25/04/2018

25 APRILE: FESTA DELLA LIBERAZIONE


Il 25 aprile è un giorno fondamentale per la storia d'Italia, in quanto simbolo della vittoriosa lotta di resistenza militare e politica attuata dalle forze partigiane durante la seconda guerra mondiale. È il giorno, infatti, in cui il CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) proclamò l'insurrezione generale in tutti i territori ancora occupati dai nazifascisti. Indicando a tutte le forze partigiane attive nel Nord Italia di attaccare i presidi fascisti e tedeschi, imposero la resa ancora prima dell'arrivo delle truppe alleate. “Arrendersi o perire!” fu la parola d'ordine intimata dai partigiani quel giorno e in quelli immediatamente successivi. Entro il 1º maggio tutta l'Italia settentrionale fu liberata e si pose così fine a venti anni di dittatura fascista e a cinque anni di guerra. In questa giornata così importante ho scelto di non pubblicare uno dei miei post ma di dedicare questo spazio alla memoria di chi ha combattuto e ha dato la vita per liberare il nostro Paese dalla guerra e dalla dittatura. Purtroppo l’ignoranza storica della maggior parte dei nostri connazionali è davvero vergognosa (e non mi riferisco solo ai giovanissimi!) e quindi, visto che i programmi scolastici arrivano a malapena alla prima guerra mondiale e dopo quella è tutto molto “nebuloso”, vi invito ad incuriosirvi e ad appassionarvi della storia! Fra un giallo e l’altro, leggete, anzi, leggiamo anche qualche testo che ci aiuti a conoscere ed a capire la nostra storia più recente, il nostro “ieri”: sicuramente capiremo di più e meglio ciò che succede intorno a noi “oggi”! (Attenzione! Lungi da me il fare del falso e banale moralismo…non voglio aprire dibattiti né discussioni ma solo condividere un pensiero, sia ben chiaro! Vi chiedo, quindi, di evitare commenti “distruttivi” e/o volgari!) Detto questo, ovviamente, dobbiamo fare festa, perché questo è lo scopo di questa giornata. E allora ho pensato di preparare per l’occasione un piatto che ci rappresenta in tutto il mondo e chi ci unisce da nord a sud, una ricetta semplice e che si presta a tantissime declinazioni: la pizza! Nel 2017 l'Unesco ha dichiarato l'Arte dei pizzaiuoli napoletani "Patrimonio dell'umanità". Ogni pizzaiolo la interpreta a modo suo, così come ogni persona che la cucina a casa propria, ciascuno inserendo questo o quell’ingrediente, ottenendo sempre e comunque un risultato buonissimo! Non so come la pensiate voi ma secondo me la pizza più buona è la classica Margherita, semplice e tricolore. La ricetta che vi propongo è quella dell’Associazione Verace Pizza Napoletana, creata dai pizzaiuoli napoletani, appunto, per salvaguardare questo “tesoro” di inestimabile valore dall’imbarbarimento della troppa diffusione, con tanto di “disciplinare internazionale” in cui si trovano le regole fondamentali tramandate di generazione in generazione.  E allora buona festa della liberazione, buona pizza a tutti e viva l’Italia!


PIZZA VERACE NAPOLETANA (Associazione Verace Pizza Napoletana)

“Ecco finalmente la ricetta originale così come tramandata da generazioni di pizzaioli. Analizziamo subito l'aspetto finale della vera pizza napoletana in seguito alla cottura nel forno a legna: 1. la pizza napoletana è tondeggiante, con un diametro di circa 30-35cm;  2. la pizza napoletana presenta il bordo rialzato (il famoso cornicione), gonfio e privo di bruciature; 3. la pizza napoletana deve essere morbida ed elastica. 


