27/06/2018

STIEG LARSSON E LA TRILOGIA MILLENNIUM

Svedese classe 1954, attivista nelle file dei giovani comunisti nordeuropei, scrittore e giornalista di successo, Stieg Larsson ha conosciuto la vera fama solo dopo la sua morte improvvisa, avvenuta nel 2004. Per più di vent’anni ha scritto articoli contro fascismo ed estremismo di destra e nel 1995 ha fondato una rivista trimestrale antirazzista "Expo"; ha tenuto conferenze in tutta Europa ed è arrivato a collaborare con Scotland Yard. Per le sue decise prese di posizione ricevette diverse minacce di morte ma non si arrese e continuò nel suo lavoro. Nonostante fosse completamente assorbito dalle tante attività ed iniziative legate alla politica, Larsson, poco prima della morte, consegnò ad un’importante casa editrice svedese tre manoscritti, tre romanzi polizieschi che costituiscono la “trilogia di Millennium”. In realtà lo scrittore aveva in mente una
serie di dieci libri ma un infarto fulminante lo colpì prima che potesse finire di scrivere il quarto. Alla loro uscita, avvenuta fra il 2005 e il 2007, i tre romanzi ebbero subito un enorme successo e divennero in breve un caso letterario, arrivando a vendere più di 8 milioni di copie. Ma di cosa si tratta? Millennium è il nome di un mensile di Stoccolma, specializzato in indagini su grandi scandali economici e politici, il cui giornalista più brillante è Mikael Blomkvist. A causa delle sue indagini “scomode”, Mikael finisce spesso nei guai e nel primo libro (Uomini che odiano le donne) dopo un processo che lo giudica colpevole di diffamazione, per evitare il carcere ed allontanarsi per un po’ di tempo da Stoccolma, accetta di lavorare per un miliardario, che gli chiede di far luce su una vicenda vecchia di trent’anni. Ad aiutarlo, inaspettatamente, ci sarà Lisbeth Salander, giovane ed enigmatica hacker dal torbido passato, con la quale instaura uno strano e tormentato rapporto. Nel secondo libro (La ragazza che giocava con il fuoco) l’attenzione si sposta su Lisbeth. Accusata di triplice omicidio, ricercata dalla polizia e da nemici emersi dal suo passato, la ragazza potrà fare affidamento solo su sé stessa e su Mikael, che cercherà di aiutarla in tutti i modi per provare la sua innocenza. Per farlo, però, dovrà scavare nella storia familiare di Lisbeth e quello che scoprirà sarà davvero scioccante. Infine, nel terzo capitolo della trilogia (La regina dei castelli di carta), è ancora Lisbeth che dovrà lottare per la sua vita. Con il suo passato, infatti, sono emersi anche segreti che in tanti vorrebbero lasciare sepolti. La giovane e tormentata hacker è diventata molto scomoda per uomini importanti, potenti e privi di scrupoli e Mikael potrà salvarla solo pubblicando verità scottanti sulla sua rivista…ma così anche lui rischia grosso. Ho letto i tre libri, uno dopo l’altro, divorando ogni pagina e rimanendo sveglia fino a tardi, incollata alle parole scritte da Larsson con uno stile semplice e scorrevole che ti impedisce di fermarti. La figura di Lisbeth Salander è davvero affascinante ed ambigua: in un capitolo la adori e vorresti aiutarla e nel capitolo successivo ti ritrovi a odiare alcune sue azioni ed a dubitare di lei. In ogni caso sei talmente “immerso” nel libro che ti sembra di farne
