giorni…anzi!!! Vi ho incuriosito? Ebbene…una decina di giorni fa ho avuto il privilegio di accogliere a casa mia Luciano Cosimo Carluccio e sua moglie Laura…li ho invitati, infatti, a gustare un pranzo che ho preparato ispirandomi proprio ai libri e alla figura del commissario Cucci. Beh! Vi assicuro che è stata un’escalation di emozioni! Anzitutto i preparativi sono iniziati molto tempo prima della data fissata, perché ho dovuto scegliere i piatti “attingendo” un po’ dalla tradizione salentina e un po’ da quella meneghina, cercando di farle incontrare e di abbinarle nelle diverse preparazioni, senza troppe contaminazioni, lasciando piuttosto emergere ora l’una ora l’altra (chi lo conosce, infatti, sa che il commissario Cucci è di origine salentina e vive e lavora a Milano). Successivamente ho voluto abbinare alcuni passaggi dei quattro libri di Carluccio, per sottolineare un’emozione, uno stato d’animo, un semplice momento del commissario 
Cucci, qualcosa, insomma, che mi permettesse di spiegare la scelta di ogni singolo piatto. È stata una bella sfida e mi ha dato l’occasione di tornare tra le pagine di libri che avevo già apprezzato. Una volta approntato il menù, ho invitato i coniugi Carluccio e fino all’ultima preparazione ho dato il massimo per presentare i piatti proprio come li avevo scelti e pensati…ed è stato davvero un successo! È stata una vera gioia e ho provato una grande soddisfazione nel vedere Laura e Luciano gustare e apprezzare ogni portata! Ovviamente ho preparato un menù scritto che riportava i brani scelti e li ho fatti leggere direttamente dall’autore…del resto…quando mai mi ricapita?!? Il pranzo è stato molto piacevole e ho anche potuto fare qualche domanda a Luciano sul commissario Cucci e sul suo futuro…beh! Non si è sbilanciato molto (e comunque se anche lo avesse fatto non potrei mai e poi mai rivelare nulla!!!) ma una cosa è certa…adesso aspetto con trepidazione il prossimo libro! Voglio condividere con voi i piatti che ho preparato ma non posso fare altrettanto con tutti i brani, altrimenti rischierei di spoilerare qualcosa e non è assolutamente mia intenzione. Invito, piuttosto, chi ancora non l’avesse fatto, a leggere i libri di Carluccio…sono certa che vi piaceranno. Se poi volete anche cimentarvi in una delle preparazioni…vi posso assicurare che non sono difficili come sembra e sono decisamente buoni!

 A TAVOLA CON IL COMMISSARIO CUCCI: DAL SALENTO A MILANO

Abbiamo iniziato con un aperitivo che attingeva dai classici salentini e da quelli meneghini, giusto per “entrare in tema”: friselle “alla maniera di Cucci” (vedi il libro “Rifiuti particolari”) accompagnate da olive e taralli e antipasto “meneghino” (pane, burro e acciughe) servito con giardiniera



Si è proseguito con un primo piatto tipicamente milanese, il risotto giallo, abbinato ad un altro tipicamente pugliese, crema di fave con cicoria saltata e pane tostato: Il risotto alla milanese incontra le fave e la cicoria (brano tratto da “Perfidi inganni”)

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Per rendere l’idea di Milano, città tentacolare, e delle contaminazioni delle varie etnie che vi convivono, ho scelto un emblema della cucina salentina, servito con un contorno “vintage” della cucina meneghina: Polpo in due cotture servito su salsa piccante e accompagnato da patate prezzemolate (ancora “Perfidi inganni)

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Per fare una pausa fra un piatto e l’altro e per richiamare il titolo e l’esoticità di un altro dei libri di Carluccio, ho poi scelto un piatto originale che nulla ha a che vedere né con Milano né con il Salento:

Minestrone di frutta (brano da “Perline colorate”)

-        E per finire ho optato per un dolce abbastanza “inflazionato” sulle tavole di molti ristoranti ma che vuole richiamare il dolce-amaro delle vicende raccontate nell’ultimo libro di Carluccio “Scatti mortali a Milano”, dove Cucci è messo a dura prova ma realizza che, anche “dentro” alle vicende più brutte si può comunque trovare l’amore vero, che scalda anche i cuori più freddi. E l’ho abbinato al caffè alla salentina, che si serve con latte di mandorla e ghiaccio, per meglio esprimere il “contrasto” caldo-freddo”: Tortino fondente con cuore morbido servito con caffè alla salentina

La ricetta che vi lascio è proprio quella del dolce. Provatelo: è facilissimo e davvero goloso! Se vi interessano anche le altre…scrivetemi!!!!

