26/09/2018

GULASCH DI CERVO, TROTA ALLO SPIEDO, DELITTI E MISTERI NELLA VERDE GERMANIA



Oggi torniamo ad occuparci dei nuovi e spesso quasi sconosciuti giallisti tedeschi. Ultimamente stanno arrivando sugli scaffali di librerie e biblioteche italiane diversi libri con titoli originali ed interessanti. Almeno per me! Prendiamo ad esempio il duo Graf & Neuburger: i loro primi due libri si intitolano “Gulasch di cervo” e “Trota allo spiedo” e riportano proprio questi due simpatici animali in copertina. Ovviamente mi sono lasciata incuriosire, visto che sono sempre a caccia di qualcosa di “insolito” che unisca gusto e delitto…e devo dire che ho fatto bene! Dei due autori non si sa molto. Lisa Graf, nata a Passau, ha studiato filologia romanza ed etnologia, ha scritto cinque gialli e oltre una dozzina di saggi. Ottmar Neuburger, nato a Simbach am Inn, ha studiato fisica e germanistica. Ha lavorato come programmatore e consulente informatico; adesso è nel consiglio direttivo di un’azienda di sviluppo software. Vivono nel Berchtesgaden, vicino a Salisburgo, e nessuno ha ancora capito se
sono solo colleghi o se sono anche una coppia...ma in fondo non mi riguarda proprio: il gossip non è il mio genere. Fatto sta che scrivono in modo decisamente originale. Mi soffermo in particolare sul secondo libro “Trota allo spiedo”. Anzitutto la lettura è scorrevole, la presentazione dei personaggi e dei luoghi è accattivante e spesso si passa dalla suspense allo humor e viceversa, con il risultato che si viene coinvolti e si vuole continuare a leggere per capire fin dove può arrivare la vicenda. La trama è abbastanza semplice: Helmut Meissner, arzillo “vecchietto” ed ex imprenditore rimasto vedovo, sceglie una lussuosa residenza sul lago Chiemsee, in Baviera, per vivere gli ultimi anni della sua vita. Nonostante l’età Helmut e i suoi amici, chi più chi meno, vogliono ancora godersi le loro giornate ma sono continuamente limitati ed ostacolati da una zelante e bigotta infermiera, la quale ha preso come una missione personale quella di salvare le loro anime, più che i loro corpi. E così, quando iniziano ad avvenire strane morti fra i suoi amici più cari, Helmut sospetta che sia proprio l’infermiera Pia a trasformarsi in assassina. Ma sarà davvero così? Suo nipote Stefan, commissario della Criminalpol in vacanza, va a trovare lo zio insieme alla sua collega e fidanzata Marlu…e viene 
coinvolto suo malgrado nelle “indagini” di Helmut e della sua carissima amica, la baronessa Von Hertan. Inizialmente pensa che lo zio stia lentamente scivolando nella demenza senile. Ben presto, però, la sua diffidenza iniziale si trasformerà in sospetto perché sono tanti, troppi i segreti che la splendida residenza nasconde. Un direttore avido e prepotente, una vicedirettrice ancora più avida e perversa, un fatiscente hotel in Romania utilizzato per delle “strane” vacanze, la scomparsa di una delle ospiti più facoltose…tutto diventa un ammasso di tessere che non trovano la loro sistemazione. Saranno Stefan e Marlu, in continuo contatto con Helmut, a cercare e trovare il modo di risolvere il mistero, anzi, i misteri, facendo combaciare i pezzi del puzzle e salvando la vita agli ospiti della residenza. Spero di aver solleticato la vostra curiosità e che decidiate di leggere questo libro, anzi, di gustarlo. Sì, perché per quanto riguarda il gusto, il nostro Helmut è senz’altro un ottimo palato. Ha sempre amato il buon cibo e il buon vino e nella vita non si è mai fatto mancare nulla. Anche alla residenza cerca sempre di mangiare bene e spesso invita la baronessa Von Hertan a cena o le propone una gita sul lago, dove non manca mai una sosta per un dolce ed un tè o un liquore. Non vi proporrò un piatto a base di trota (ah! e vi dico che solo se leggerete il libro capirete il perché del titolo) ma uno dei dolci che Helmut offre alla baronessa in onore del suo nome, Helen. Si tratta delle pere alla “Belle Hélène”, una ricetta che il grande Auguste Escoffier ha creato nel 1864 in onore dell’omonima operetta di Offenbach. Pur essendo stata creata dal mitico chef francese, la ricetta è estremamente semplice ma golosa e di grande effetto…provare per credere!