parte! E anche la trasposizione cinematografica, con una fantastica Noomi Rapace ad interpretare la hacker svedese, è stata davvero incredibilmente fedele ai libri. Nonostante l’originalità e l’intelligenza introversa del suo personaggio, però, dal punto di vista del gusto Lisbeth è proprio negata! Mangia solo cibo surgelato e beve caffè a litri! Praticamente si riempie il freezer di “Billys Pan Pizza”, una sorta di pizza all’americana ricoperta di un’accozzaglia di ingredienti…povera ragazza…in tanti momenti, leggendo le sue avventure, avrei voluto correre nel suo appartamento e cucinarle qualcosa di “normale”, facendole capire che anche le papille gustative si meritano il meglio! Invece la leggevo (e la vedevo nel film) intenta a digitare furiosamente sulla tastiera del suo pc, con una tazzona di caffè e la pizza surgelata, passata dalla scatola al microonde al piatto e poi al suo stomaco insensibile! Beh! Come avrete già intuito stasera non vi proporrò una ricetta ma vi parlerò del successo che ebbe l’ideatore della pizza surgelata e che continua ancora oggi. Questa volta non si parla di gusto del delitto ma di delitto del gusto! 
Breve storia della pizza surgelata
Come tutti sappiamo (e come vi ho già scritto nello scorso mese di aprile) pur essendo la pizza nata
alla fine del XIX° secolo, solo nel 2017 l’Unesco ha dichiarato patrimonio dell’umanità l’”arte tradizionale dei pizzaiuoli napoletani”e fin qui tutto bene, anzi! Ovviamente in questa “arte tradizionale” la pizza surgelata non solo non rientra ma è proprio tutt’altra cosa…tanto che molti dicono che non si dovrebbe nemmeno usare il termine “pizza”. Ma, si sa, è il mercato che comanda e i surgelati hanno sempre riscosso un enorme successo. Negli Anni Trenta, negli Stati Uniti, un certo Charles Birdseyes aveva presentato in diversi negozi alcuni tagli di pesce e di carne surgelati, contribuendo alla diffusione di questo nuovo tipo di conservazione e consumo di generi alimentari. Una ventina di anni dopo Joseph Settineri, figlio di immigrati italiani che insieme al fratello Cyrus vendeva ravioli ed altri prodotti di origine italiana, ebbe un’idea che lo avrebbe reso ricco. Il lavoro andava abbastanza bene, visto che, allora come oggi, i prodotti del Belpaese riscuotevano il favore dei consumatori statunitensi. Per aumentare il suo giro d’affari, Joseph creò la prima pizza surgelata, un prodotto che non rispecchiava la ricetta originale ma voleva andare incontro ai gusti dell’americano medio. Il punto però è che, a parte il nome, la pizza made in USA e quella made in 
Italy avevano, e hanno tuttora, ben poco in comune, perché le pizze di oltre oceano sono “troppo”: troppo ricche, troppo condite, spesso con un affastellamento di ingredienti privo di apparente logica. Sono, insomma, lontane anni luce dalle pizze create, preparate e consumate nel nostro Paese. Ciò nonostante inspiegabilmente piacciono! Alla fine degli Anni Sessanta, poi, questo prodotto sbarcò anche da noi e…incredibile a dirsi ebbe successo anche qui! Puntando tutto sulla praticità e nulla sul sapore, riuscì ad occupare una buona fetta di mercato e continua a farlo. Inutile negarlo, tutti prima o poi l’abbiamo assaggiata e, anche se non è in alcun modo all’altezza della “vera pizza”, rimane comunque un prodotto “comodo” da gestire e da consumare, soprattutto con i ritmi frenetici che ci incalzano. Chi è pro chi è contro…ciascuno decida da che parte stare. Io rimango dell’idea che la pizza sia qualcosa di unico. Quella verace dei pizzaioli, quella casalinga fatta dalla mamma, quella più semplice presa al volo dal panettiere…ciascuna ha la sua consistenza, il suo sapore e la sua bontà e il prodotto surgelato non arriverà mai ad eguagliarla. Quindi, mi raccomando, mentre siete presi dalla lettura di un bel libro giallo o vi preparate a vedere un bel film, se proprio non riuscite a cucinarla voi direttamente, fatevela portare a casa dal pizzaiolo più vicino…e gustatela fino in fondo!