Ora passiamo agli ingredienti per preparare l'impasto della vera pizza napoletana. Riportiamo un valore dei vari ingredienti rapportato a 1 litro di acqua: acqua 1 litro - sale 50-55 gr - lievito 3 gr - farina 1,7-1,8 kg (farina 00 o 0)  Si mescolano farina, acqua, sale e lievito. Si versa un litro di acqua nell'impastatrice, si scioglie una quantità di sale marino compresa tra i 50 e i 55 g, si aggiunge il 10 % della farina rispetto alla quantità complessiva prevista, successivamente si stemperano 3 g di lievito di birra, si avvia l'impastatrice e si aggiunge gradualmente il resto della farina W 220-380 fino al raggiungimento della consistenza desiderata, definita punto di pasta. Tale operazione deve durare 10 minuti. Successivamente l'impasto deve essere lavorato nell'impastatrice per 20 minuti a bassa velocità. Ora è il momento di una prima lievitazione di circa 2 ore a cui segue lo "staglio a mano" cioè la creazione dei panetti di pasta che dovranno pesare dai 180 gr ai 250 gr circa. Continuare la lievitazione in cassette per alimenti per circa 6 ore ad una temperatura di circa 25 C°. Finita la lievitazione possiamo stendere finalmente la nostra pizza con un movimento dal centro verso l'esterno e con la pressione delle dita di entrambe le mani. Non sono consentiti utensili come il mattarello per stendere la pizza. La vera pizza napoletana va condita con ingredienti preferibilmente di origine campana. L'olio utilizzato deve essere olio extra vergine d'oliva, è possibile scegliere tra mozzarella e fiordilatte DOP. La cottura deve avvenire all'interno del forno a legna che deve aver raggiunto la temperatura di circa 430-480 C° tra platea e volta. Con queste temperature è sufficiente inserire la pizza per 60-90 secondi, in cui la pizza si cuocerà in maniera uniforme su tutta la circonferenza. 

Per noi “comuni mortali” la cottura avviene nel forno di casa: stendete la pasta lievitata con le mani, condite con il pomodoro e irrorate con un po’ di olio evo, poi infornate a 250° per 10/12 minuti. Estraete dal forno, distribuite sulla superficie la mozzarella e il basilico, un altro filo di olio evo e infornate di nuovo per circa 10 minuti. A volte, a seconda delle condizioni atmosferiche esterne e/o dell’umidità che abbiamo in casa, l’impasto non viene proprio come vorremmo…non abbattetevi: l’importante è non demordere e riprovarci per “prenderci la mano”….In alternativa, visto che è festa, andate nella vostra pizzeria di fiducia: non ci saranno problemi e gusterete al meglio questo fantastico prodotto italiano! Alla prossima!