RICETTA PERE ALLA BELLA ELENA
Ingredienti per 4-8 persone: 8 pere ruggine piccole (possibilmente tutte uguali) - 150 gr zucchero di canna - 2 dl acqua - 1 pezzetto di cannella - 1 stecca di vaniglia - 100 gr cioccolato fondente - 100 gr panna fresca - 50 ml latte -100 gr zucchero semolato - gelato alla crema o panna montata - 50 gr granella di mandorle tostate
Sbucciate le pere e mettetele in una casseruola; aggiungete lo zucchero di canna, l’acqua, la cannella e la vaniglia. Coprite e fate cuocere a fuoco basso per 30 minuti. Verificate con uno stuzzicadenti che le pere siano cotte (ma non troppo molli, mi raccomando!) e lasciatele raffreddare nella casseruola con la loro acqua. 
Preparate la salsa al cioccolato facendo sciogliere la cioccolata a bagnomaria e aggiungendovi poi pian piano la panna, il latte e lo zucchero (io non lo metto perché le pere sono già dolci…ma decidete voi). Mescolate e amalgamate bene il tutto. Mettete ogni pera in un piattino o una ciotola, ricopritela con la salsa al cioccolato calda e cospargetela con la granella di mandorle tostate. Solitamente viene servita calda con accanto una pallina di gelato alla crema o una cucchiaiata di panna montata e, come dice la baronessa Von Hertan, "cosparsa di petali di violette candite e accompagnate da un bicchierino di liquore alle pere". A voi la scelta! L’importante è che siano ben calde, ben ricoperte di cioccolato e magari gustate in compagnia di un buon amico o di un buon libro!




19/09/2018

IL TENENTE KOJAK: UN DURO CON IL LECCA-LECCA!