20/06/2018

ELLERY QUEEN – INDAGINI E HOT DOG A NEW YORK


Due cugini newyorkesi di origine ebraica cresciuti a Brooklyn, entrambi classe 1905, entrambi scrittori appassionati di letteratura poliziesca, Frederick Dannay e Manfred B.Lee hanno scelto come loro pseudonimo Ellery Queen e hanno dato lo stesso nome anche al loro personaggio più famoso. Nato nel 1929, laureato ad Harvard, Ellery è un giovane e brillante scrittore di gialli che vive nella New York del Secondo Dopoguerra con il padre, Richard, burbero irlandese, vedovo, ispettore capo della Squadra Omicidi. Allampanato, con l’aria di chi ha sempre la testa fra le nuvole Ellery Queen in realtà possiede un’intelligenza ed un intuito fuori dall’ordinario. Suo padre ricorre spesso all’aiuto del figlio per risolvere i casi più difficili, solleticando
la sua grande curiosità e facendo leva sull’affetto che li lega. Ellery osserva, fa domande apparentemente banali, si focalizza su dettagli che sembrano insignificanti e, quando arriva alla soluzione, raduna tutte le persone coinvolte nelle indagini e rivela il nome dell’assassino, sbrogliando poco a poco le matasse più aggrovigliate. Nei romanzi di Ellery Queen giocano un ruolo importante anche i cosiddetti “protagonisti secondari”: il sergente Velie, braccio destro dell’ispettore Queen, Simon Brimmer, conduttore di gialli radiofonici, sempre in gara con Ellery per cercare di smascherare il colpevole di turno, e Frank Flannigan, giornalista perennemente alle costole dei Queen, alla ricerca di un’esclusiva per diventare un cronista da prima pagina. I libri di Ellery Queen ebbero un enorme successo e presto le sue avventure approdarono alla radio e alla televisione. La serie televisiva degli anni Settanta, in particolare, decretò la fama del noto investigatore e rese celebre l’attore che lo interpretava, Jim Hutton (padre di Timothy), capace di rendere perfettamente sullo schermo i tratti di Ellery descritti nei romanzi. Una nota davvero originale, rispetto a tutti i film e telefilm polizieschi, fu l’introduzione del rapporto con il telespettatore. Alla fine di ogni episodio, infatti, prima di rivelare il nome del colpevole di turno, il personaggio di Ellery Queen si rivolgeva
direttamente alla telecamera e quindi al pubblico televisivo (infrangendo in questo modo la “quarta parete”) chiedendo se, considerati tutti gli indizi e i comportamenti dei sospettati, lo spettatore avesse individuato il colpevole...e quando mai?!?!? Io rimanevo sempre a bocca aperta ad aspettare che fosse lui a dirlo!!! Ma veniamo a noi: Ellery Queen è solo un grande segugio o ha anche uno stomaco e delle papille gustative?!?!? Ahimè! Lo scrittore-investigatore dilettante si butta talmente a capofitto nelle indagini che spesso si estranea da tutto ciò che lo circonda e sembra perdere il contatto con la realtà, arrivando anche a dimenticarsi di mangiare (!) e bevendo solo caffè. Il povero ispettore Queen, allora, cerca di preparargli dei sandwiches o, meglio ancora, lo trascina ad uno dei tanti chioschi newyorkesi dei venditori di hot dog, assicurandosi che il figlio ne “butti giù” almeno uno!  Non si tratta di panini elaborati né di un piatto gourmet ma la maggior parte dei poliziotti raccontati nei libri o nelle serie televisive ne consuma una gran quantità…quindi penso che debbano occupare un posto nel mio blog. Per prima cosa vi faccio una domanda: sapete perché si chiamano hot dog (letteralmente “cane caldo”)?? Ci sono 3 diverse versioni che cercano di spiegarlo: 

