23/10/2022

“LA MASCELLA DI CAINO” Il puzzle letterario più diabolico del mondo firmato “Torquemada”

Nel 1934, anno in cui Agatha Christie scrisse “Assassinio sull’Orient Express”, il cruciverbista dell'”Observer” Edward Powys Mathers, sotto lo pseudonimo del temibile inquisitore spagnolo Torquemada, pubblicava una raccolta dei suoi cruciverba e puzzle con il titolo “The Torquemada Puzzle Book” che includeva, alla fine, “Cain’s Jawbone” (in italiano “La mascella di Caino”), unico enigma di cui non veniva data la soluzione. Da anni i suoi celebri cryptic crosswords, intricate parole crociate in cui la soluzione di ogni definizione è a sua volta un enigma da svelare, lo avevano reso celebre in tutto il Regno Unito. Per mettere a dura prova i più appassionati e abili lettori, Torquemada decise di dare vita a un romanzo giallo che era e rimane al tempo stesso l’enigma letterario più difficile mai concepito. Con “La mascella di Caino” (titolo che riprende la credenza popolare per cui il primo assassino della storia uccise suo fratello con la mascella di un asino) Torquemada sceglie di “torturare” il suo lettore stampando le pagine in ordine sparso, privando di fatto il racconto di ogni linea temporale. Ovviamente la sfida consiste nel risolvere il
mistero, attribuendo a ciascuno dei sei cadaveri presenti nella storia il rispettivo assassino. Ma la soluzione non è affatto facile né banale: il libro, infatti, è pieno di frasi surreali, giochi di parole, indizi nascosti, riferimenti a processi realmente avvenuti, ma anche a romanzi e citazioni letterarie da scoprire. Compito del lettore è accettare la sfida, tagliare le cento pagine del libro (sigh!), e ridisporle nell’ordine prestabilito…ma soprattutto non perdersi d’animo: in ogni gioco ben congegnato, si sa, molteplici sono le false piste e una sola la soluzione corretta. “La mascella di Caino” è più di un libro, più di un rompicapo: è un gioiello di enigmistica e letteratura, che torna nelle mani dei lettori quasi un secolo dopo la sua geniale ideazione. In tutti questi anni solo in quattro sono riusciti a risolverlo: due negli Anni Trenta, uno nel 2016 e l’ultimo nel 2020, durante il lockdown. E la soluzione non è mai stata svelata: tutti hanno firmato un impegno di non divulgazione e tutti l’hanno rispettato! Ma perché dopo tanto tempo Torquemada è tornato a torturarci?!?!? Beh! Il potere dei social, amici miei! Qualche anno fa una documentarista statunitense ne ha parlato su TikTok e ha avuto migliaia di visualizzazioni. Così ha iniziato a leggerlo e ha coinvolto moltissime altre persone in questa sfida davvero singolare. Sulla scia di questo ritorno alla ribalta, la Mondadori ha deciso non solo di riprendere a pubblicarlo in Italia (con una fantastica illustrazione di Tom Gauld in copertina ed un’intrigante prefazione del grande Bartezzaghi!) ma di indire un concorso, come già era avvenuto nel 1934. Allora il premio in palio era di 15 sterline…quest’anno, invece, il vincitore si porterà a casa una Gift Card Mondadori del valore di 500 euro!!! Beh! Vi lascio immaginare come ho reagito io a tutto ciò…io che non so resistere ad un libro giallo né ad un cruciverba, io che non mi arrendo fino a che non ho risolto un enigma…potevo non raccogliere la sfida? Assolutamente no! E così da fine luglio ad oggi, seppur in maniera discontinua, mi sono letteralmente immersa in una lettura che è davvero un rompicapo! Appena ho iniziato a leggere questo libro il primo pensiero che mi è venuto in mente è stato “ma questo è completamente fuori! Non ci capisco niente!” E in effetti ho continuato a non capire niente dalla prima all’ultima pagina! Poi, però, a settembre ho ripreso la lettura da capo, ho iniziato a trovare delle citazioni nascoste qua e là, dei nomi celati…e non aggiungo altro. Oggi condivido un momento importante: ho compilato il modulo incluso nel libro, indicando la soluzione a cui sono arrivata e ho chiuso la busta per spedirla! (sì ma solo perché il concorso termina il 1° novembre…altrimenti avrei continuato a girare e rigirare quelle pagine, ipotizzando altre possibili soluzioni!) Non so se ho azzeccato almeno uno dei sei assassini e/o almeno una delle sei vittime, né sono sicura dell’ordine dato alle pagine...ma di una cosa sono certa: è stata una vera e propria avventura! Al di là del contenuto il libro è un’immersione in un altro mondo, dove nulla è come sembra.
Avrei voluto avere ancora un po’ di tempo e l’unico cruccio che mi rimane è quello di sapere che, in caso di errore, non mi verrà mai svelata la vera soluzione: questa non è un’ulteriore tortura?!?!? …venendo a noi…non so se invitarvi a leggere questo libro…se amate le sfide e avete un po’ di tempo...allora provateci ma sappiate che una volta iniziato dovrete finirlo e cercare di risolverlo…e sarà una vera e propria tortura! E poi non ditemi che non vi avevo avvisato!!!!  Infine parliamo di gusto…completamente assente! Nel libro si accenna appena ad alcuni spuntini a base di tramezzini, consumati nelle brulle campagne inglesi…e quindi io ho preferito addolcirmi e “premiarmi” al termine di questo faticoso lavoro con una morbidissima, dolcissima e classicissima torta di mele. È una ricetta presa da un libro che adoro “Il Cucchiaio d’Argento”. È estremamente facile e di sicura riuscita…almeno questa è una certezza!

 

RICETTA TORTA DI MELE FACILISSIMA

Ingredienti: 1 kg di mele - 150 g di farina 00 - 150 g di zucchero semolato - 1 uovo + 1 tuorlo (a temperatura ambiente) - 1/2 bicchiere di latte - 50 g di burro - 1 bustina di lievito per dolci - il succo di 1 limone - pangrattato

Iniziate la preparazione tagliando la frutta a fettine sottili. Mettetele in un recipiente e irroratele con il

succo di limone. Raccogliete in una ciotola l'uovo, il tuorlo e 100 grammi di zucchero e utilizzando le fruste elettriche montateli fino ad ottenere un composto chiaro e spumoso. Unite la farina setacciata, il lievito sciolto nel latte tiepido e le fettine di mela, ben scolate dal succo di limone. Imburrate uno stampo a cerniera da 20-22 cm di diametro e spolverizzatelo di pangrattato fine. Versatevi il composto cercando di livellarlo e distribuite sulla superficie il burro a fiocchetti. Infine cospargete con lo zucchero rimasto. Cuocete in forno preriscaldato a 180° per 45 minuti. Sfornate il dolce e dopo averlo fatto riposare cinque minuti sformatelo con delicatezza sul piatto da portata. P.S. io ho aggiunto all’impasto e sopra anche qualche noce e un po’ di cannella…ve lo consiglio! Buona merenda e alla prossima!!! 