Fin da quando ero una ragazzina leggevo libri e vedevo diversi telefilm polizieschi (rigorosamente dopo il TG e prima di andare a letto!). All’epoca portavo la spesa a domicilio ai clienti del negozio dei miei e, quando le piccole mance me lo permettevano, correvo in edicola a comprare i libri di Agatha Christie e quelli ispirati ai poliziotti televisivi: fra questi c’erano anche Colombo e il tenente Kojak. Mi ricordo ancora che promettevo a mia zia di leggerli solo dopo aver fatto i compiti…e nonostante questo li finivo in due o tre giorni. Beh! Un po’ perché ho sempre divorato i libri, un po’ perché devo ammettere che molti erano davvero corti! Ma torniamo al personaggio di cui vi voglio parlare oggi: il tenente Kojak. Nel 1963, nel quartiere di Manhattan a New York, si verificò un gravissimo fatto di cronaca: due giovani donne furono violentate ed uccise nel loro appartamento e del duplice omicidio fu ingiustamente accusato un giovane afroamericano, a cui venne estorta una falsa confessione. In seguito al palese errore giudiziario, il caso fu affidato ad un’altra squadra di 
detective del NYPD che, attraverso una serie di indagini molto più accurate, riuscì a catturare il vero colpevole e ad assicurarlo alla giustizia. Una decina di anni dopo la Universal Television chiese ad Abbey Mann di creare una sceneggiatura basata su quella storia ed il risultato fu il film per la TV “Tenete Kojak il caso Nelson è suo”. Il lungometraggio fece successo e divenne l’episodio pilota di una nuova serie televisiva, incentrata sul tenente greco-americano. Il ruolo del protagonista fu subito affidato all’attore americano di origini greche Telly Savalas, all’anagrafe Aristotelis, che lo interpretò per cinque stagioni, per un totale di 118 episodi, e per altri sette film. Il tenente Theodore “Theo” Kojak è stato creato su misura proprio per Savalas: calvo, elegante, apparentemente calmo, ironico, spesso cinico ma onesto e dal cuore grande, duro, incorruttibile ed ostinato nelle indagini, è capace anche di andare “oltre le regole” per chiudere un caso. Ed essendo americano di origine greca, il suo gusto è molto particolare e spazia dalla moussaka all’hot dog, dallo yogurt greco con il miele ai donuts al cioccolato. Ovviamente il tenente non è solo nella sua lotta contro il crimine ma può contare su un’ottima squadra di detective: Bobby Crockett, il più giovane, sempre al suo fianco, il morbido e riccioluto Stavros (interpretato da George Savalas, fratello di Telly), i detective Saperstein e Rizzo ed il capitano McNeil, suo superiore che cerca di arginare la sua “esuberanza”. Nonostante le mille difficoltà del quartiere in cui lavora, il team riesce sempre a risolvere i delitti più efferati e complicati, guidati e “spremuti” da Kojak, che non si ferma finché non arriva alla verità. Il suo atteggiamento sprezzante e la sua ironia, però, non hanno sempre incontrato i favori del pubblico. Dopo un inizio davvero promettente, le ultime due serie televisive videro un drastico calo di ascolti e costrinsero i produttori a mettere la parola fine al termine della quinta stagione. Nel 1976 la serie fu trasmessa dalla Rai ed ebbe un grande successo, tanto che le repliche andarono in onda sulle reti Mediaset ancora negli anni Ottanta. A mio avviso la motivazione 
del successo di Kojak è la stessa che ne ha decretato la fine: il “buon Theo” non è un uomo d’azione, usa molto di più il cervello e le parole rispetto alla pistola e nelle sue avventure si assiste raramente a scene di violenza. Negli stessi anni in cui andavano in onda le ultime stagioni di Kojak, le principali reti televisive iniziavano a trasmettere altre serie, più avvincenti, con personaggi più affascinanti e d’azione che entusiasmavano e coinvolgevano maggiormente i telespettatori. Così Kojak andò in pensione, pur lasciando a tutti quella sua immagine con il cappello, gli occhiali scuri e il lecca-lecca. Già, avete capito bene: il lecca-lecca. Nei primi episodi della serie, si vede spesso Kojak fumare una sigaretta durante le indagini. La lotta contro il fumo e il divieto di pubblicizzare le sigarette in televisione, però, costrinsero i produttori ad optare per un “vizio” più innocuo e così il duro tenente iniziò a tenere in bocca un lecca-lecca per evitare di cedere alla tentazione della nicotina e questo dolce espediente divenne il suo principale tratto distintivo.
Ed è proprio questo “dolcetto” l’oggetto della mia ricerca che oggi volentieri condivido. Ho scoperto che già nella preistoria se ne trovano tracce. I primi uomini, infatti, prendevano il miele dagli alveari con un bastoncino, per non sporcarsi e soprattutto per non sprecarlo. In seguito si sono trovate testimonianze anche fra i cinesi, gli arabi e gli egiziani, i quali producevano una sorta di confetti di frutta e noci, che poi candivano nel miele e inserivano su bastoncini di legno per consumarli più facilmente. Nei secoli tutti i popoli arrivano a creare dei dolci simili ma si deve aspettare la furbizia di George Smith, imprenditore dolciario statunitense, che nei primi anni del Novecento inizia a commercializzare i primi lecca-lecca e nel 1931 li registra ufficialmente come lollipop, nome di una
corsa di cavalli. Questo per quanto riguarda i “classici”. Ma se entriamo nello specifico di Kojak e dell’immaginario collettivo, per noi europei in particolare, il lecca-lecca per antonomasia è il chupa chups, dall’inconfondibile forma sferica. Il suo nome viene dallo spagnolo “chupar” che significa, appunto, succhiare. Fu creato negli anni Cinquanta dallo spagnolo Eric Bernat, nipote di un famoso pasticcere di Barcellona, che in poco tempo grazie alla sua grande capacità imprenditoriale e all’accattivante logo disegnato appositamente dal mitico Salvador Dalì, rese la caramella sferica col bastoncino uno dei dolci più diffusi ed amati dai bambini…di tutte le età!!! Come vedete non ho pubblicato nessuna ricetta oggi ma ho voluto raccontarvi la storia di un personaggio e quella di un dolce. Chi, come me, è un po’ “vintage” si ricorderà senz’altro dei telefilm di Kojak e spero abbia fatto un tuffo nel passato. A chi è nato dopo e non lo conosce consiglio di provare a vedere almeno uno o due episodi, giusto per farsi un’idea di chi è…chissà? Magari poi vi piace. Ah! E mentre lo guardate…gustatevi un chupa chups del gusto che preferite: è un ottimo abbinamento! Alla prossima settimana!