-          La prima narra che il termine fu coniato da un venditore allo stadio nel 1867 che, non riuscendo a vendere i suoi würstel, si inventò la storia che questi erano salsicce di cane e se ne andava in giro gridando "chi vuole le mie salsicce di cane?" Riuscì così ad incuriosire le persone ed a far alzare le sue vendite. Poco dopo anche gli altri venditori di würstel lo imitarono, ma nell'abbreviare il suo slogan, urlavano solo "cane caldo!" (hot dog).
-          La seconda, invece, sostiene che quando, all'inizio del XX secolo, i New York Giants disputavano le loro partite di football, lo statunitense Henry M. Stevens pensò di distribuire tra le folle presenti allo stadio i dachshund sausages. Il nome hot dog venne dato a questi panini dal disegnatore di vignette sportive P.A. Dorgan. Egli raffigurò un panino con dentro un bassotto, associando il würstel a questo cane, che era anch'esso lungo e tedesco e dato che i venditori chiamavano la gente dicendo "get your dachshund sausages while they're yet hot" cioè "prendi la tua salsiccia mentre è ancora calda", da lì prese il nomignolo equivoco hot-dog.
-          Infine la terza versione si riferisce a "dog", parola inglese usata per identificare non solo il "cane", ma anche il "dente di arresto", altresì detto "briglia" o "grappa" e, più specificamente nel caso degli hot dog, questi ricordano le briglie (lunghe circa 15 cm) usate un tempo dai ferrovieri per bloccare le rotaie alle traversine di legno.
Quale sarà la giusta versione? Non saprei proprio…ciascuno scelga quella che più gli piace, tanto il risultato non cambia: l’hot dog è nato a New York ed è una delle icone dello street food della Grande Mela.
Ricetta del vero hot dog made in New York!
Ingredienti per 2 hot dogs:  2 buns (panini tipici, morbidi) per hot dogs - 2 wurstel - 1 cucchiaio di ketchup – Senape (se disponibile Classic Yellow Mustard americana)
Fate scaldare i wurstel nell’acqua bollente per qualche minuto. Tagliate i panini in due per il lungo, facendo attenzione a non aprirli del tutto, e farciteli con i wurstel e le salse. Questa è la ricetta “basic” ma potete sbizzarrirvi! Potete aggiungere un sacco di altri ingredienti come verdure, pomodori, cipolle, peperoni…o fare le cose in grande aggiungendo del bacon! Dovrebbero essere mangiati in piedi, velocemente, magari sul marciapiedi, mentre passano le auto…cioè…così li mangiano in TV…io, invece, preferisco arricchirli con della verdura e mangiarli spaparanzata sul divano, guardando una serie poliziesca ambientata a...New York, of course!