16/10/2022

“E LIBERACI DAL PADRE” LA PRIMA INDAGINE DELL’ISPETTORE LINLEY E DEL SERGENTE HAVERS

Nata nel 1949 a Warren, in Ohio, Susan Elizabeth George è una scrittrice statunitense specializzata nel romanzo giallo. Poco dopo la sua nascita, la famiglia si trasferisce sulla costa Ovest, nella zona di San Francisco ed Elizabeth rimarrà in California praticamente per tutta la vita. Attualmente vive fra Huntington Beach (California) e South Kensington (Inghilterra). Studia letteratura inglese all’Università di Riverside e perfeziona la sua formazione con un master in psicologia. A questo, grazie ai successi ottenuti nella sua carriera letteraria, si aggiungeranno un dottorato onorario ed un master onorario. Prima di diventare una delle gialliste più note al mondo, Elizabeth George ha insegnato a lungo e ha ottenuto successo e riconoscimenti anche per la sua attività didattica. Dopo quasi quindici anni di insegnamento, nel 1988, la George pubblica il suo primo romanzo “A great deliverance”, in Italia intitolato “E liberaci dal padre”. Il libro conosce un successo immediato e presenta al pubblico i due protagonisti di una serie che porterà Elizabeth George ad essere considerata una delle più grandi autrici statunitensi del genere giallo. Si tratta dell’ispettore di New Scotland Yard Thomas Lynley, nobile titolato, affascinante, colto, arguto e gentiluomo dalle maniere impeccabili, spesso fraintese dai colleghi, che lo considerano uno snob che ha fatto carriera in polizia solo per le sue origini, e della sua partner di indagini, il sergente Barbara Harves, goffa e sgraziata, dal carattere spigoloso, incapace di lavorare con chiunque, complessata dalle (troppo) umili origini, schiacciata dal peso dell’infelicità che permea la sua vita e la sua famiglia. Diametralmente opposti, i due formano una “strana coppia” che, a differenza delle apparenze e dei pregiudizi di colleghi e superiori, riesce a dare il meglio nel lavoro di indagine. Lynley offre al sergente
la possibilità di dimostrare le sue capacità e Harves scopre che tutto quanto aveva sentito dire a proposito di Lynley è sbagliato e ingiusto, arrivando ad apprezzarlo e a stimarlo. Accanto a loro troviamo quelli che si possono definire dei “co-protagonisti”, importanti sia per i loro rapporti con Lynley e Havers, sia per l’aiuto che offrono nelle indagini. Il primo è Simon St James. Amico fraterno di Thomas e patologo della polizia scientifica, ha sposato la bellissima fotografa Deborah, ex fidanzata di Lynley ed è sempre pronto ad aiutare l’amico con la sua preparazione e le sue intuizioni. L’altra figura femminile di particolare importanza è Lady Helen Clyde, collega di Simon e amica da sempre di Thomas, è per lui un’ancora di salvezza in molte occasioni. Infine, anche se “statici” e quasi marginali, ci sono i genitori di Havers, malati nel corpo e nella mente, che minano la serenità e la stabilità emotiva della figlia. Ma veniamo al romanzo. “E liberaci dal padre” è una fosca vicenda gialla con sfumature molto nere, ambientata nella cittadina di Keldale, nello Yorkshire. William Teys, irreprensibile contadino di sessant’anni, cattolico molto devoto e conosciuto in paese, viene trovato morto nel suo fienile, decapitato. Accanto al suo corpo c’è la figlia adolescente, Roberta, immobile, con un’accetta in mano. La ragazza confessa il delitto e poi cade in uno stato catatonico. Convinto dal parroco del paese, che non riesce a credere alla colpevolezza della ragazza, Lynley comincia a occuparsi del caso e, scavando nel passato della famiglia, scoprirà che sia la madre che la sorella di Roberta sono scomparse misteriosamente da anni. La loro ricerca lo porterà a scontrarsi con
l’omertà dei cittadini di Keldale e con i tanti e terribili segreti che si nascondono nella fattoria dei Teys…e arrivare alla verità non sarà facile, perché nulla è come sembra. Elizabeth George sfrutta al massimo tutta la cultura accumulata sia nello studio della letteratura inglese che in quello della psicologia e questo emerge in modo magistrale nei suoi scritti. Ve lo consiglio vivamente ma vi devo mettere in guardia. Il romanzo, infatti, è intrigante e coinvolgente ma anche cupo e triste…è una lettura che ti prende dalla prima all’ultima pagina ma che ti lascia con un grande senso di amaro in bocca. E così veniamo a noi…non ci sono momenti di “spensieratezza culinaria”, né momenti di relax per i nostri protagonisti, che sembra vivano d’aria e di indagini!!! Quando ho finito di leggere questo libro ho sentito immediatamente il bisogno di qualcosa di dolce, di qualcosa di “confortevole” e avvolgente, che mi scaldasse il cuore e che riportasse un po’ di dolcezza sul mio palato…quindi per tirarmi su ho deciso di preparare un dolce nella cui preparazione volevo cimentarmi da tempo: i profiteroles! E vi assicuro che ha funzionato…la preparazione non è banale ma nemmeno impossibile. L’importante è seguire passo passo la ricetta e poi il risultato vi darà una soddisfazione incredibile. Si devono prima preparare i bigné, poi la crema pasticciera per farcirli, la ganache al cioccolato per ricoprirli e poi, nella versione classica, la panna montata per decorarli. Io ho tolto solo la panna montata, perché non la amo particolarmente, ma il resto l’ho fatto e vi invito a provarci. Eccovi la ricetta presa dal Cucchiaio d’Argento…pronti, partenza e via!

RICETTA PROFITEROLES AL CIOCCOLATO

Ingredienti per circa 30 bignè: 160 g di acqua - 75 g di burro - 2 uova - 75 g di farina 00 - 1 g di sale - 1 g di zucchero

Per la farcitura dei bignè: 500 g di crema pasticciera Per la copertura: 500 g di ganache al cioccolato

Per la realizzazione dei profiteroles al cioccolato, iniziate preparando i bignè: in una casseruola unite

l’acqua, il burro, il sale e lo zucchero. Portate a bollore e versate in una sola volta la farina, mescolando fino a creare una pastella omogenea. Togliete dal fuoco: una volta che la temperatura è scesa a 45/50°, aggiungete le uova una alla volta e continuate a mescolare fino a completo assorbimento. Lasciate raffeddare e poi trasferite in una sac à poche: su una teglia da forno foderata con l'apposita carta realizzate i bignè di forma regolare, circa 2/2.5 cm di diametro, opportunamente separati tra loro (in realtà non ci sono regole: potete farli anche più grossi, ricordandovi che la cottura richiederà più tempo). Cuocete a 180° per 18/25 minuti in base alla grandezza. Aprite leggermente il forno solo a cottura quasi ultimata per far uscire il vapore in eccesso. Nel frattempo preparate la crema pasticciera e fatela
riposare in frigorifero mentre preparate la ganache per la copertura, facendo attenzione a ottenere una consistenza vellutata, quindi lasciatela raffreddare. Forate i bignè ormai freddi sul fondo con una bocchetta conica o con un coltello appuntito e farciteli con la crema pasticciera utilizzando un sac à poche. Con l’aiuto di una forchetta immergete i bignè nella ganache, cercando di togliere l’eccesso sbattendo la forchetta sul bordo della ciotola. Posizionate i bignè ricoperti su una gratella. Per ottenere una copertura ancora più ricca ripetete l'operazione due volte. A questo punto potete creare sul piatto da portata la classica piramide di profiteroles, oppure potete riempire una pirofila o fare delle monoporzioni. Lasciate i profiteroles al cioccolato mezz’ora in frigorifero e poi serviteli…il successo è assicurato e spariranno in men che non si dica! Buona degustazione e alla prossima! 