 TORTINO FONDENTE CON CUORE MORBIDO

Ingredienti per 8 tortini - 200 gr di cioccolato fondente - 200 gr di burro - 160 gr di zucchero semolato extrafino - 4 uova (a temperatura ambiente) - 40 gr di farina 00 - zucchero a velo – (facoltative 8 mandorle) – 8 stampini monoporzione in alluminio

Fate fondere a bagnomaria il cioccolato fondente spezzettato, lo zucchero e il burro. Imburrate e infarinate molto bene gli stampini, ricopriteli uniformemente per evitare che si rompano quando toglierete i tortini. Fate intiepidire il composto al cioccolato e incorporate le uova, uno alla volta, mescolando bene dopo ogni aggiunta. Aggiungete la farina setacciata tutta insieme e mescolate con una frusta. Versate il composto all'interno degli stampi imburrati aiutandovi con un mestolo. (se volete potete mettere al centro di ogni stampino una mandorla). Coprite i tortini con la pellicola trasparente e fateli riposare in freezer per almeno sei/otto ore, prima di infornare. Cuocete nel forno già caldo a 220° (modalità statica) per 19 minuti. Sfornate, capovolgete gli stampini sui piatti da portata, spolverizzateli con dello zucchero a velo e serviteli. I tortini al cioccolato con cuore morbido sono pronti…gustateli ma fate attenzione a non scottarvi!!! Io vi aspetto al prossimo post!



09/03/2024

“LA RETE A MAGLIE LARGHE” – UN’INCHIESTA DEL COMMISSARIO VAN VEETEREN

Nell’ultimo post vi ho presentato lo scrittore svedese Hakan Nesser attraverso una delle sue “creature”, l’ispettore Barbarotti. Oggi, invece, vorrei parlarvi dell’altro personaggio creato dallo stesso autore, che lo ha portato al successo: il commissario Van Veeteren.  Van Veeteren è un commissario di polizia che svolge le sue funzioni nell'immaginaria cittadina di Maardam, genericamente situata in Nord Europa ed in cui sono ambientati i dieci romanzi finora scritti e la serie televisiva che continua a raccogliere molti consensi in Svezia. Taciturno e solitario, non ama né la tecnologia né le armi, è completamente privo di ambizioni e rifugge i media e i superiori, verso i quali è molto critico. Intuitivo, metodico, nelle sue indagini cerca di immedesimarsi sia nella vittima che nel carnefice…e ci riesce facendo leva sulla sua umanità, che lo rende un ottimo investigatore ma lo condanna a lasciarsi sempre coinvolgere e ad essere vittima a sua volta di una dolorosa empatia. Il primo libro della serie a lui dedicata è “La rete a maglie larghe”, nel quale si racconta di un mite e benvoluto insegnante, Janek Miller, accusato dell'omicidio della moglie, rinvenuta cadavere nella vasca da bagno proprio dal marito. L'uomo, in seguito ad una forte sbornia presa la sera prima, non ricorda nulla fino al ritrovamento dell’amata moglie al suo risveglio, il mattino seguente. Tutto sembra indicarlo come colpevole, in un classico delitto passionale, e tutti pensano che il caso sia già risolto. L'unico ad essere convinto dell'innocenza di Miller è il commissario Van Veeteren, il quale vedrà rafforzare le sue ipotesi a seguito dell'assassinio dello stesso Miller all'interno della cella in cui era detenuto. Indagando per risolvere questo doppio omicidio, quindi, si ritroverà a dover scavare nel torbido passato della prima vittima. Segreti, strani accadimenti, un figlio di quattro anni morto per annegamento, un padre violento, un gemello scomparso e un fidanzato deceduto in circostanze poco chiare…sono tutti gli scheletri che la signora Miller teneva ben nascosti nel suo armadio. Van Veeteren aprirà quell’armadio per far chiarezza e assicurare l’assassino alla giustizia…ma sarà tutt’altro che facile! Come sempre non vado oltre e spero di aver destato la vostra curiosità. Il libro mi è piaciuto molto e vi consiglio di leggerlo. Pur iniziando con un ritmo apparentemente lento, Nesser riesce a poco a poco a coinvolgere il lettore, facendolo sentire parte della vicenda, a volte quasi seduto in macchina con Van Veeteren! Per venire a noi…beh! Occorre ammettere che il “nostro” commissario non è un grande cultore del gusto ma in un passaggio del romanzo si ritrova a fermarsi (finalmente!) per bere e mangiare, durante un incontro con una testimone importante: “…sorseggiò lentamente la birra e rimase seduto…” Mangiamo?” chiese titubante Ulrike deMaas. “Senz’altro” risposte Van Veeteren “Ho guidato per due ore e me ne aspettano altrettante per il ritorno. Un bello stufato nell’oscurità autunnale è il minimo che pretendo. Scelga quello che vuole…paga lo Stato!” E allora ho cercato fra le varie declinazioni svedesi dello stufato e ho scelto quella che unisce il piatto e la bevanda di cui si parla nel libro: l’arrosto di maiale alla birra con cipolle. Un piatto robusto e gustoso, adatto ai pranzi invernali, meglio se accompagnato da un buon pane e da una birra fresca e corposa. Vi propongo questa versione: provatela e fatemi sapere se vi è piaciuta!