13/06/2018

MICHAEL BENNETT UN POLIZIOTTO, UNA TATA, UN NONNO E DIECI FIGLI


Vi ho già parlato di James Patterson, prolifico scrittore statunitense, a proposito di Alex Cross e delle donne del Club Omicidi…vi ricordate? Stasera vorrei farvi conoscere un altro dei personaggi creati da Patterson insieme a Michael Ledwidge: il detective della polizia di New York Michael Bennett. Irlandese di origine, ironico, testardo, amante del buon cibo e della Guinness, Bennett si divide fra il suo lavoro e la sua numerosa famiglia…Già, perché insieme all’amatissima moglie Maeve ha ben 10 figli adottivi, di diverse età ed etnie. Rimasto solo dopo la morte di Maeve a causa del cancro, Michael si fa aiutare nella gestione della prole dal nonno Seamus, pastore cattolico irlandese con un grande cuore, e dalla preziosissima ed affascinante Mary Catherine, tata tuttofare e novella “Mary Poppins”, anche lei irlandese, che riesce a tenere a bada la Bennett family con dolcezza ed autorevolezza facendosi amare da tutti (e non solo dai ragazzi!). Michael è un poliziotto in gamba che riesce a risolvere i casi più difficili ed a catturare i criminali più incalliti, grazie alla sua intelligenza, alla sua capacità di lavorare in squadra con i colleghi, alla sua determinazione ed alla sua profonda umanità. Per lui il lavoro è una passione e si butta a capofitto nelle indagini…l’importante, però, è riuscire a tornare a casa ogni sera per abbracciare i suoi figli, cercando di cenare con loro. Quando non ci riesce, schiacciato dai sensi di colpa, si alza di buon’ora e prepara una colazione abbondante all’irlandese, per viziare i suoi ragazzi e goderseli un po’ prima di ributtarsi nel lavoro. Anche nonno Seamus ogni tanto si mette ai fornelli per improvvisare un pranzo o una cena…I piatti migliori, però, li prepara Mary Catherine: arrosto e purè, uova e bacon, torte e biscotti…tutto rigorosamente fatto in casa con porzioni generose. Fra le tante ricette ho scelto quella delle tortine irlandesi all’uvetta che i Bennett divorano a colazione ma che si prestano anche per una merenda o una dolce pausa. Provatele, sono davvero semplici da fare e…ancora più semplici da mangiare!

RICETTA TORTINE IRLANDESI ALL’UVETTA
Ingredienti: 300gr uva passa - un bicchiere scarso d'acqua - 180gr di zucchero - 180gr di burro -  300gr di farina bianca - 3 uova – cannella - noce moscata - una bustina di lievito in polvere

Mezz'ora prima di preparare le tortine mettere a bagno l'uvetta; poi scolatela e travasatela in una casseruola con il burro e l'acqua, fate bollire a fiamma bassa per 10 minuti. Togliete dal fuoco e fate raffreddare. In una terrina mettete la farina, il lievito, la cannella, lo zucchero, la noce moscata e le uova sbattute. Lavorate il composto con un cucchiaio di legno finché diventa omogeneo, poi unite l'uvetta con il suo liquido, mescolando. Se il liquido fosse scarso, aggiungete un po' di latte.

Versate il composto nei pirottini imburrati e infarinati e metteteli in forno a 180° per 40/45 minuti. Una volta sfornate le tortine, lasciatele raffreddare e servitele. Un consiglio: provatele tiepide con un pochino di gelato alla crema…e intanto leggete uno dei libri di Patterson! Alla prossima!