05/10/2022

LA GABBIA DORATA – La vendetta delle donne è sublime e crudele

Ieri è stato il “compleanno” de “Il gusto del delitto”: sono passati ben cinque anni da quel 4 ottobre 2017, in cui pubblicavo il mio primo post, dedicato alla grande, unica ed inimitabile Agatha Christie ed al suo personaggio femminile, altrettanto unico, Miss Marple. Ho voluto iniziare con lei, anzi con loro, non a caso e non solo perché la Christie è il mio mito…no, ho voluto iniziare con lei in quanto donna, una donna che ha saputo imporsi in un ambiente prettamente maschile, scegliendo di non rimanere chiusa nel ruolo di moglie e madre ma di diventare una scrittrice di successo, rimanendo accanto al marito e crescendo amorevolmente la figlia. E anche nei post seguenti ho dato particolare spazio (e continuo a darne) alle autrici donne, più o meno famose, ed ai loro romanzi. Nel terzo post vi ho parlato di quella che molti definiscono la “moderna Agatha Christie svedese”: Camilla Läckberg. Vi ho raccontato della serie con la quale è diventata famosa in tutto il mondo, che ha per protagonista Erica Falck e suo marito Patrick Hedstrom, e del fatto che ha scritto anche altri libri. Uno di questi è quello di cui vi voglio parlare oggi: “La gabbia dorata”. Non si tratta di un vero e proprio
giallo ma entra di diritto fra i libri recensiti in questa pagina…ma andiamo con ordine. Anzitutto parla di una donna, Faye, che per troppo tempo è rimasta quasi inconsciamente sottomessa al marito, e che decide di alzare la testa, di lottare per riprendersi la sua vita, di cominciare veramente e finalmente a vivere…E voglio parlarne per rendere omaggio alle tante, troppe, donne che ancora oggi non sono libere, non possono parlare, non possono vestirsi come vogliono, non possono essere ciò che sono o che vogliono essere…e ancora alle tante, troppe, donne che ancora oggi muoiono per portare avanti la loro lotta, per affermare i loro diritti, per far sentire la loro voce o semplicemente perché hanno scelto di dire “no”…Certo, il mio blog è nato da due semplici passioni, i gialli e la cucina, e cerco sempre di mantenere uno stile “leggero”, perché desidero che chi mi legge possa trascorrere qualche minuto di spensieratezza, decidendo poi, magari, di leggere uno dei libri di cui parlo o di seguire una delle ricette che propongo…questa volta, però, desidero che, insieme a tutto ciò, passi anche un messaggio, desidero che questo post ci aiuti a riflettere e a non rimanere indifferenti davanti a tanta sofferenza di cui si parla ogni giorno. Faye, è una donna che apparentemente ha tutto. Un marito, una figlia, una casa bellissima, una posizione sociale invidiabile…Ma in realtà vive, appunto, in una gabbia dorata e nel momento in cui se ne rende conto, la sua intera esistenza crolla, ogni singolo minuto viene messo in discussione, lei stessa va in mille pezzi dentro. E allora decide che deve uscire da quella gabbia e che deve trovare la forza per sé stessa e per sua figlia. Faye si ritrova a pianificare con lucidità la propria vendetta, il proprio riscatto e capirà di non essere sola, perché ci sono tante altre donne che sono state o sono nella sua stessa situazione e con loro percorre strade che non conosceva e arriva a fare scelte che non avrebbe mai immaginato di fare. La sua vendetta nei confronti dell’uomo che lei ha sempre amato incondizionatamente e che l’ha fatta soffrire terribilmente, “è sublime e crudele” ed esce da tutti i suoi schemi ma è l’univa via percorribile per la sua salvezza. Non aggiungo altro, non vi svelo più nulla di questo libro che, ovviamente, vi consiglio di leggere. In alcuni passaggi risulta decisamente “crudo” e un po’ estremo ma nel complesso sono sicura che vi terrà incollati alle sue pagine, fino a che non l’avrete letto tutto. Per venire a noi, invece, In merito al gusto…beh! Non c’è molto da dire…nella sua gabbia dorata Faye era abituata a ristoranti ricercati e costosi…ma poi la ritroviamo a mangiare dei
semplicissimi “knackerbrod” spalmati con “kaviar” …di cosa si tratta? Nulla di strano, anzi! Il knackebrod è un pane croccante svedese o più in generale scandinavo. Ne esistono diverse versioni, ma la cosa che le accomuna tutte è la presenza della farina di segale nell’impasto e di diversi tipi di semi. Mentre il kaviar non è altro che una pasta spalmabile a base di uova di storione affumicate. Lo so, non è proprio il massimo ma se a Faye piace questo abbinamento, chi sono io per giudicare?!?! Se volete li trovate entrambi all’Ikea, in particolare i tubetti blu di kaviar…ma io vi propongo di provare a preparare almeno i knackerbrod: sono facili, leggeri e si prestano a tantissimi abbinamenti. E allora ecco a voi la ricetta.

KNACKERBROD

Ingredienti: 100 g di farina di segale integrale - 115 g di farina di farro - 25 g di fiocchi di avena - 2 e 1/2 cucchiai di semi di sesamo - 1 e 1/2 cucchiai di semi di lino - 4 cucchiaini di semi di girasole - 5 cucchiai di semi di zucca - 1 e 1/2 cucchiaino di bicarbonato - 1 cucchiaino raso di sale - 170 ml di

acqua - 80 ml di olio extravergine di oliva

Mettete tutti gli ingredienti in una ciotola o nella planetaria e lavorateli fino a ottenere un impasto compatto. Posizionate un foglio di carta da forno su un piano di lavoro e rovesciateci l’impasto. Ricoprite con un altro foglio e stendetelo abbastanza sottile (circa 3 mm, ma se vi piace anche di più) quindi trasferite l’impasto su una placca da forno. Cuocete a 200° per 20 minuti, togliete dal forno e incidete l’impasto con la punta di un coltello affilato, formando dei rettangoli. Rimettete il tutto in forno per altri 5 minuti, sfornate e fate raffreddare in teglia per 10 minuti, poi trasferite tutto su una gratella e fate raffreddare completamente. Conservate i cracker in barattoli o scatole a chiusura ermetica, al riparo dall’umidità e consumateli abbinandoli agli ingredienti che più vi piacciono: formaggio, affettati, confetture, marmellate, salmone…oppure con il “kaviar”, come piace a Faye. Io per l’occasione ho creato una crema di burro e acciughe…e mi è piaciuta. Adesso aspetto di sapere quale abbinamento avete scelto voi: lavorate di fantasia e sempre nel rispetto del gusto, però, mi raccomando! Buon appetito e alla prossima! 