18/04/2018

LINCOLN RHYME: INDAGINI DALL’UPPER WEST SIDE DI NEW YORK


Quando ho letto “The bone collector” (“Il collezionista di ossa” in italiano) non pensavo che sarebbe stato l’inizio di un bellissimo “rapporto” con il genio di Jeffery Deaver. A dire il vero l’ho letto per curiosità dopo aver visto il film perché ho pensato “questo thriller è davvero originale…chissà se il regista è stato fedele al libro?” E in effetti, a parte l’aver trasformato il mitico criminologo tetraplegico Lincoln Rhyme, che nei libri è bianco, in un affascinante nero interpretato da Denzel Washington, il regista ha reso ampiamente giustizia al romanzo. Da quel momento non mi sono persa un solo libro di questo autore, capace di tenermi incollata alle sue pagine dalla prima all’ultima, sempre col fiato sospeso e sempre stupita dai colpi di scena che si susseguono! Jeffery Deaver, statunitense classe 1950, ha iniziato come giornalista per poi dedicarsi a tempo pieno ai suoi libri, quasi tutti diventati best sellers, che da più di vent’anni vengono venduti in tutto il mondo e tradotti in 25 lingue diverse. Ha vinto numerosi premi come il prestigioso Ellery Queen Readers Award for Best Short Story of the Year (per ben tre volte!) e il Premio Nero Wolfe, solo per citarne un paio. Oltre alla serie di Rhyme ha scritto anche quelle di John Pellam e di Kathryn Dance, la trilogia di Rune e molti altri romanzi…tutti con una sola caratteristica in comune: l’originalità e il successo di pubblico! Voglio iniziare parlandovi di Lincoln Rhyme, Linc per gli amici. Criminologo della polizia di New York, collaboratore dell’FBI, appassionato del suo lavoro, cinico, orgoglioso, la sua vita è divisa nettamente in due parti: la prima, antecedente all’incidente, e la seconda, successiva all’incidente. L’incidente?
Durante l’esame di una scena del crimine, una trave di quercia gli cade addosso, rompendogli la quarta vertebra cervicale e rendendolo tetraplegico. Si ritira dalla polizia, si “rifugia” nella sua casa nell’Upper West Side di New York e, assistito dal paziente e attento Tom, passa le giornate osservando i falchi pellegrini che si fermano alla sua finestra e cercando il modo di farsi aiutare a suicidarsi….fino a quando il suo collega ed amico Lon Sellitto lo cerca per chiedere il suo aiuto nella ricerca di un pericolosissimo serial killer, il collezionista di ossa appunto, e gli affianca la detective migliore che lavora nella NYPD, Amelia Sachs. Da quel momento le idee suicide vengono pian piano accantonate, le indagini si susseguono frenetiche, il suo appartamento viene attrezzato e diventa un vero e proprio laboratorio dove analizzare le prove, Amelia diventa le sue gambe e le sue braccia sulle varie scene del crimine e la sua compagna nella vita. Dalla sua “Storm Arrow”, una carrozzina ultratecnologica, Lincoln ascolta, cerca, elabora dati e prove e, con l’aiuto della sua squadra, riesce ad intuire quel particolare, quella tessera fuori posto del puzzle che lo porta a scoprire l’identità dell’assassino. Non potendo muoversi, odiando la noia che lo assale fra un’indagine e l’altra, mette tutte le sue energie nel ragionamento e nell’analisi, arrivando a litigare con Tom che, invece, lo richiama puntualmente a rispettare i ritmi e i limiti della sua disabilità. Il suo assistente è anche un ottimo cuoco, apprezzato da tutti i collaboratori che gravitano intorno a Linc, ma il suo capo non dà molta importanza al cibo e lo gusta solo in rare occasioni. Quando si sente sotto pressione o bloccato nelle indagini, Rhyme preferisce rilassarsi bevendo un bicchiere di ottimo whisky. Non avendo possibilità, quindi, di "attingere" direttamente dai libri ho pensato di abbinare a questo personaggio uno dei pochi piatti tipicamente newyorkesi: la cheesecake! Lincoln ama la sua città, l’ha battuta palmo a palmo quando era un poliziotto, la conosce come le sue tasche e non ha mai smesso di studiarne ogni angolo e con questo dolce voglio rendere omaggio a lui ed alla Grande Mela. Ecco a voi, quindi, la ricetta della

NEW YORK CHEESECAKE 


Ingredienti per la base: 250gr biscotti digestive - 150gr burro - 2 cucchiai di zucchero Per la crema: 250 gr formaggio tipo Philadelphia – 250gr ricotta fresca - 3 uova - 150gr zucchero - 100ml panna fresca - succo di 1/2 limone - 1 bustina di vanillina Per la copertura: 200ml panna acida - 1 bustina di vanillina – un cucchiaio di zucchero – fragole
Anzitutto mettete i biscotti digestive in un frullatore e sminuzzateli molto finemente unendo lo zucchero poi poneteli in una casseruola, aggiungete il burro fuso e amalgamate il tutto. Prendete una tortiera con cerniera imburratela bene e foderatela con della cartaforno (tagliate un cerchio del diametro della tortiera e poi delle strisce da applicare ai bordi). Versate quindi il composto di biscotti, create una base omogenea sul fondo e lasciatela riposare in frigo almeno per un’ora. Nel frattempo preparate la crema. In una terrina unite lo zucchero e le uova e create un composto omogeneo, aggiungete il formaggio e la vanillina mescolando fino ad ottenere una crema liscia senza grumi. Unite quindi la panna fresca (non montata!), la vanillina e un pizzico di sale. Quando il tutto è ben mescolato, versate il composto nella tortiera dove avevate creato la base e livellate bene la crema. Infornate a 180° per circa 25 minuti, poi abbassate la temperatura a 160° e fate cuocere altri 40 minuti circa. 
Per non far scurire troppo la superficie durante la cottura, copritela con della carta stagnola almeno per i primi 50 minuti. A cottura completata spegnete il forno e apritelo, senza togliere la torta, e lasciatela riposare per altri 30 minuti. Unite la panna acida, la vanillina e lo zucchero fino a creare una crema liscia e, una volta che la torta si sarà raffreddata, copritela con il composto ottenuto. Mettete in frigo per 6-8 ore e prima di consumarla decoratela con le fragole. Il segreto della riuscita di questo dolce sta nel rispetto dei vari tempi di cottura, di raffreddamento e di riposo…ma vi assicuro che poi il risultato vi ripagherà ampiamente dell’attesa! Gustatela fresca e accompagnatela ad un libro di Deaver…sinceramente non so cosa finirete prima…la cheesecake o la lettura?!?!? Fatemi sapere!

