23/01/2019

NON UCCIDERE: TONI CUPI A TORINO

Questa sera vorrei parlarvi di una serie televisiva contemporanea che a me piace molto: “Non uccidere”. La prima stagione è andata in onda su Rai3, fra il 2015 e il 2016, mentre la prima parte della seconda stagione è stata trasmessa nel 2017 su Rai2. Ora la Rai ha deciso di spostare su Rai Premium la messa in onda della seconda parte della seconda e, a quanto pare, ultima stagione. Sinceramente non capisco le motivazioni di questa scelta e sono molto dispiaciuta non solo per il fatto che finisca ma anche e soprattutto perché in questo modo la serie viene davvero sminuita. E, invece, vi assicuro che è davvero interessante e fuori dalle righe rispetto a ciò a cui siamo abituati. Cerco di spiegarmi meglio… Tanto per cominciare la serie è ambientata a Torino, anche se in molti casi le indagini si spostano anche nella provincia. Quello che colpisce subito, fin dalle prime scene è il grigiore, l’atmosfera cupa, i toni scuri e la lentezza che caratterizzano tutti gli episodi. I casi raccontati, alcuni dei quali ispirati a veri fatti di cronaca italiana, riguardano tutti crimini commessi in ambienti familiari o in comunità chiuse e circoscritte, riducendo così in modo quasi claustrofobico il raggio d’azione della Polizia. La protagonista è l’ispettore Valeria
Ferro, interpretata da una fantastica Miriam Leone che si è “ingrigita”, ha “sacrificato” la sua bellezza e si è calata nella parte, assumendo lo stesso grigiore che permea l’ambiente in cui si muove. Impulsiva, tenace, arguta, Valeria è un ottimo poliziotto con un passato pesante e tormentato che la opprime e, allo stesso tempo, le fornisce la spinta necessaria per affrontare i casi che le si presentano. Scruta, osserva, ascolta, interroga ogni persona coinvolta fino allo sfinimento e non si ferma fino a che non ha trovato il colpevole. Non torna a casa, non dorme o dorme in ufficio, non mangia…è tutta “nel” caso. E così, a poco a poco, la cruda realtà emerge e porta con sé la verità, che arriva come un pugno allo stomaco, dolorosa e scomoda. Accanto a Valeria troviamo sempre la sua squadra e la sua famiglia e non sempre la separazione è netta. Con lei lavorano Andrea, con il quale ha una relazione decisamente complicata, Gerardo, il collega “anziano” del gruppo, Luca, quello più giovane e fragile, ed infine Giorgio Lombardi, il suo capo nonché ex (!). Il nucleo familiare, invece, è composto da Giacomo, suo fratello, sposato con Michela e padre della piccola Costanza, e da suo zio Giulio, che ha cresciuto i due nipoti, rimasti soli in tenera età. Non sempre i rapporti sono facili, soprattutto per il “caratterino” di Valeria, ma fondamentalmente in entrambi i “gruppi” c’è una certa armonia. Non aggiungo altro perché vi invito a guardare questa serie e ad apprezzarne l’originalità. Inutile dirvi che Valeria non solo non cucina ma nemmeno mangia se qualcuno non glielo ricorda! E quindi c’è ben poco da dire o da fare sul tema del gusto, purtroppo…e allora? Allora ho deciso di dare a questa serie il colore che non ha, la nota che le manca, un gusto semplice e variopinto e vi propongo di guardarla gustandovi una semplice ma gustosa
TORTA SALATA A COLORI
Ingredienti (per una tortiera di 22cm di diametro): 1 rotolo di pasta brisée – 4 zucchine – 4 carote – 3 peperoni di diverso colore – 150 gr di ricotta – 150 gr formaggio spalmabile - 1 uovo – erba cipollina – 50 gr di formaggio grattugiato – sale – pepe – noce moscata
Iniziate con le verdure: lavatele e ricavate tante striscioline con il pelapatate o la mandolina, cercando possibilmente di farle tutte dello stesso spessore. Nel frattempo amalgamate i due formaggi con l’erba cipollina, un pochino di sale, pepe e noce moscata. Incorporate anche l’uovo (c’è chi preferisce non metterlo: decidete voi in base al vostro gusto) e unite il formaggio grattugiato. A questo punto foderate la tortiera con la pasta brisée, bucherellatela con i rebbi di una forchetta e versatevi la crema a base di formaggi. Livellate con una spatola e iniziate a posarvi sopra le striscioline di verdure arrotolate, alternando i vari colori. Quando avrete terminato coprite con un foglio di alluminio e infornate a 180° in forno preriscaldato e ventilato per 10/15 minuti. Trascorso questo tempo, togliete l’alluminio e finite la cottura per 5/10 minuti, verificando con uno stuzzicadenti. Sfornate, lasciate raffreddare leggermente e servite. Potete gustarla a tocchetti, insieme all’aperitivo, oppure trasformarla in piatto principale, magari con una bella insalata. Oltre a fare una gran bella figura per il bellissimo aspetto di questa torta, farete successo per il gusto. Mangiatene una bella fetta, guardando “Non uccidere” e apprezzerete l’abbinamento! Buona serata e alla prossima settimana!