 Arrosto di maiale alla birra con cipolle

Ingredienti: 1 kg di lombo o spalla di maiale - 800 g di cipolle bionde – qualche foglia di alloro - 3 rametti di timo - 300 ml di birra chiara - olio evo - 30 g di burro – sale - pepe nero

Per realizzare questo arrosto iniziate a legare il pezzo di carne con più giri di spago da cucina. Massaggiatelo con una presa di sale e una macinata di pepe, quindi rosolatelo in una casseruola con il burro e un poco di olio. Rigiratelo bene su tutti i lati in modo che la doratura avvenga in maniera uniforme. Prelevate l'arrosto dalla casseruola e tenetelo in caldo. Nel frattempo, unite al fondo di cottura le cipolle sbucciate e tritate finemente, le foglie di alloro e i rametti di timo. Mescolate bene e lasciate stufare dolcemente per cinque minuti, quindi trasferite le cipolle in una pirofila da forno, adagiatevi sopra la carne e irrorate il tutto con la birra. Coprite con un coperchio (o un foglio di alluminio) e trasferite la pirofila in forno, preriscaldato a 150°, per 2 ore e 30 minuti. Gli ultimi 15/20 minuti togliete il coperchio (o il foglio di alluminio). Terminata la cottura, eliminate le erbe aromatiche e trasferite l'arrosto di maiale alla birra con cipolle su un piatto da portata. Servitelo tagliato a fette con il suo sughetto di cottura. Buon appetito!! 