11/04/2018

SHERLOCK HOLMES, IL PRIMO INVESTIGATORE DEDUTTIVO

Sir Arthur Ignatius Conan Doyle (1859 –1930) è stato uno scrittore e drammaturgo britannico, considerato, insieme ad Edgar Allan Poe, il fondatore di due generi letterari: il giallo e il fantastico. In particolare è il capostipite del sottogenere noto come “giallo deduttivo”, incarnato e reso famoso dal personaggio dell’investigatore Sherlock Holmes. Cosa dire di questi due “mostri sacri” della letteratura gialla?!?!? Provo a scrivere qualcosa per chi li conosce poco…Anzitutto, anche se non se ne parla molto, la vita di Conan Doyle fu davvero avventurosa: studiò alacremente medicina e fece molta esperienza con i migliori luminari del tempo. Quando divenne medico iniziò a lavorare nei posti più disparati per poter raggiungere una posizione sociale ed economica di rispetto e questo lo arricchì sotto molti punti di vista. La sua curiosità e il suo interesse per la cultura lo spinsero a cercare sempre nuovi orizzonti verso i quali volgere i suoi sforzi. Fu così che decise di scrivere e creò il suo amato-odiato Holmes. Amato perché gli portò fama e benessere, odiato perché diventò più famoso di lui! Il primo romanzo con protagonista Sherlock
Holmes e il fidato Watson (alter ego dello scrittore) fu “Uno studio in rosso”. Ad esso seguirono “Il segno dei quattro”, che decretò un successo di pubblico mai visto all’epoca, “Il mastino dei Baskerville” e “La valle della paura”. In effetti i romanzi con protagonista Holmes furono solo quattro, ai quali seguirono molti racconti brevi. Conan Doyle ha scritto anche molti romanzi, saggi e racconti di altri generi, storia, fantasy, medicina, mistero…ma non ebbe con questi il successo che ebbe, invece, con i gialli. Ancora oggi, infatti, quando si nomina Sir Arthur Conan Doyle subito si pensa al “suo” Sherlock Holmes. “ ...il suo sguardo era acuto e penetrante; e il naso sottile aquilino conferiva alla sua espressione un'aria vigile e decisa. Il mento era prominente e squadrato, tipico dell'uomo d'azione. Le mani, invariabilmente macchiate d'inchiostro e di scoloriture provocate dagli acidi, possedevano un tocco straordinariamente delicato, come ebbi spesso occasione di notare quando lo osservavo maneggiare i fragili strumenti della sua filosofia.” Questa descrizione si trova in “Uno studio in rosso” e rende subito l’idea del personaggio. Brillante, distaccato, curioso, lunatico, sempre alla ricerca di nuove sfide e assorto in mille pensieri, Holmes è terrorizzato dalla noia, cerca la verità ad ogni costo ed è capace di notare il minimo particolare che sfugge agli altri…soprattutto alla polizia ed al fidato ed ingenuo dottor Watson, voce narrante dei romanzi e suo fedele compagno di avventure. La capacità dell’investigatore di trovare una risposta per ogni domanda, una spiegazione per ogni mistero e una logica dove apparentemente tutto sembra assurdo, hanno fatto di lui un’icona di tutti gli investigatori, un personaggio al quale molti altri scrittori 
successivamente si sono ispirati. A Londra, al numero 22 di Baker Street, è stata addirittura ricreata la sua abitazione, con lo studio tante volte descritto nei libri (sì, ci sono stata anch’io!!). Sono state fatte anche moltissime trasposizioni cinematografiche, più o meno fedeli ai romanzi originali. Io ho letto tutti i suoi romanzi e la maggior parte dei suoi racconti e devo dire che c’è un unico “neo” in questo incredibile personaggio: non ama mangiare e si limita a farlo per sopravvivere o per riprendersi dalle sue fatiche investigative! C’è una sola occasione in cui dimostra una sorta di entusiasmo in vista di una cena preparata dalla fidata e premurosa signora Hudson. Nel racconto “L’avventura del carbonchio azzurro”, dopo aver risolto un caso standosene seduto nella sua poltrona, invita Watson a cena per gustare un “galletto profumato e cotto a puntino, accompagnato da patate ed erbe aromatiche”…ovviamente ho preso la palla al balzo e mi sono lanciata nella preparazione della stessa pietanza: chissà se mi è venuta come quella della signora Hudson?!?