16/01/2019

ASA LARSSON E REBECKA MARTINSSON: DUE DONNE VENUTE DAL FREDDO!

Asa Larsson è nata a Uppsala, in Svezia, nel 1966. È un avvocato fiscalista e nel 2003 ha iniziato a farsi conoscere come scrittrice di gialli, creando il personaggio di Rebecka Martinsson. In breve tempo è divenuta famosa e i suoi libri sono stati tradotti in dieci lingue, arrivando a vendere oltre due milioni di libri. Anche Rebecka è un avvocato fiscalista ed è nata a Kiruna, la città più settentrionale della Lapponia svedese. Situata a nord del Circolo polare artico, a Kiruna è sempre giorno 24 ore su 24 (sole di mezzanotte) approssimativamente dal 30 maggio al 15 luglio. La notte polare, durante la quale si può ammirare l'aurora boreale, invece, va dal 13 dicembre al 5
gennaio.  È da questo paese freddo, abitato prevalentemente da operai e pescatori che si conoscono tutti e si aiutano fra di loro, che Rebecka arriva in città e cerca di farsi strada in un mondo prevalentemente maschile, in cui vince chi cammina sulla testa degli altri. Nel primo dei libri che la vedono protagonista, “Tempesta solare”, Rebecka torna al paese natio e, per aiutare un’amica di infanzia accusata di omicidio, finisce per essere coinvolta suo malgrado in una caccia all’assassino senza esclusione di colpi. Il passato torna a galla, insieme a ricordi non sempre piacevoli e nessuno è ciò che sembra. La polizia fa fatica a capire le
dinamiche che celano il movente e il colpevole sembra prendersi gioco di tutti. L’unica persona davvero preparata e capace di andare oltre l’apparenza è Anna Maria Mella, detective che dovrebbe essere in congedo in quanto prossima al parto (il quarto!) ma non riesce a stare lontana dalle indagini. Rebecka si farà aiutare da lei a scavare e dovrà riaprire vecchie ferite per arrivare all’unica e dolorosa conclusione, rischiando anche di morire per amore della verità e della giustizia. Nel 2017 la televisione svedese ha creato una serie tv, tramessa l’anno seguente anche in Italia, di soli 4 episodi. Forse non tutti l’hanno vista e comunque non ha ancora eguagliato il successo dei libri che, invece, continua. Personalmente non ho ancora letto tutte le avventure della Martinsson (e ho guardato solo un paio di telefilm) ma ho intenzione di continuare, perché è una donna tosta, determinata, spesso sopra le righe, che non guarda in faccia nessuno quando si tratta di scoprire la verità. L’altro protagonista assoluto dei gialli della Larsson è, ovviamente, il freddo polare! Fra un colpo di scena e l’altro, Rebecka e gli altri per contrastarlo bevono bevande calde, mangiano dolci alla cannella, stufato di alce o renna e tante, tantissime zuppe! Non avendo a disposizione carne di alce o di renna (grazie a Dio!) ho deciso di proporvi una calda, morbida, saporita crema di porri e patate…e vi assicuro che dopo aver letto qualche pagina di un libro della Larsson ne avrete proprio bisogno!