12/09/2018

LA CACCIATRICE DI BUGIE


Alessandra Monasta (Firenze 1969) è un perito fonico forense. Nella sua carriera si è occupata della trascrizione delle intercettazioni ambientali di molti processi, alcuni di grande rilievo mediatico, quali il mostro di Firenze, la strage dei Georgofili, il delitto di Erba, per citare i più tristemente “famosi”. Ho letto il suo libro “La cacciatrice di bugie” e, se volete leggere qualcosa di “diverso” ed originale, ve lo consiglio! Non si tratta di un vero e proprio giallo, direi più una narrazione biografica che introduce il lettore in un mondo ai più sconosciuto, quello delle intercettazioni appunto. La protagonista è una ragazza di Firenze con una capacità di ascolto e di comprensione delle intonazioni e inflessioni della voce di chi ha di fronte o…all’orecchio. Nascosto e spesso quasi sconosciuto, quello del perito fonico forense è un lavoro che si rivela in molti casi di particolare importanza. Ore e ore chiusa in una stanza, con cuffie, carta e penna, ad ascoltare e riascoltare le intercettazioni, a conoscere quasi intimamente persone mai viste e sentite solo attraverso le loro voci, Alessandra entra suo malgrado nelle vite degli altri, vittime e carnefici che siano, cercando di “captare” e scoprire intenzioni e decisioni in base al tono o alle parole usate. Nel suo lavoro si rapporta con Luigi Russo, l'ispettore incaricato delle indagini, e con  Giulio Bacci, il procuratore che si avvale della sua preziosa collaborazione. Ma fra un nastro e l'altro ci fa entrare anche nella sua vita privata, parlando dei rapporti con la sua famiglia, con gli amici di sempre e con quello che, nell’evolversi della narrazione, diventerà il suo compagno. Il lettore cammina insieme a lei seguendo la sua carriera ed entra in contatto con il turbinio di emozioni contrastanti che travolgono Alessandra. Spesso, infatti, si sente come un'intrusa nelle vite degli altri, cerca di non farsi influenzare, di non giudicare, di non fare interpretazioni ma di attenersi solo ai fatti e a quanto può essere pertinente con il caso e, quindi, riportato nella sua deposizione in aula. Ma non sempre è facile e il più delle volte si ritrova completamente assorbita da ciò che sente, dalla paura, dalla rabbia, dalla violenza. Per staccare si concede delle brevi vacanze a Stromboli con gli amici di una vita. E se durante le lunghe ore di lavoro si accontenta di veloci spuntini, consumati alla sua postazione, quando è al cospetto di Iddu”, come viene chiamato il vulcano, sceglie il tavolino di un bar e la dolcezza di una brioche siciliana e di una granita. Come già detto, mi è piaciuto questo libro, anche se è completamente estraneo ai “canoni” dei gialli ai quali sono abituata. Forse perché mi ha fatto conoscere una realtà diversa rispetto a quella della classica indagine, forse perché la protagonista è semplice, schietta e molto attaccata al suo lavoro ed alla sua famiglia o ancora perché, avendo io problemi di udito, invidio un po’ le sue orecchie così attente e capaci di cogliere la più lieve sfumatura…fatto sta che l’ho apprezzato e spero che l’autrice torni a scrivere. Nel frattempo ho voluto cimentarmi nella ricetta delle famose brioches con il “tuppo”, tipiche della Sicilia. Non so se mi sono avvicinata alle originali perché (ahimè) non le ho ancora provate in loco…ma devo dire che il risultato è stato apprezzato da chi le ha assaggiate, anche se non le ho abbinate all’altrettanto famosa granita! Ecco a voi, quindi, la ricetta.