21/09/2022

NERO CARAVAGGIO – La prima indagine del libraio Ettore Misericordia

Max e Francesco Morini sono fratelli, autori teatrali e televisivi, e dirigono da circa dieci anni l’Accademia del Comico di Roma. Entrambi amano i romanzi polizieschi e Roma, la loro città, e così, qualche anno fa, hanno deciso di scrivere dei romanzi, che spiccano nel panorama della letteratura gialla italiana per l’ironia e per l’originalità. Loro stessi, in un’intervista, hanno detto “…ii nostri gialli (non sono thriller, attenzione!) sono un nostro personale omaggio alla grande narrativa giallistica anglo-americana classica dell’inizio del Novecento: Conan Doyle, Agata Christie, Chesterton, Van Dine, Ellery Queen, Rex Stout. I loro detectives immortali, a cominciare dal più famoso di tutti, Sherlock Holmes, non solo hanno straordinarie doti deduttive ma anche una cultura enciclopedica, di cui si servono per risolvere anche i casi più complessi. Proprio come il nostro Ettore Misericordia, Sherlock Holmes romano del ventunesimo secolo...” I loro libri sono ambientati ai giorni nostri e riportano continui riferimenti alla storia, in particolare alla storia dell’arte. Il loro personaggio è unico e per presentarvelo voglio utilizzare le parole del narratore (di cui vi parlerò fra poco): “Ettore aveva quarant’anni, era magro, con un naso prepotente a farla da protagonista su un viso perennemente pallido, quel classico pallore di chi sta sempre chino sui libri…le donne subivano il suo fascino e gli cadevano ai piedi…gli occhi scuri erano belli, acuti, penetranti, i capelli arruffati biondo cenere e a completare il quadro i basettoni lunghi…alto e dinoccolato…somigliava a uno chansonnier francese…e poi era un pozzo di scienze…”. Aveva ereditato la libreria dal padre, “il Sor Aldo, romano DOC da sette generazioni come vuole la tradizione, che aveva gestito il negozio dal dopoguerra finché era rimasto in vita. Poi era toccato a Ettore”. La libreria dei Misericordia è una sorta di monumento cittadino, 
specializzata in tutto ciò che riguarda Roma, dalla storia agli aneddoti, dalle tradizioni alla miriade di opere d’arte di tutti i tipi e di tutti i periodi…qualsiasi informazione o curiosità si stia cercando, qui si troverà di sicuro. E a districarsi in mezzo a tutti i libri, c’è Ettore, autodidatta dalla cultura immensa, che conosce tutti i segreti della città eterna come nessun altro. Completamente dedito alla lettura, è appassionato di romanzi gialli e investigatore dilettante. I suoi due creatori lo paragonano ad un moderno Sherlock Holmes, giustamente, e le sue affinità con il famoso personaggio di Conan Doyle sono davvero numerose. E come Holmes anche Misericordia ha il “suo” Watson, il suo assistente Fango, unico impiegato della libreria, chiamato così da talmente tanto tempo che nessuno ne ricorda il vero nome! “Fango vive all’ombra di Misericordia accettando serenamente il suo ruolo di “assistente”, lasciandosi spesso travolgere dall’esuberanza del suo Capo; nutre un sentimento di sincera ammirazione per Ettore, rimanendo sempre stupito dalle sue soluzioni investigative…” Fango è l’io narrante dei libri finora scritti, che sono: “Nero Caravaggio” (2016), “Rosso barocco (2018), “Il giallo di Ponte Sisto” (2019), “Il mistero della casa delle civette” (2020) e “Mozart deve morire” (2021). Non si sa molto di lui, appunto perché “parla” più che altro degli altri, ma è certo che condivide le passioni del suo capo, in particolare ama Roma e tutto ciò che la riguarda, ed è fiero di poter svolgere un lavoro così bello che gli permette di immergersi nella cultura. Oltre ai due protagonisti principali, troviamo l’ispettore Ceratti della Squadra Omicidi “sessant’anni, un cristone di un metro e novanta e passa, occhi azzurro ghiaccio, temperamento collerico, toni e modi secchi e sbrigativi...sotto la scorza dura c’era un animo sensibile, romantico, quasi ottocentesco. Come i suoi baffi vagamente asburgici…un milanese che amava Roma…e che da lei era stato rapito e adottato…” Ceratti conosce bene le incredibili capacità di Misericordia, ne apprezza l’acume e la cultura e lo coinvolge nelle sue indagini, anche se apparentemente controvoglia, perché sa che con il suo aiuto la soluzione non tarderà ad arrivare. E insieme a Ceratti troviamo l’agente Antonio Cammarata, trentenne di Benevento, diametralmente opposto al suo capo, con l’abitudine di parlare troppo! Infine…la protagonista per eccellenza che ora si trova sullo sfondo, ora è chiamata a mostrarsi in tutto il suo splendore, nei vari quartieri, nelle vie, nelle chiese…Roma, sempre presente in tutte le pagine scritte dai fratelli Morini. Chi non la conosce sentirà il desiderio di visitarla e chi già crede di conoscerla…beh! Si ricrederà! Io per ora, come d’abitudine, ho letto il primo libro della serie “Nero Caravaggio” (e spero di riuscire a leggere anche gli altri, appena possibile!). È un romanzo che si legge tutto d’un fiato, perché è coinvolgente, ironico, pieno di citazioni, di piccoli siparietti fra i vari personaggi, di colpi di scena…lo stile narrativo è scorrevole, piacevole e leggero. La trama è semplice...o almeno così sembra. Il corpo senza vita di un rispettabile imprenditore viene trovato nella Basilica di Sant’Agostino, davanti alla “Madonna dei Pellegrini”, uno dei capolavori del
Caravaggio. L’ispettore Ceratti, incaricato delle indagini, capisce subito che il caso non è facile e chiama il suo amico libraio. Misericordia accorre, insieme a Fango, e intuisce immediatamente che la soluzione è nascosta nella travagliata storia di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, e nelle sue opere. Inizia a seguire varie piste, ad affiancare Ceratti durante gli interrogatori dei diversi sospettati, e così, poco alla volta, la matassa si dipana e… Stop! Mi fermo qui. Se volete saperne di più vi consiglio di leggere il libro! Per quanto riguarda il gusto, invece, cosa posso dire? Non se ne parla esplicitamente ma è certo che Ettore e Fango mangiano bene. Basti pensare che i nostri due investigatori dilettanti vivono a Roma, la amano e la conoscono e di conseguenza sanno bene dove trovare una trattoria in cui gustare uno dei tanti, tantissimi piatti tipici della cucina della capitale. E quindi ho deciso di scegliere uno degli emblemi di Roma, uno dei piatti più conosciuti e più mangiati: i bucatini all’amatriciana! Ovviamente nella versione classica, anzi, l’unica e la sola, come direbbe un qualsiasi romano…prepararla non è difficile, l’importante è utilizzare gli ingredienti giusti: guanciale e pecorino…mi raccomando…altrimenti sarebbe un vero delitto del gusto!!! Eccovi, quindi, la ricetta: se non l’avete ancora fatta provatela!

BUCATINI AL’AMATRICIANA

Ingredienti per 4 persone: 320 gr di bucatini - 300 gr di pomodori pelati (in stagione 4-5 pomodori rossi maturi) - 120 gr di guanciale stagionato (tagliato possibilmente a fette spesse) - 50 gr circa di pecorino grattugiato - 1 peperoncino - 1/2 bicchiere di vino bianco secco e acidulo - olio evo – sale - pepe

Se utilizzate i pomodori freschi, per prima cosa sbollentateli per pochi istanti in acqua bollente salata, scolateli e raffreddateli sotto l’acqua corrente. Dopo averli pelati, eliminate i semi e tagliateli a filetti. In una padella (preferibilmente di ferro) scaldate l’olio e aggiungete il guanciale tagliato a listarelle lunghe circa un paio di centimetri. Quando avrà iniziato a fondere, unite il peperoncino. Rosolate il guanciale fino a quando avrà preso colore, quindi sfumate con il vino bianco. Lasciate evaporare, scolate il guanciale e tenetelo da parte al caldo. Nella stessa padella mettete i pomodori pelati schiacciati (oppure quelli freschi precedentemente preparati), regolate di sale e cuocete per il tempo di cottura della pasta, che nel frattempo avrete buttato all'interno di una casseruola con acqua bollente salata. Quando sarà quasi giunta a cottura unite il guanciale al condimento ed eliminate il peperoncino. Scolate la pasta al dente e trasferitela nella padella con il sugo. Fuori dal fuoco aggiungete il pecorino grattugiato e regolate di pepe a piacere. Mescolate bene e servite subito, completando la vostra pasta all'amatriciana con altro pecorino. Accompagnate i bucatini con un bicchiere di buon vino e una buona compagnia!! Buon appetito e alla prossima!