CREMA DI PORRI E PATATE

Ingredienti per 4 persone: 600 gr porri – 400 gr patate – 60 gr burro – brodo di verdure (almeno 500ml) – sale – pepe – 1 cipolla (meglio se rossa) – 100 ml di panna (facoltativa) – olio evo – grana grattugiato

Pulite e lavate i porri, eliminate la parte verde più dura e fibrosa e tenete quella bianca. Affettateli sottilmente e fateli appassire a fuoco basso per 10 in 30 g di burro. Unite la cipolla tagliata finemente e continuate a far appassire il tutto per altri 5/10 minuti. Pelate le patate, tagliatele a cubetti e incorporatele ai porri. Lasciate insaporire per 2-3 minuti, poi versate metà del brodo e fate cuocere a fuoco medio per 35/40 minuti. Frullate tutto, rimettete sul fuoco, unite la panna (se volete), aggiustate di
sale e pepe e fate cuocere ancora per 5 minuti.  Se il composto vi sembrerà troppo denso potrete
aggiungere ancora un mestolo o due di brodo, in base alla densità desiderata. Servite la crema guarnendola con un pochino di grana e un filo di olio evo. Se preferite aggiungete anche dei crostini di pane.

09/01/2019

MILANO: FA PAURA LA 90!


Francesco Gallone, milanese classe 1978, vende fiori al mercato di Segesta e scrive perché a scuola aveva 5 in italiano, come lui stesso ha dichiarato! Autore di noir, irriverente, ama Milano e la odia allo stesso tempo. Riccardo Besola, milanese classe 1974, lavora nel settore pubblicitario televisivo, adora Scerbanenco, maestro del noir italiano, e scrive sia da solo che “in trio”. Andrea Ferrari, milanese classe 1977, lavora in un centro anziani e ha scritto diversi libri gialli ambientati nella sua città. Ha creato i personaggi del detective Brandelli e dell’investigatore Bossi oltre, naturalmente, a quelli di cui ha scritto insieme a Besola e Gallone.
Questi tre scrittori contemporanei hanno ottenuto un discreto successo, sia singolarmente sia insieme e mi sono piaciuti, quindi leggerò altri loro libri. Fra i tanti ho scelto di iniziare da quello che più mi attirava: “Milano fa paura la 90 – Il delitto di via Botticelli”.  Perché proprio questo? Beh! Forse perché mi coinvolge in prima persona…in che senso? Dovete sapere che per andare a lavorare prendo tre mezzi, uno dei quali è la 91. In andata, almeno, perché poi per tornare a casa prendo la 90 e vi assicuro che a volte fa davvero paura! Certo non è la stessa paura a cui si riferiscono i tre autori ma io ho colto questa sorta di richiamo e ho letto il libro. Anzitutto, come per tutti i libri la cui azione si svolge a Milano, mi è piaciuto tanto seguire i protagonisti nei luoghi, nelle vie, nelle piazze che conosco bene e per le quali ho passeggiato o sono passata a piedi e sui mezzi. Altrettanto interessante è il periodo in cui il romanzo è ambientato, che poi è quello in cui sono nata. Le azioni, infatti, si svolgono nel pieno dei controversi Anni Settanta, più precisamente nel 1976. Sono gli anni in cui i poliziotti dovevano intervenire durante le guerriglie urbane fra gli studenti, divisi in rossi e neri, in “compagni” e “camerati”, al termine di cortei partiti con slogan urlati da Largo Cairoli a Piazza San Babila. E sono gli anni in cui gli stessi poliziotti si