06/06/2018

FABIO MONTALE: OMICIDI, PROFUMI E SAPORI A MARSIGLIA


Jean-Claude Izzo (Marsiglia 1945 – 2000) è stato uno scrittore, poeta, giornalista, drammaturgo e sceneggiatore francese. Figlio di un immigrato italiano e di una casalinga francese, Izzo iniziò giovanissimo a scrivere articoli per giornali di provincia e a militare nelle file del partito comunista. Alternava la sua attività di giornalista con quella di scrittore, principalmente di poesie. Negli anni Novanta scrisse il primo libro della cosiddetta “Trilogia marsigliese” con protagonista il poliziotto Fabio Montale, che lo portò al successo. Così come l’autore, anche Montale è figlio di immigrati italiani, vive a Marsiglia e ne conosce ogni angolo, soprattutto i peggiori. Cresciuto con due amici fraterni, con i quali vive un’adolescenza irrequieta fatta di scorribande e piccoli furti, divenuto adulto si divide da loro e sceglie di entrare in polizia, per difendere la sua amata-odiata città e per cercare di reagire a un destino già scritto, comune alla maggior parte dei “ragazzi bastardi” provenienti come lui dai quartieri multietnici. Fabio Montale è diverso dagli altri poliziotti: lui non guarda gli altri dall’alto al basso, lui non cerca la gloria delle prime pagine dei giornali, né l’approvazione del capo…
Lui vuole fermare i boss della malavita locale che sfruttano ragazzini e bambine, che gestiscono i traffici illeciti arricchendosi e schiacciando chiunque li intralci. È più un educatore di strada e vuole giustizia, anche se a volte la “sua” giustizia compie giri lunghi e tortuosi per arrivare a fermare il colpevole, anche se la “sua” giustizia spesso lo colpisce dritto in faccia e gli fa rischiare la vita. È un irrequieto sul lavoro e anche nella vita. Non riesce a stare molto tempo con una donna perché si sente incapace di amare totalmente, perché si sente insicuro e perché ha paura di ciò che non riesce a gestire. Ma ha un cuore d’oro e, pur soffrendo per le brutture che incontra ogni giorno come poliziotto, ama profondamente Marsiglia e il suo mare, gli piace pescare, ascoltare la musica, bere e mangiare bene  e, soprattutto, cucinare. Quando può ci si dedica con passione ma spesso non ne ha il tempo e si lascia viziare dalla vicina di casa, Honorine, che lo conosce fin da quando era un ragazzo e gli prepara piatti semplici ma gustosi. Ho scelto una delle ricette che si trovano nel primo libro della trilogia “Casino totale”, in cui uno stanchissimo Montale ritempra corpo e mente mangiando i mitici peperoni alla rumena, cucinati amorevolmente da Honorine, appunto. Una curiosità: sono talmente tante le ricette nella trilogia di Montale che lo scrittore Pierpaolo Pracca ha scritto un libro raccogliendole tutte. Si intitola “L’amore, la morte e il basilico” e prima o poi lo leggerò! Per ora vi lascio ai peperoni…buon lavoro! 


RICETTA PEPERONI ALLA RUMENA


Ingredienti per 6 persone: 6 peperoni (possibilmente tutti della stessa grandezza e un po’ squadrati, in modo che stiano “in piedi”) -  1 kg di riso – 500 gr di carne di manzo macinata – 1 salsiccia grossa tritata – origano, timo, alloro e santoreggia – 1 cucchiaio di panna – 3 cucchiai di olio evo    Per la salsa: 500 gr di pomodori maturi - 2 cipolle piccole (o 1 grande) – Prezzemolo – Olio evo – sale e pepe. 
Lavare bene i peperoni, togliere la calotta superiore e pulirli internamente, eliminando i semi. Far rosolare la cipolla per 2 minuti nell’olio, aggiungere il riso e un po’ d‘acqua e cuocere per 5 minuti. Togliere dal fuoco. In un contenitore mischiare la carne, il riso, la cipolla, il prezzemolo e le erbe aromatiche. Salare, pepare e riempire i peperoni. Metterli in 
una pentola (pignatta), aggiungere la passata di pomodoro con acqua e un cucchiaino di zucchero. Il liquido deve coprire i peperoni, cuocerli per 60-70 minuti a fuoco moderato, mettendo sale e foglie di alloro. In alternativa cuocerli in forno, a 180° per 40/50 minuti. Prima di servirli versatevi sopra un po’ di panna. N.B. Io ho apportato una mia personale modifica al procedimento della ricetta originale: ho fatto rosolare carne e salsiccia in padella con la cipolla e un filo d’olio per 5 minuti, poi ho aggiunto il riso e ho sfumato tutto con un po’ di vino bianco per altri 5 minuti. Solo a questo punto ho riempito i peperoni e li ho infornati. Prima di servirli poi li ho cosparsi di origano e vi ho versato un filo di olio a crudo. Lascio a voi la decisione di seguire la ricetta di Honorine o di applicare le mie variazioni…in ogni caso sono sicura che vi piaceranno. Io ho deciso che li avrei cucinati già mentre leggevo il libro e non mi fermerò qui: voglio provare altre ricette di Fabio Montale perché è proprio un tipo che sa bene cosa significa gusto! E allora cosa aspettate? Leggete e gustate!