20/02/2024

“L’UOMO SENZA UN CANE”: LA PRIMA INDAGINE DELL’ISPETTORE GUNNAR BARBAROTTI

Hakan Nesser, classe 1950, è uno scrittore svedese di romanzi polizieschi. Dopo il successo dei suoi primi libri, ha lasciato il suo lavoro di insegnante di lettere e si è dedicato a tempo pieno alla scrittura. E direi che ha fatto bene! I suoi romanzi sono ben scritti, scorrevoli, mai banali…Nesser è capace di coinvolgere i suoi lettori fin dalle prime pagine. Ogni luogo, ogni situazione, ogni personaggio è descritto e “raccontato” in modo dettagliato. Ha scritto diversi libri ma è diventato famoso in particolare per aver creato due personaggi molto originali: il commissario Van Veeteren e l’ispettore Gunnar Barbarotti. Oggi desidero presentarvi il primo libro della serie dedicata a quest’ultimo: “L’uomo senza un cane”, pubblicato nel 2006. La vicenda prende il via in casa dei coniugi Hermansson, pochi giorni prima di Natale. Tutta la famiglia è riunita per festeggiare i sessantacinque anni del capofamiglia, Karl-Erik, insegnante in pensione, ed i quaranta di Ebba, la figlia “perfetta e prediletta”. Ma l’atmosfera di festa è destinata a lasciare il posto all’angoscia. Prima Robert, unico figlio
maschio degli Hermansson e “pecora nera” della famiglia, esce a fare una passeggiata, poi Henrik, il figlio maggiore di Ebba, si allontana nel cuore della notte…e dei due non si hanno più notizie. Solo dopo quarantotto ore Karl-Erik si decide a contattare la polizia ed il caso viene affidato all’ispettore Barbarotti. Italosvedese, quarantacinque anni, poliziotto per scelta (e per passione), tre figli, sposato con Helena…che ad un certo punto, quasi senza che lui se ne rendesse conto, lo ha lasciato per un altro uomo e si è portata appresso due dei tre figli (Sara, l’unica femmina, ha preferito rimanere con il padre), Barbarotti è un “segugio” vecchio stampo, che desidera vivere serenamente e non riesce a riprendersi dalla separazione. Da quel momento, infatti, il “suo” mondo è crollato e Barbarotti ha ingaggiato una sorta di “gara” nientemeno che…con Dio. Ha sempre dubitato della sua esistenza (e i “fatti della sua vita” non hanno fatto altro che aumentare quei dubbi) e quindi sfida ogni giorno Dio a dargli una dimostrazione del contrario. Tiene perfino un piccolo quaderno nero, sul quale si appunta di volta in volta le occasioni in cui i suoi dubbi si rivelano fondati e quelle in cui, invece, Dio “si fa vivo”!  E in quei giorni che precedono le festività si appresta a sfidare di nuovo l’Altissimo! Ha promesso, infatti, alla ex moglie che per Natale l’avrebbe raggiunta con Sara, a casa dei suoceri (che lui odia profondamente) …ma non ne ha alcuna voglia! Così si ritrova di nuovo a parlare con Dio: “se esisti dimostramelo: fa’ in modo che succeda qualcosa, qualsiasi cosa, che mi impedisca di partire!” …detto, fatto: il suo telefono squilla! Il capo, pur sapendo che è in ferie, vorrebbe che si occupasse di un caso di scomparsa, anzi, di doppia scomparsa…e nello stesso momento Sara si sveglia con la febbre altissima! Barbarotti, pur dispiaciuto per la figlia, deve riconoscere che questa volta Dio è stato davvero grande!!! Quindi, dopo aver aggiornato il quaderno, avvisato la ex moglie e sistemato Sara, si reca dalla famiglia Hermansson per far partire l’indagine…ritrovandosi nel mezzo di un caso davvero strano! Ben presto scopre che tutti i membri della famiglia hanno qualcosa da nascondere e nessuno di loro dice tutta la verità. La facciata di irreprensibilità e di felicità cela vecchi e nuovi rancori, problemi irrisolti, parole non dette, invidie e gelosie…e si sgretola a poco a poco, man mano che Barbarotti avanza nelle indagini. Quello che, inizialmente, sembrava un caso abbastanza semplice, lentamente si trasforma in un’indagine complessa che arriverà ad un tragico epilogo. Mi fermo qui, non aggiungo altro, perché non voglio rovinare la lettura a chi vorrà “conoscere” Barbarotti ed il suo metodo investigativo. Posso solo dire che ve lo consiglio. Io ho già deciso che leggerò anche altri libri della serie, perché questo mi è proprio piaciuto. Per quanto riguarda il gusto, il libro offre davvero molti spunti: dai ricchi e variegati menù della tradizione svedese, preparati dalla signora Hermansson in occasione delle feste, fino ai pasti consumati in giro dallo stesso ispettore…non si può certo dire che Nesser non abbia gusto, anzi! Dovendo scegliere fra tanti, ho optato per un piatto tipicamente svedese: il tortino di aringhe e patate, conosciuto anche come “Tentazione di Jansson”. 
La tentazione di Jansson (Janssons frestelse) ovvero le patate alla svedese, sono un piatto tipico della cucina scandinava che si prepara principalmente per il Natale. Molti sostengono che il piatto deve il suo nome al cantante d'opera Per Janzon (1844-1889), ricordato come un buongustaio. Un'altra rivendicazione dell'origine del nome è stata fatta da Gunnar Stigmark in un articolo che apparve nella pubblicazione periodica Gastronomisk kalender. Secondo il famoso giornalista, il nome è stato preso dall'omonimo film del 1928 “Janssons frestelse”. Infine, la “versione” più accreditata: a dare il nome a questo piatto è stata la madre dello stesso Stigmark che, insieme alla cuoca assunta in occasione di una cena speciale, ha presentato l’originale tortino. Da allora questo piatto si è diffuso ed è diventato parte integrante della tradizione svedese, comparendo anche nei ricettari “ufficiali”. Si tratta di un gustoso e ricco gratin a base di aringhe, patate, panna e cipolla, molto saporito che si adatta bene ad essere consumato nelle fredde giornate invernali. Ecco la ricetta...



Ingredienti per 4 persone: 7-8 patate medie - 2 cipolle bionde – 8/10 filetti di aringhe - 300 ml di panna da cucina (o panna acida) - 2-3 cucchiai di pangrattato – burro, sale e pepe qb

Sbucciate e tagliate le patate a fettine sottili ed immergetele in una ciotola di acqua fredda per dieci minuti circa. Intanto affettate finemente le cipolle e fatele rosolare a fuoco lento, con un bel cucchiaio di burro. Sgocciolate le aringhe. Scolate molto bene le patate e cominciate a disporle sul fondo di una pirofila ben imburrata, disponete sopra i filetti di aringhe a pezzetti e le cipolle appassite, un pizzico di sale e pepe e continuate a strati terminando con le patate. Versate infine sulle patate la panna, un po’ di sale e pepe, il
pangrattato e qualche fiocchetto di burro. Infornate a 200° per circa 40-45 minuti. Servite il tortino preferibilmente tiepido e decorato con dei ciuffetti di aneto! Buon appetito e alla prossima!