BRIOCHES SICILIANE CON IL “TUPPO”

Ingredienti per 8 brioche: 350 gr di farina 0 (o manitoba) - 100 gr di zucchero - 100 ml di latte - 2 uova – 70 gr di burro - 1 cucchiaino di sale - 1 cucchiaio di miele - 12 gr di lievito di birra – vaniglia - 1 limone o un’arancia

Sciogliere il lievito nel latte appena tiepido, unire lo zucchero, il miele e mescolare. Poi unire i 2/3 della farina, le uova leggermente sbattute, il sale, il burro fuso intiepidito ed impastare per almeno 10 minuti. Aggiungere poi l'essenza di vaniglia e la buccia grattugiata di limone o di arancia. Unire la farina rimasta, poco per volta, fino a quando l'impasto non si stacca dalle pareti. Mettere l'impasto in una ciotola e coprirla bene con la pellicola. Lasciar lievitare per almeno 3 ore. Una volta lievitato, ricavare 8 palle grandi e 8 più piccole, metterle su una teglia ricoperta da carta forno distanziandole tra loro, poi farle lievitare per altre 2 ore. Premere con un dito al centro delle palline grandi e posizionare spingendo le palline piccole (i tuppi). Spennellare le brioches con un tuorlo d'uovo battuto poi infornare in forno caldo a 170° e cuocere per 20 minuti. Il profumo invaderà la cucina! Una volta pronte godetevele in compagnia di un buon libro e magari con della buona musica, così tutti i sensi saranno appagati…soprattutto il gusto! Alla prossima!