GALLETTO AL FORNO CON PATATE ED ERBE AROMATICHE
Ingredienti: 1 galletto – erbe aromatiche miste (quelle che avete a disposizione…e meglio fresche) – patate novelle – due rametti di rosmarino - una gamba di sedano – una carota – scalogno – aglio – burro – vino bianco - olio evo – sale -pepe
Pulite accuratamente le erbe aromatiche e le altre verdure. Tagliate le patate grossolanamente e fatele cuocere per 10 minuti in acqua salata, quindi scolatele. Dopo aver passato il galletto sulla fiamma per pulirlo, riempitelo con le erbe, uno spicchio d’aglio, un pochino di sale grosso e una noce di burro. Ponetelo quindi in una pirofila con le patate, la carota, il sedano, il rosmarino e bagnatelo con del vino bianco e dell’olio. Infornate a 220° per 40 minuti, verificando a metà cottura che le patate non si siano attaccate (eventualmente coprite la pirofila con della stagnola in questa prima parte della cottura). A questo punto cospargete il tutto con del sale e del pepe, senza esagerare, e rimettete in forno per 15 minuti a 240° (se avevate coperto la pirofila, ora togliete la stagnola). Servite il galletto ben caldo con le patate e…buon appetito! Ah! Quasi dimenticavo! La frase diventata ormai famosissima “Elementare Watson!” non è mai stata scritta da Conan Doyle in nessuno dei suoi romanzi o racconti…è stata inventata ed utilizzata solo nei film. E con questa curiosità vi auguro una buona serata e mi raccomando: leggete e gustate!