14/09/2022

IL METODO DEL COCCODRILLO: LOJACONO PRIMA DI PIZZOFALCONE

Vi ho già parlato di Maurizio De Giovanni, creatore di diversi personaggi, in particolare dei mitici Bastardi di Pizzofalcone (vedi post del 4/03/2020)…ma non vi ho detto che c’è un romanzo che si può considerare il preludio della serie, portata anche sul piccolo schermo. Si tratta de “Il metodo del coccodrillo”, uscito nel 2012, in cui De Giovanni ci presenta il commissario Giuseppe Lojacono, appena trasferito a Napoli dalla Sicilia, per “punizione”. Un collaboratore di giustizia, infatti, lo ha accusato di passare informazioni alla mafia e lui, stimato segugio della squadra mobile di Agrigento, ha perso tutto, dall'affetto della moglie e della figlia fino al rispetto di colleghi e amici. Sta combattendo, anche se a distanza, per riabilitare il suo nome e per riallacciare i rapporti con la figlia Marinella, che sua moglie gli impedisce di vedere e sentire. E questa per lui è la sofferenza più grande. Immediatamente dopo c’è la rabbia di non essere rispettato e considerato per quello che è: un poliziotto che vorrebbe solo svolgere il suo lavoro. Si ritrova in una città, Napoli, qui presentata come scura, tetra,
avvolta nell’indifferenza, dove non conosce nessuno e dove nessuno conosce lui. E nel commissariato di San Gaetano, in cui è considerato pari a zero, Lojacono si sente come all’inferno. Non gli vengono affidati incarichi, non segue nessuna inchiesta e viene assegnato all’Ufficio denunce, dove dovrebbe lavorare con il sovrintendente Giuffrè. Dovrebbe…sì…perché in realtà l’unico che prende le poche (e colorite!) denunce è proprio il ciarliero Giuffrè, che non riesce proprio a capire quel suo nuovo collega, così ombroso e taciturno, sempre seduto davanti al PC, con la testa chissà dove. Finché un giorno, anzi una notte, durante uno dei turni che nessuno vuole e che lui, invece, accetta volentieri per poter stare da solo, Lojacono deve uscire per rispondere ad una chiamata. Si tratta di omicidio. La vittima è un ragazzo di appena sedici anni e la disperazione della madre lo colpisce come un pugno nello stomaco, soprattutto gli fa sentire ancora di più la mancanza di Marinella, che ha la stessa età dell’adolescente riverso a terra, ucciso con un colpo di pistola alla nuca. Lojacono arriva sulla scena del crimine, osserva, registra ogni piccolo particolare, sul campo emerge il suo essere commissario, abituato a guardare ogni cosa con occhi indagatori, apparentemente freddi e vigili, ad andare oltre le apparenze per cercare di entrare nella mente dell’assassino. Ma la sua presenza non è gradita. Non appena giunge sulla scena, Di Vincenzo, il suo nuovo capo, gli ordina di tornare in ufficio a scaldare la sedia, a chiudere di nuovo gli occhi, perché lui è un infame, un traditore e non è gradito. Lojacono obbedisce però prima dice la sua, esprime un suo pensiero, esterna un’intuizione…Ovviamente viene ignorato da tutti ma non dalla giovane ed affascinante Laura Piras, magistrato che si occupa delle indagini e che, nonostante i malumori degli altri poliziotti, lo coinvolgerà quando la scia di morte continuerà e le piste da seguire sembreranno dei vicoli ciechi. La Piras è la prima a capire l’arguzia e le capacità del commissario siciliano, la prima ad ignorare le motivazioni che l’hanno portato a Napoli e a credere in lui, la prima che lo guarderà negli occhi per confrontarsi con lui e per farsi aiutare in quella che diventerà una tremenda caccia all’uomo. Un uomo che i media hanno
ribattezzato “il coccodrillo”, perché pare che pianga, prima o dopo gli omicidi, un uomo che sa attendere il momento giusto per agire, un uomo che colpisce di notte e poi sembra dileguarsi nel nulla, un uomo che porta in sé una profonda sofferenza. Lojacono è l’unico che riesce a capire le sue motivazioni perché, del resto, anche lui è un uomo che convive con una profonda sofferenza. E questa sua capacità di empatia lo porterà a risolvere il caso, anche se la vittoria avrà un sapore amaro e non servirà a riportare in vita le vittime innocenti che il coccodrillo ha seminato lungo il suo cammino. Ho letto questo libro in due giorni, perché non riuscivo a smettere, dovevo assolutamente andare avanti e arrivare alla fine, all’epilogo. Che, non ve lo nascondo, è proprio amaro! Ciò nonostante, come tutti i libri di De Giovanni, anche questo mi ha coinvolto fin dalle prime pagine e mi ha trasportato in una Napoli un po’ “diversa” rispetto alla città solare e avvolgente descritta in altri libri. Del resto per raccontare il dramma dell’assassino e per presentare Lojacono, De Giovanni non poteva fare altrimenti. “Il metodo del coccodrillo” andrebbe proprio letto prima di leggere gli altri romanzi dedicati ai Bastardi di Pizzofalcone, soprattutto perché getta una luce diversa proprio su Giuseppe Lojacono. Ho voluto leggerlo per questo motivo e vi consiglio di fare altrettanto. Per quanto riguarda il gusto…beh! Come già tutti sapete, gli unici pasti degni di tale nome che si concede Lojacono sono le cene al ristorante di Letizia, che si è perdutamente innamorata di “Peppuccio” (come lo chiama lei) fin dal primo momento in cui si è seduto al “suo” tavolo. Da quel momento gli ha sempre tenuto quel posto, dove lo raggiunge prima della chiusura, per fare due chiacchiere con quell’uomo così misterioso ed affascinante. Ahimè! Le prelibatezze di Letizia non vanno proprio d’accordo con il caldo che ci sta distruggendo da mesi e sapete tutti, ormai, che non mi metto ai fornelli se le temperature non scendono seriamente (e per me seriamente significa sotto i 20 gradi!). Quindi, anziché leggere il libro preparando un ragù o un gattò di patate, ho scelto di godermelo
gustando un classico dei classici estivi: prosciutto e melone. Lo so, sembra banale…ma non lo è! Inoltre, per rendere omaggio a Napoli, ho deciso di esagerare e ho aggiunto anche una mozzarellina di bufala rigorosamente campana! So bene di avervi abituato a ricette e piatti ben diversi ma per ora dovrete accontentarvi. E voglio darvi un piccolo suggerimento: anche quando preparate un piatto “base” per il quale non dovete nemmeno cucinare, come quello che vi propongo stasera, non limitatevi a mettere in tavola tutti gli ingredienti…presentateli sempre con cura e un po’ di allegria, in modo che anche l’occhio abbia la sua parte e goda insieme agli altri sensi di quanto state per mangiare. Così facendo anche un semplice melone con prosciutto e una mozzarella, possono diventare una festa per occhi, naso, palato e stomaco! Buona lettura e buon appetito a tutti! Vi aspetto alla prossima.