05/09/2018

MURDER SHE WROTE - LA SIGNORA IN GIALLO


Era il 1984 quando debuttò alla CBS negli Stati Uniti e il 1988 quando approdò sui canali RAI qui in Italia: da allora con 264 episodi divisi in 12 stagioni e 4 film TV, “Murder she wrote”, in italiano “La signora in giallo”, è una delle serie televisive più longeve ed amate dal pubblico di tutte le età. Anche le repliche, che ciclicamente vengono ancora oggi riproposte, continuano ad avere molto seguito. Inizialmente la serie doveva essere una versione di Miss Marple a stelle e strisce ma i possessori dei diritti del personaggio originale non lo hanno permesso e così si pensò ad una scrittrice di gialli che indaga su omicidi reali, affiancando la polizia. La scelta dell’attrice cadde su Angela Lansbury, classe 1925, che interpretando Jessica
Fletcher ha ottenuto moltissimi premi e nomination fino ad arrivare all’Oscar alla carriera ottenuto nel 2014. Nonostante la lunga carriera teatrale e i molti altri film ai quali ha partecipato con successo, la Lansbury è indissolubilmente legata a questo personaggio, tanto che, come lei stessa ha raccontato durante un’intervista, spesso gli ammiratori le si rivolgono chiamandola Jessica! Ma a cosa si deve tutto questo successo? Secondo me alla semplicità ed alla simpatia della protagonista. A me è sempre piaciuto vedere la "Signora in giallo" proprio per questo, perché ogni episodio offre un’oretta di svago, senza violenza, senza volgarità, con leggerezza e con un finale che offre spesso anche una morale. E se ancora fate parte di quei pochi che non la conoscono…ve la presento. Jessica Beatrice MacGill, coniugata Fletcher, è un’ex insegnante di inglese che, dopo la morte dell’amatissimo marito Frank, inizia quasi per caso a scrivere. Ben presto diventa una famosa autrice di gialli e un’apprezzata insegnante di criminologia all’Università. Vive nella cittadina di Cabot Cove, nel Maine, dove conduce una vita apparentemente “tranquilla”: 
scrive, legge, cura il giardino, cucina, si muove in bicicletta, incontra le amiche, chiacchiera davanti ad un caffè e spesso viaggia per andare a New York, dove insegna, o a trovare amici e parenti sparsi per il mondo. Fin qui nulla di strano. Il fatto è che ogni volta che si muove, immancabilmente e suo malgrado, è coinvolta in un omicidio! Solitamente la polizia si concentra sul colpevole più “ovvio”, quello contro il quale ci sono molte prove, che il più delle volte è un amico, un conoscente o addirittura un parente di Jessica, la quale si attiva subito per scagionare il malcapitato di turno ed assicurare il vero assassino alla giustizia. Non sempre le sue intrusioni investigative sono ben viste dal poliziotto assegnato al caso, quando si trova fuori casa, mentre lo sceriffo di Cabot Cove, nonostante debba combattere con un po’ di irritazione e imbarazzo, si arrende davanti all’insistenza ed alle argomentazioni della simpatica signora, capace di risolvere i misteri più intricati. I suoi metodi si possono definire “classici”: osserva con attenzione ogni piccolo particolare, ascolta, fa mille domande, ritorna sul luogo del delitto, utilizza tutte le sue conoscenze e la sua
acuta e vivace intelligenza e alla fine nessun criminale può sfuggirle. Il grande successo in TV ha portato alla realizzazione di una serie di romanzi: l'autore è Donald Bain, che firma i suoi lavori come "Jessica Fletcher & Donald Bain", abbinando il suo nome a quello della celebre scrittrice del Maine. Anche i personaggi cosiddetti "secondari" sono importanti e molto amati dai telespettatori. Oltre al già citato sceriffo, Amos Tupper prima e Mort Metzger poi, Jessica è spesso affiancata dal suo più caro amico, il dottor Seth Hazlitt, medico di Cabot Cove e suo prezioso alleato nelle indagini. I due ragionano insieme sui sospettati a casa di Jessica, quasi sempre in cucina, davanti ad una fetta di torta accompagnata da una tazza di caffè. La Fletcher, infatti, fa tutto con successo e quindi è anche un’ottima cuoca. In molti degli episodi della serie la troviamo alle prese con ricette tipiche del Maine, come la zuppa bianca di pesce, o con una classicissima torta di mele da offrire ad amici e vicini o ancora con la torta al rabarbaro, la preferita di Seth. Avevo deciso di proporvi proprio quest’ultima ma non sono riuscita a trovare il rabarbaro fresco richiesto dalla ricetta. Così, pensando alla semplicità di cui vi ho parlato che contraddistingue la nostra protagonista, ho optato per una classica, dolce, intramontabile crostata con confettura di rabarbaro. Prometto che non appena riuscirò a procurarmi l’introvabile radice preparerò la torta originale del Maine e la condividerò con tutti voi. Nel frattempo consoliamoci con questo dolce davvero gustoso!


CROSTATA AL RABARBARO
Ingredienti: 200 g di farina - 150 g di burro - 100 g di zucchero - 2 tuorli - sale – 1 limone (non trattato) – confettura di rabarbaro Lavorate la farina con il burro freddo tagliato a tocchetti, fino ad ottenere un composto “bricioloso”. Aggiungete lo zucchero, i tuorli, un pizzico di sale e la scorza grattugiata del limone. Lavorate velocemente tutti gli ingredienti e formate una palla, avvolgetela nella pellicola e mettetela a riposare in frigorifero. Passata almeno un’ora riprendete la frolla e tiratela con il mattarello, fino ad ottenere una base di 3 mm di altezza. Imburrate ed infarinate una tortiera di 24/25 cm di diametro e adagiatevi la pasta. Bucherellate leggermente la base e riempitela con la confettura, cercando di 
livellarla uniformemente.  Se vi è avanzata un po’ di frolla potete usarla per creare delle strisce da disporre sopra alla composta. Infornate a 180° per 30/40 minuti e poi lasciate raffreddare la crostata nel forno spento ed aperto. Una volta raffreddata potete gustarla insieme ad un tè, guardandovi un episodio della “Signora in giallo” o leggendo uno dei suoi libri: vi rilasserete senz’altro! Buona degustazione e alla prossima settimana!