rendevano conto che quelle guerriglie non sarebbero mai finite bene e che in qualsiasi modo si fossero comportati avrebbero comunque passato dei guai. Troppa violenza o troppa calma finivano entrambe a titoli cubitali sulle prime pagine dei giornali e tutto il resto passava in secondo piano. Ma torniamo al nostro libro. I protagonisti, oltre a Milano e al 1976 appunto, sono il commissario della Squadra Mobile Benito Malaspina, il suo attendente, l’agente scelto Venditti, il giornalista di cronaca nera Dino Lazzati, detto Fernet, amico e informatore di Malaspina e tutta una serie di personaggi che fanno da “contorno” ai primi tre. Malaspina è un poliziotto vecchio stampo, onesto, tutto d’un pezzo, che crede ancora e comunque nella giustizia e nella legge. Umano, un po’ burbero, innamorato della moglie Rossella, dalla quale vorrebbe tanto avere un figlio, è un segugio testardo e non sopporta la burocrazia e l’indolenza di chi sta sopra di lui. Venditti, romano doc, entrato in Polizia e mandato sotto la Madonnina dopo un passato da piccolo criminale di borgata, è il suo attendente, il suo autista…spesso è anche il suo “grillo parlante” che, con la sua parlata romanesca, riporta il commissario con i piedi per terra in tante occasioni. Ingenuo, sempliciotto ma fedele e caparbio, non lo ammette con sé stesso ma nutre profondo rispetto ed ammirazione per il suo capo, ad eccezione “de quanno sta ‘ncazzato che è mejo staje alla larga”. Ed infine Fernet, così chiamato per la sua passione sfrenata per l’omonimo amaro. Scrive e tiene tutto e tutti sotto controllo dal suo “ufficio” situato nel Bar Lafuss (gioco di parole
comprensibile solo a chi capisce il milanese!!) e sogna di riuscire a fare breccia nel cuore di una giovane collega che lo stima molto e ne segue i consigli ma gli appare inarrivabile. Per le sue conoscenze è diventato informatore e amico di Malaspina, il quale ricambia con le esclusive sui suoi casi e non esita a trascinarlo nelle sue indagini. La trama del libro è avvincente: un omicidio, durante il Carnevale ambrosiano, porta Malaspina ad indagare in un Istituto di arti grafiche, dove troverà solo omertà e tanta confusione. Ma non finisce qui. Le morti aumentano e, come se non bastasse, ci sono le “apparizioni” di una 90 fantasma, che circola senza autista, e del terrificante Uomo Lupo. A tutto questo si aggiunge il figlio neonato di una delle vittime che il “Mala” porta a casa alla moglie. Ufficialmente per proteggerlo ed accudirlo durante le indagini, in realtà per colmare quel vuoto che consuma la sua amata Rossella. Il povero commissario, però, si ritroverà ben presto in un incubo non solo sul lavoro ma anche a casa! La moglie, infatti, è completamente assorbita dal bambino e lui passa notti insonni e si ritrova a mangiare panini con qualcosa pescato in frigorifero, sognando uno dei tanti manicaretti ai quali, invece, era abituato! Tutto questo lo logora e la sua rabbia si sfoga su Venditti, che tace e spera che la buriana finisca presto. Leggendo questa avventura di Malaspina ho provato tanta simpatia per lui e una grande pena immaginandolo davanti al frigorifero a scartare pacchettini di affettato e ad aprire sottaceti e sottoli per creare assurdi ed indigesti abbinamenti! Pensando a lui e a quanti sono costretti a mangiare così, in qualche modo, per mettere a tacere la fame sacrificando il gusto, ho deciso di proporvi una ricetta tanto semplice quanto robusta, dal gusto deciso. L’ho mangiata spesso a casa di mia sorella, che vive nella collina romagnola e ha accesso ad ingredienti genuini, dai sapori schietti che poi mette insieme armoniosamente.