04/04/2018

CHARLIE CHAN: DA CANTON A HONOLULU


Earl Derr Biggers (Warren 1884- Pasadena 1933) fu romanziere e drammaturgo. Assunto dal Boston Traveler per tenere una rubrica umoristica, finì per occuparsi di critica teatrale, sua grande passione. La sua prima commedia “If You're Only Human” (1912) si rivelò un fiasco ma il suo romanzo d'esordio, “Seven Keys to Baldpate” (1913), riscosse un immediato successo ed ebbe una celebre versione teatrale e sei riduzioni cinematografiche. Nonostante l'ottima accoglienza dei due libri successivi, lo scrittore abbandonò la narrativa in favore del teatro fino alla metà degli anni Venti, quando uscì a puntate sul Saturday Evening Post e poi in volume “Charlie Chan e la casa senza chiavi”. “Di certo non ho mai avuto intenzione di percorrere la strada del giallo, né ho scelto deliberatamente di avere sul sedile accanto un mite cinese dalla faccia di luna piena. Eppure eccomi qui insieme a Charlie Chan. Grazie a Dio è un tipo amabile, filosofo e di buona compagnia visto che ora so che dobbiamo compiere insieme il resto del viaggio”. Così dichiarò Biggers nel 1932 parlando del personaggio da lui creato, ispiratogli da un articolo su un poliziotto cinese di Honolulu, che incontrò subito il favore del pubblico. Scrisse in tutto sei avventure di Chan, prima che un infarto lo stroncasse a soli 51 anni. La popolarità di Chan, tuttavia, continuò a crescere grazie alla ricca filmografia che il cinema hollywoodiano dedicò alla sua figura, sia basandosi sui romanzi, sia utilizzando, dopo la morte dello scrittore, sceneggiature originali. Una delle tante descrizioni riporta che Chan “Era molto grasso 
eppure camminava con il passo leggero e delicato di una donna. Le sue guance erano paffute come quelle di un bambino, la pelle era color avorio, i capelli neri erano tagliati corti e gli occhi color ambra erano a mandorla.” Charlie Chan è nato a Canton, in Cina, nella prima metà del 1875. Adolescente, si trasferisce con i genitori alle Hawaii, dove inizia a studiare l'inglese sebbene il suo spiccato accento cinese gli permarrà per il resto della vita. Lavora come cameriere e poi entra nella polizia di Honolulu, dove ben presto il suo acume e la sua abilità investigativa gli permettono di fare una brillante carriera. Il sagace investigatore per risolvere i casi più difficili ricorre a quelli che lui chiama i suoi “sette fiori”: cortesia, umorismo, pazienza, lentezza, rassegnazione, umiltà e prudenza. La sua famiglia, molto importante e sempre presente nei suoi pensieri, è composta dall’amata moglie e dai 14 figli, che lui chiama con il loro ordine di nascita (per esempio “figlio numero uno”, “figlia numero 4”, ecc.). Dopo ogni giornata di lavoro, Chan desidera solo tornare a casa e godersi una cena (cinese ovviamente!) circondato dalla sua numerosa prole. Oltre che di quarantacinque pellicole, l’ineffabile investigatore è stato protagonista di serie radiofoniche e televisive, fumetti e cartoni animati. Una curiosità: nessuno degli attori che l’hanno interpretato era orientale. Per me rimane memorabile l’interpretazione in chiave comica di Peter Sellers in “Invito a cena con delitto”, in cui Charlie Chan dà sfoggio della sua saggezza citando proverbi e massime orientali più o meno adatti per ogni occasione! Per omaggiare questo originale detective ho voluto scegliere uno dei grandi classici della cucina cinese che ormai è tanto diffusa anche in Occidente: il riso alla cantonese. La ricetta che vi propongo dovrebbe essere quella più vicina all’originale…e comunque, fra quelle che ho trovato, è l’unica versione “ufficiale” non scritta in cinese!!

RISO ALLA CANTONESE - Ingredienti per 4 persone 

300 gr riso basmati – 600 ml di acqua – 120 gr prosciutto cotto (unica fetta) – 2 uova – 150 gr piselli – olio di semi di sesamo – sale – 1 cucchiaio di salsa di soia – cipollotti (facoltativi) Sciacquate il riso basmati sotto l'acqua corrente fredda, terminate l'operazione quando l'acqua è limpida; versate il riso in una casseruola e aggiungete l'acqua fredda, coprite, portate a ebollizione e, da questo momento in poi, fate cuocere il riso fino al completo assorbimento di tutta l'acqua, in totale occorrono circa 20 minuti. Una volta cotto lasciatelo raffreddare completamente in un piatto e tenetelo da parte. Nel frattempo tagliate il prosciutto cotto a dadini e sbattete le uova in una terrina con poco sale. Sbollentate i piselli in acqua bollente salata per 5 minuti; scaldate una padella antiaderente con 1 cucchiaio di olio di semi, unite le uova e rompetele con un cucchiaio, cuocetele per un paio di minuti, girandole spesso con un cucchiaio, fino a quando saranno rapprese e strapazzate. Scaldate 1 cucchiaio di olio di sesamo nel wok, unite i piselli, il prosciutto cotto e le uova strapazzate, fate insaporire per 2 minuti, togliete tutto e tenete da parte in una ciotola. Aggiungete 3 cucchiai di olio di sesamo, quando è molto caldo unite il riso basmati, salate e fatelo saltare nel wok per 2- 3 minuti fino a quando risulta ben condito. Unite anche i piselli, le uova e il prosciutto cotto, condite con un cucchiaio di salsa di soia e aggiustate di sale se necessario: il vostro riso alla cantonese è pronto! Charlie Chan, durante le sue indagini, si ferma sempre per pranzare e cenare. Uno dei suoi pittoreschi adagi orientali recita “Stomaco vuoto al lavoro è come urlo di donna in stanza vuota: fa venire mal di testa!” Direi che non fa una piega! E allora vi auguro buon appetito usando le parole di Charlie “chi ha cervello sa mangiare bene. Chi non ce l’ha si limita a cibarsi”!