15/06/2022

CHANTAL CHIUSANO: UN COMMISSARIO CON LA PASSIONE PER L’ARTE

Letizia Triches, Roma classe 1949, è una scrittrice e storica dell’arte. Laureata nel 1972 in Lettere Moderne con specializzazione in Storia dell’arte, fino alla fine degli anni Novanta ha svolto la sua attività professionale in ambito storico-artistico, ha insegnato e ha curato cataloghi per importanti esposizioni di arte contemporanea. A partire dal 2000 inizia a scrivere romanzi gialli con protagonista Giuliano Neri, un restauratore che collabora con le forze dell’ordine. Si tratta sicuramente di un personaggio originale e interessante…e non appena leggerò uno dei libri della sua “serie” ve ne parlerò in modo specifico. Oggi, invece, voglio parlarvi di  un altro personaggio, il commissario Chantal Chiusano, creato dalla Triches quasi vent’anni dopo, nel 2019. Di origini ischitane, vedova di un pittore, il commissario Chiusano ha ereditato dal suo defunto marito la passione per l’arte e una modalità che si può definire “artistica” nel condurre le indagini criminali. Trasferitasi a Roma per fare i conti con un oscuro passato, nel primo romanzo che la vede protagonista, “Delitto a Villa Fedora”, si ritrova ad indagare sul brutale omicidio di Liliana Fusco, componente di una ricca e nota famiglia di cineasti. La villa (Fedora appunto) si trova nell’esclusivo quartiere Coppedè e da set cinematografico, allestito per girare un film sul famoso sceneggiatore Alberto Fusco, bruscamente si trasforma nella scena di un delitto, perpetrato con ferocia non comune.
Il commissario Chiusano, affiancata dall’ispettore Ettore Ferri e dall’anatomopatologo Giovanni Pozzi, sarà costretta a scavare nel passato della famiglia Fusco, scoperchiando un vaso di Pandora tenuto chiuso da tutti i suoi membri, ciascuno dei quali custodisce un segreto e serba rancore nei confronti degli altri. La narrazione diventa quasi “doppia”, così come le indagini e si sviluppa su due livelli temporali…si passa dall’oggi della morte di Liliana (la vicenda si svolge nel 1992) al 1974, anno della morte di Alberto. Come per un misterioso disegno, il punto di partenza e di arrivo di tutte le piste è sempre la villa. Ed è proprio lì che la Chiusano troverà la chiave per risolvere il caso e chiudere finalmente il sipario su una storia che si trascina da quasi due decenni e che, in un modo o nell’altro, ha influenzato la vita dei Fusco. Il libro ha uno stile molto particolare e, nonostante la complessità della
trama e i continui flashback, è scorrevole e coinvolgente. Voglio assolutamente approfondire la “conoscenza” del commissario Chiusano e incontrare il dottor Neri…ciò significa che cercherò di leggere anche le altre opere di Letizia Triches…ovviamente vi aggiornerò non appena l’avrò fatto e vi invito a fare altrettanto! Nel frattempo vi assicuro che a Villa Fedora non si può proprio parlare di gusto o di piatti particolari…e se non fosse per le zuppe o i dolci che le prepara la sua vicina di casa, la stessa Chantal salterebbe spesso i pasti… A volte apre il freezer e si prepara un piatto surgelato, altre volte l’affascinante Pozzi la invita in una delle tante trattorie e salva il suo stomaco dal digiuno o dai cibi improponibili…Per il resto, almeno in questo primo romanzo, l’unico piatto di cui si parla a parte una pasta con la pajata che però, chiedo scusa, non vi proporrò mai!!!) è una frittata accompagnata da spinaci lessati…che mi assale una tristezza enorme solo a pensarci!!!! Così, per reagire all’atmosfera cupa che pervade Villa Fedora e non ammazzare del tutto il gusto e il mio palato, ho deciso di utilizzare gli stessi ingredienti dando però loro una forma e, quindi, un sapore decisamente diversi…ho preparato delle semplici e gustose crespelle con ricotta e spinaci. Provatele e fatemi sapere se vi sono piaciute!

CRESPELLE RICOTTA E SPINACI

Ingredienti per 4 persone (12 crespelle) – per le crepes: 125 gr di farina 00 – 300 ml di latte – 2 uova –

un pizzico di sale – 40 gr di burro

Per il ripieno: 250 gr di ricotta - 50 g di grana padano grattugiato – 350/400 gr di spinaci - noce moscata – sale – pepe

Per la besciamella: 50 gr di burro – 50 gr di farina 00 – 500 ml di latte – noce moscata – sale – pepe

Anzitutto preparate le crepes. Sbattete le uova e aggiungetevi il latte e un pizzico di sale sempre sbattendo. Unite la farina, precedentemente setacciata, un poco per volta, mescolando con una frusta per evitare che si formino grumi. Mescolate fino ad ottenere una pastella liscia e fluida. Coprite la ciotola con della pellicola per alimenti e lasciatela riposare in frigorifero per almeno 30 minuti. Trascorso il tempo di riposo, scaldate una padella

antiaderente (io utilizzo un pentolino del diametro di 20 cm perché così le crespelle non sono enormi e si gustano meglio) e ungetela accuratamente con una noce di burro. Versate un mestolino di pastella e inclinate e ruotate la padella in modo da distribuirla in maniera uniforme. Lasciate cuocere per qualche minuto a fuoco medio-basso. Con una spatola girate la crepe e continuate la cottura sull'altro lato. Dovrà risultare leggermente dorata. Continuate fino ad esaurire tutto l'impasto, ricordandovi di ungere di burro la padella di tanto in tanto e impilando le crepes una sopra l'altra affinché restino calde (per evitare che diventino secche). Passate ora al ripieno. Lavate e lessate gli spinaci in poca acqua bollente salata, scolateli e fateli raffreddare. Tritateli al coltello quindi aggiungete la ricotta, il grana grattugiato e
mescolate bene. Aggiustate di sale, aggiungete la noce moscata e il pepe. Spalmate su ogni crepe uno strato di ripieno e richiudete piegando a fazzoletto. Dedicatevi ora alla besciamella. In un pentolino fate sciogliere il burro e unite la farina, mescolandoli fino a creare il roux (una sorta di crema color “noisette”). A questo punto aggiungete il latte pian piano, continuando a mescolare con una frusta o un cucchiaio, facendo attenzione che non si formino dei grumi. Non appena inizierà a rapprendersi, aggiungete un po’ di noce moscata, sale e pepe. Ponete le crepes in una pirofila leggermente imburrata, copritele con la besciamella e con il formaggio grattugiato. Fate gratinare in forno a 180° per 15/20 minuti, fino a quando si formerà una crosticina dorata, servitele e gustatele…sono certa che le apprezzerete. E se volete potete anche apportare delle modifiche al ripieno, per esempio utilizzando i carciofi, il radicchio o le zucchine, anziché gli spinaci. L’importante è che sia una scelta di gusto…Buon appetito e alla prossima! (P.S. noterete che manca la foto delle crespelle pronte e impiattate...la fotografa non ha fatto in tempo...sono finite prima che riuscisse a immortalarle...la forchetta è stata più veloce del click!!!)