MACCHERONCINI FUNGHI, PANNA E SALSICCIA

Ingredienti per 4 persone: 300/320 gr di pasta formato maccheroncini – 350 gr di salsiccia fresca – 300 gr di funghi freschi misti (o 200 gr di funghi secchi misti) – 250 ml di panna fresca – una carota – una gamba di sedano – una cipolla - vino bianco – sale – pepe- noce moscata – 50 gr di grana padano – olio evo

Prima di tutto bisogna pulire i funghi e, prima di lavarli, raschiateli con un coltellino per eliminare la terra che c’è sopra. Quindi, sciacquateli velocemente sotto l’acqua corrente fredda, dopodiché asciugateli, tamponando con della carta assorbente. Se utilizzate quelli secchi, invece, lasciateli almeno un’oretta in immersione in acqua tiepida e poi lasciateli asciugare prima di utilizzarli. In una padella fate soffriggere carota, sedano e cipolla precedentemente sminuzzati e poi aggiungete pian piano la salsiccia, privata del budello, 
spezzettandola. Deve proprio essere “sbriciolata”. Fatela rosolare bene, irrorandola con un po’ di vino bianco, quindi aggiungete i funghi tagliati grossolanamente e ancora un pochino di vino bianco e un pizzico di noce moscata. Nel frattempo buttate la pasta e, prima di scolarla, prendete un mestolo di acqua di cottura e versatelo nella padella, alzando leggermente la fiamma. Aggiungete la panna e aggiustate di sale e pepe, in base al vostro gusto (assaggiate prima di condire, altrimenti rischiate di esagerare), infine unite la pasta scolata al sugo e amalgamate sul fuoco per un paio di minuti. Servite con una grattata di grana padano e gustatela insieme ad un vino rosso corposo. Come vi dicevo è un piatto robusto e gustoso, ideale per un pranzo invernale e confortevole. Sono certa che al commissario Malaspina piacerebbe molto! Buon appetito e alla prossima!