08/06/2022

IL COMMISSARIO ADALGISA CALLIGARIS TORNA A RIVOROSSO

Alessandra Carnevali è nata nel 1960 a Orvieto, dove attualmente vive, ed è laureata in Lingue. Ha partecipato, in veste di autrice, al Festival di Sanremo 2002 con il brano “All’infinito” eseguito da Andrea Febo. Nel 2007 è stata la prima blogger accreditata al Festival di Sanremo. Ha curato il blog Festival, sulla musica italiana e Sanremo, per il network Blogosfere. Si occupa di promozione web per eventi e artisti emergenti. Nel 2016 ha pubblicato “Uno strano caso per il commissario Calligaris”, con il quale ha vinto il Premio “ilmioesordio”. A questo sono seguiti “Il giallo di Villa Ravelli”, “Il giallo di Palazzo Corsetti”, “Delitto in alto mare”, “Il mistero del cadavere nella valigia” e “Lo strano caso del maestro di violino”. Durante una delle mie “incursioni” in libreria, mi è capitato di trovare una raccolta dei suoi primi tre romanzi e ho deciso subito di acquistarla. Meno male che il mio “fiuto” ancora una volta ha funzionato! La Carnevali, infatti, scrive in modo fluido e accattivante e ha creato un personaggio che mi ha conquistato fin dalla prima pagina: il commissario Adalgisa Calligaris. La sua autrice dice di lei che “…È bruttina, sgraziata, cicciottella e non si ama. A scuola ha sofferto, bullizzata per il suo aspetto, invidiata per la sua intelligenza e innamorata senza speranza del più bello della classe: Carlo Petri…dopo aver studiato e lavorato lontano dal paese natale, ci torna per un incarico tranquillo, per riprendersi da una ferita da arma da fuoco durante una sparatoria, alla quale è miracolosamente sopravvissuta”. E così, all’inizio del primo romanzo che la vede protagonista, la incontriamo mentre torna a Rivorosso Umbro, dove
ancora vive la madre vedova e dove sono rimasti i tanti (e per lo più brutti) ricordi della sua giovinezza. Adalgisa nel tempo è diventata tosta, ruvida e si è costruita una forte corazza contro tutto e tutti, compresi i sentimenti e la felicità. Nonostante tutto il tempo passato da quando andava al liceo, vacillare giusto un attimo quando scopre che il medico legale, con cui dovrà confrontarsi e lavorare, è proprio “quel” Carlo Petri, il più bello della scuola. Attorno a lei, oltre a Carlo, troviamo una serie di personaggi davvero ben riusciti, che si ritrovano a lavorare con questo nuovo ed esigente commissario ma che, dopo l’iniziale scompiglio e disagio, imparano a conoscerla, giorno dopo giorno, e ad apprezzare la sua arguzia, le sue innate capacità investigative e anche la sua malcelata umanità. Ci sono l’ispettore Matteo Corvo, jazzista mancato eternamente in ritardo, gli agenti Fava e Ritagli, semplici e non proprio “veloci” quanto a intuito, ma sempre pronti e disponibili, Monica Bellucci, unica agente donna e omonima della cugina attrice, Angiolo Castoro, esperto informatico e ritrattista di identikit, con il sogno segreto di diventare stilista di moda. Chiude il “gruppo” il PM Gualtiero Fontanella, galantuomo gourmet che si innamora perdutamente del commissario al primo sguardo. Oltre a loro e alla madre di Adalgisa, che spera sempre che la figlia si “sistemi” mettendo su famiglia, non mancano anche i simpatici siparietti con Celestino, gestore del bar vicino al commissariato che ama vestirsi sempre con colori sgargianti e abbinati a caso, e le incursioni della Banda della Maglina, un quintetto di signore che condividono con Adalgisa la passione dei mercatini di abiti usati. I tre racconti che ho letto mi hanno coinvolto moltissimo e li ho letteralmente divorati! Come vi dicevo, la protagonista mi è piaciuta subito…sarà che abbiamo molto in comune (la passione per Agatha Christie e per il buon cibo e la conseguente eterna lotta con le calorie, i travagli adolescenziali, l’amore-odio con lo specchio, la testardaggine…) sarà che è bravissima a risolvere i casi…sta di fatto che Adalgisa Calligaris ha occupato un posto speciale nell’elenco dei miei investigatori preferiti e sono sicura che leggerò anche gli altri libri della Carnevali che la vedono protagonista. Per quanto riguarda il gusto poi…direi che ci siamo. Al commissario piacciono la buona tavola e il buon vino e accetta volentieri gli inviti a cena del PM Fontanella, buongustaio che la corteggia palesemente e spera di conquistarla prendendola per la gola. Per questo personaggio, però, ho dovuto mio malgrado fare una scelta diversa. Già…perché, nonostante l’ottimo gusto, il commissario e i suoi uomini, dovendo seguire diverse piste per risolvere degli efferati omicidi, spesso non hanno proprio il tempo di fermarsi a pranzare…e così fanno una “toccata e fuga” al bar di Celestino, dove mangiano un tramezzino e bevono un’aranciata (beh! Essendo in servizio…). Quindi ho scelto di proporvi proprio questo tipico “spuntino” tutto italiano che può piacere o meno ma che, nonostante l’apparente semplicità, se fatto bene può diventare un piatto gourmet di tutto rispetto. Le varianti sono tantissime e, in base alla zona ed agli ingredienti, ci si può sbizzarrire negli abbinamenti…io ho optato per il più classico dei classici e ve lo propongo molto volentieri. Sta a voi replicarlo o farne varianti a vostro piacimento: l’importante è non strafare e rispettare il gusto…altrimenti commetterete un delitto!!!!

TRAMEZZINO

Il tramezzino “è un panino triangolare o rettangolare costituito da due o tre fette di pancarré - alle quali spesso si è tolta la crosta - farcite con salumi, formaggio, verdure o altro; le sue origini sono torinesi e la ricetta più comune lo prevede freddo” ... Pare che debba il suo nome nientemeno che a Gabriele D’Annunzio, il quale, dovendo sostituire la parola inglese “sandwich”, optò per tramezzino, da “tramezzo”, ossia spuntino fra la colazione e il pranzo. Il tramezzino nasce nel 1925 a Torino, dove i signori Angela e Onorino Nebiolo, di ritorno dagli Stati Uniti, decidono di acquistare il Caffè Mulassano, in Piazza Castello. Volendo proporre un’alternativa italiana al “tea sandwich” d’Oltreoceano, creano i primi tramezzini, fatti per uno spuntino e comodamente consumabili in un paio di bocconi. Il tramezzino, però, raggiunge la sua fama a Venezia, dove viene preparato in diverse versioni e proposto nei locali più chic. Nel 1936 anche la famosa rivista “La Cucina Italiana” ne parla e riporta la prima ricetta ufficiale di quello che ancora oggi è uno degli spuntini più diffusi.

La sua versione più classica vede spuntare fra le fette di pane uova sode, tonno e verdura...ecco come l’ho realizzato io.

Scolate una scatola di tonno dall’olio (se usate quello al naturale conditelo con un po’ di sale e qualche goccia di olio) e lavoratelo insieme a due cucchiai di maionese, fino a creare una crema. Tagliate a fettine sottili un uovo sodo e tritate a coltello alcuni capperi sott’aceto. Prendete tre fette di pane a cassetta senza crosta. Sulla prima spalmate la crema di tonno e maionese e poi adagiatevi le fettine di uovo e qualche foglia di spinaci freschi. Prendete la seconda fetta e sovrapponetela alla prima, spalmate la crema e aggiungete il trito di capperi e qualche altra foglia di spinaci. Prima di chiudere con l’ultima fetta, spalmate con la crema anche questa. Una volta terminato, avvolgete il tramezzino nella pellicola e lasciatelo riposare in frigorifero per almeno un’oretta prima di consumarlo. N.B. il commissario Calligaris lo accompagna con un’aranciata perché è in servizio…io l’ho accompagnato con una panaché fresca…e vi assicuro che è decisamente meglio!!!! Buon pranzo e alla prossima.