02/01/2019

INVITO A CENA CON DELITTO


Ieri è iniziato il 2019 e spero che tutti voi abbiate passato delle belle feste. Fra piatti della tradizione, golosità, preparazioni più o meno elaborate, dolci e spumanti, famiglia e amici, abbiamo passato tantissimo tempo seduti attorno a tavole imbandite, impegnati in chiacchiere e degustazioni. E proprio ispirandomi alle classiche tavolate preparate con i “servizi belli” questa sera voglio parlarvi di un film. Si tratta di un film che rivedo sempre con piacere, per farmi quattro sane risate e che penso molti di voi conoscano. “Invito a cena con delitto”, titolo originale “Murder by Death”, è un film del 1976 diretto da Robert Moore. Scritto da Neil Simon, commediografo statunitense, è una divertente parodia del genere giallo classico e si avvale di un cast di primissima categoria. Fra gli attori, infatti, troviamo Alec Guinness, Peter Sellers, Peter Falk, David Niven, Maggie Smith, per citare solo i più famosi. Unica nel suo genere, inoltre, è l’interpretazione di Truman Capote, il famoso scrittore che ha una parte molto importante. Presentato sempre nel 1976 alla Mostra cinematografica di Venezia, il film ha ottenuto fin da
subito un grande successo e ancora oggi, soprattutto durante le feste, molti canali lo ripropongono anche in prima serata. Ma veniamo alla trama. Il miliardario Lionel Twain, eccentrico e appassionato di gialli, invita nel suo vecchio e tetro castello per un fine settimana i cinque migliori investigatori, scrittori e criminologi del mondo con i rispettivi accompagnatori, partner e coniugi. Arrivano così Sidney Wang, con il figlio adottivo Willie, Dick e Dora Charleston, Sam Diamante con la segretaria Tess, Milo Perrier con il suo assistente ed autista Marcel e Jessica Marbles con l’anziana infermiera Withers. Ciascuno di loro è una sorta di “caricatura”
rispettivamente dei famosi Charlie Chan, Nick e Nora Charles, Sam Spade, Hercule Poirot e Miss Marple e tutti hanno un segreto legame con il loro ospite. Fin dal loro arrivo al castello succedono cose strane. Quando suonano il “campanello”, infatti, costituito dall’agghiacciante urlo di una donna, una statua cade dal tetto dell’ingresso rischiando di ucciderli. Ognuno di loro si salva miracolosamente (e spesso comicamente!) e viene accolto da Jamesignora Bensignore, il maggiordomo cieco di casa Twain, interpretato da un fantastico Alec Guinness! Lo stesso maggiordomo assegna loro le rispettive camere e da loro appuntamento per la cena. Nel frattempo arriva la cuoca assunta per l’occasione, Yetta, che ha il volto della simpaticissima Nancy Walker ma è
sordomuta ed analfabeta…condizione che le impedisce di comunicare con il maggiordomo e, ovviamente, di preparare la cena! Una volta accomodati, i nostri stimati professionisti del crimine si riuniscono nella sala da pranzo e vengono raggiunti da Lionel Twain, che compare improvvisamente al tavolo e lancia loro una sfida: allo scoccare della mezzanotte avverrà un omicidio, uno dei commensali morirà per mano di un altro ed i sopravvissuti dovranno risolvere il mistero, smascherando l’assassino. Il vincitore guadagnerà un milione di dollari
ed i diritti cinematografici della vicenda. Scomparendo, poi, alla loro vista rimarrà nell’ombra, ad osservare i dieci personaggi alle prese con le indagini. E ne succedono delle belle! Dapprima muore il maggiordomo, il cui corpo, però, sparisce…poi muore la cuoca…o no?!?!? E poi spariscono in otto e ne rimangono due e ancora si ritrovano in sala da pranzo ma manca sempre qualcuno…Insomma a poco a poco, fra battute esilaranti e scene tragicomiche, la notte passa e l’alba getta nuova luce sulle tante ombre. Ogni personaggio diventa diffidente nei confronti degli altri, niente e nessuno è come sembra e la soluzione ha mille sfaccettature! Non svelo altro perché rovinerei la
visione a chi ancora non l’ha visto ma vi consiglio di guardarlo perché si tratta di una parodia molto raffinata e apprezzabile, soprattutto da chi conosce i vari personaggi rappresentati. Come dicevo la cuoca non riesce a preparare nulla per cena ma il menù prevedeva, fra le altre portate, un classico consommè. E visto che il nostro stomaco è stato messo a dura prova negli ultimi giorni, ve lo propongo nella versione del Cucchiaio d’Argento. Nella sua semplicità è un piatto davvero gustoso e ben si presta ad essere sorbito caldo.

Prima un po’ di storia… Consommè deriva dal francese, è il participio passato del verbo consommer, consumare, infatti si intende un brodo ristretto ottenuto dopo una bollitura prolungata a fuoco basso. La differenza fra un consommé rispetto ad un semplice brodo ristretto risiede nel fatto che nel brodo, a causa della lunghissima cottura (che va oltre le 8 ore in una preparazione classica) non ci sono quasi più proteine, dato che la maggior parte è stata spezzata in amminoacidi; nel consommé “moderno”, invece, riprendendo della carne a metà cottura, se ne troveranno in quantità piuttosto importanti, dato che i succhi estratti dalla carne e dalle verdure della seconda cottura non hanno ancora avuto il tempo di essere degradati completamente.
RICETTA CONSOMME’  •300 g di carne di manzo tritata • 2 albumi • 1 porro • 1 carota • sedano • 2 litri e 1/2 di brodo di carne • sherry secco (facoltativo)
In una casseruola mettete la carne tritata, le verdure tagliate a pezzetti e gli albumi. Versate il brodo freddo e mescolate bene. Ponete sul fuoco e sempre mescolando portate a bollore. Abbassate la fiamma e cuocete (il liquido deve solo sobbollire) per circa un’ora. Filtrate il brodo con un telo. Se volete profumarlo, aggiungete lo sherry calcolando un cucchiaio da minestra per ogni tazza e 4 per un litro di brodo.