13/04/2022

ILARIA TUTI E TERESA BATTAGLIA: DUE DONNE FORTI DAL FREDDO DELLE MONTAGNE FRIULANE

Ilaria Tuti, classe 1976, è nata e vive a Gemona del Friuli, in provincia di Udine. Ama la fotografia e la pittura e ha conseguito la laurea in Economia e commercio. Ha lavorato per un po’ di tempo come illustratrice per una piccola casa editrice e poi ha deciso di scrivere dei romanzi gialli, creando un personaggio unico e affascinante: Teresa Battaglia, commissario e profiler. Il primo romanzo che la vede protagonista è “Fiori sopra l’inferno”, a cui fanno poi seguito “Ninfa dormiente”, “Luce della notte” e “Figlia della cenere”. Per il momento ho letto solo i primi due…ma vi assicuro che non vedo l’ora di procurarmi e di leggere anche gli altri! Iniziamo, comunque, dal primo, un vero e proprio “caso letterario” che ha riscosso subito un grande successo e si è meritato una “Menzione speciale” al Premio Scerbanenco. La storia si svolge in un paesino (immaginario) delle montagne friulane (anche il paesaggio è uno dei protagonisti
del libro e diventa parte integrante della narrazione). Travenì, come tanti altri, è un paesino chiuso e restio ad accogliere gli estranei, legato ancora alle credenze popolari ed alle tradizioni che si tramandano di padre in figlio. Gli adulti cercano di proteggere il loro tranquillo e rassicurante “tran-tran” e i bambini, nel presente come nel passato, vivono in un mondo tutto loro, fatto di miti, di alleanze, di amicizia e di lealtà. Nei boschi vicini al paese è successo e sta succedendo qualcosa di inquietante, qualcosa che costringerà la Polizia a scavare sempre più a fondo, sia nella natura impervia, sia nel passato di quei luoghi ostili. “Tra i boschi e le pareti rocciose a strapiombo, giù nell’orrido che conduce al torrente, tra le pozze d’acqua smeraldo che profuma di ghiaccio, qualcosa si nasconde. Me lo dicono le tracce di sangue, me lo dice l’esperienza: è successo, ma potrebbe risuccedere. Questo è solo l’inizio. Qualcosa di sconvolgente è accaduto, tra queste montagne. Qualcosa che richiede tutta la mia abilità investigativa. Sono un commissario di polizia specializzato in profiling e ogni giorno cammino sopra l’inferno. Non è la pistola, non è la divisa: è la mia mente la vera arma. Ma proprio lei mi sta tradendo. Non il corpo acciaccato dall’età che avanza, non il mio cuore tormentato. La mia lucidità è a rischio, e questo significa che lo è anche l’indagine. Mi chiamo Teresa Battaglia, ho un segreto che non oso confessare nemmeno a me stessa, e per la prima volta nella vita ho paura”. Questa è la traccia che si trova sulla quarta di copertina del libro e mette subito in chiaro alcuni aspetti del carattere del commissario. Anzitutto la sua specializzazione (è una delle prime e poche profiler italiane) che la porta a documentarsi per conoscere a fondo l’ambiente e le persone che fanno “da sfondo” alla vicenda. È una donna estremamente intelligente, acuta, attenta, capace di empatia e di andare oltre le apparenze e le prove tangibili. È sulla sessantina, ormai sulla strada della pensione, non è atletica ed è diabetica (anche
se nelle sue tasche non mancano mai delle caramelle e, in particolare, delle rotelle di liquirizia!). Si mostra scorbutica e cinica ma il suo cuore, segnato da vecchie ferite mai del tutto rimarginate, è grande. Forte ma anche fragile, capo serio ed esigente e, al contempo, “mamma chioccia” dei suoi uomini, Teresa sta combattendo una lotta interiore che mette a dura prova la sua lucidità e le sue innate e straordinarie doti investigative. Accanto a lei l’anatomopatologo (e amico) Antonio Parri, i suoi due “storici” e fidati collaboratori, Parisi e De Carli, e il procuratore Gardini. Ed infine il nuovo arrivato, l’ispettore Massimo Marini, giovane e inesperto ma con una gran voglia di imparare e di mettersi alla prova, esatta antitesi di Teresa, con la quale si scontra praticamente subito. Anche Massimo nasconde un segreto che continua a tormentarlo e a segnare la sua vita e che lo costringerà ad affrontare i fantasmi del suo passato. Arrivato in provincia dalla città, farà di tutto per inserirsi nella squadra e, soprattutto, per essere accettato e apprezzato dal suo nuovo superiore…ci riuscirà? A voi scoprirlo…perché io mi fermo qui e non vi dirò altro! Leggete i romanzi di Ilaria Tuti e sono sicura che, come è capitato a me, vi troverete subito catapultati in un altro mondo, nelle indagini del commissario Battaglia e nelle vicende degli abitanti di Travenì. Per quanto riguarda il gusto, invece, nei libri che ho letto non c’è traccia di cibo…o meglio…i “nostri” personaggi sono talmente presi dalle indagini da non avere nemmeno il tempo di mangiare…e oltre a questo c’è anche il fatto che Teresa Battaglia è diabetica e la sua unica debolezza è costituita, come già accennato, dalle rotelle di liquirizia e dalle caramelle. Quindi non ho ricette o piatti particolari da proporvi, almeno per quanto riguarda i primi due libri…ma vi prometto che, se ne troverò almeno uno degno di nota nei libri successivi, lo preparerò e tornerò a parlarvi di Ilaria Tuti e di Teresa Battaglia. Nel frattempo, vi invito a procurarvi un bel sacchetto di caramelle (rotelle di liquirizia, gommose, frizzanti…e tutto ciò che più vi piace!), a mettervi comodi sul divano o sulla poltrona e a mangiarle leggendo le avventure del commissario Battaglia…vi piaceranno sicuramente! Alla prossima lettura!

04/04/2022

"LA CUOCA DI HIMMLER": una donna e la sua storia nella Storia

Franz-Olivier Giesbert è un giornalista, editorialista, biografo, conduttore televisivo e scrittore franco – americano. È nato a Wilmington, negli Stati Uniti, nel 1949 ma le sue origini sono tutte europee: il padre proveniva da una famiglia con radici tedesche ed ebraiche e la madre era una cattolica francese. Franz-Olivier, il cui nome riporta proprio a queste origini, cresce con il desiderio di diventare scrittore e già prima della laurea inizia a pubblicare degli articoli in materia di storia. Le sue prese di posizione rispetto alla politica lo rendono presto un brillante corrispondente dagli USA e uno dei giornalisti più “scomodi” in Francia, ma questo non gli impedisce di fare carriera e di “spaziare” anche in altri campi. Quello che a me interessa in particolare, ovviamente, è la sua attività di scrittore e, più precisamente, il suo libro “La cuoca di Himmler”, pubblicato nel 2013, divenuto subito un “caso editoriale” in Francia e un best-seller in tutto il mondo. Ad essere sincera, sono incappata in questo libro un po’ per caso e un po’ per curiosità. Avevo letto delle recensioni contrastanti ma è stato il titolo ad attirarmi fin da subito…forse perché in sole quattro parole riesce a dirti già molto di quello che ti aspetta una volta iniziata la lettura…che comunque si rivela ben presto molto coinvolgente. Si parla di una donna, più precisamente di una cuoca, che cucina nientemeno che per Himmler…quindi possiamo inserire il romanzo in un momento storico tremendo e preciso. Poi, però, iniziando a leggere si capisce subito che il titolo rivela solo una minima parte di
quello che il libro racconta. La protagonista, Rose, è una donna che nel 2012, all’età di 105 anni, decide di scrivere la sua biografia e lo fa senza mezzi termini e senza nascondere nulla, con una lucidità e una schiettezza uniche. Rose, nata in Armenia nel 1907, racconta la sua storia raccontando tutto il XX° secolo e lo fa con la passione, con la rabbia, con la “fame” di vita che la contraddistinguono e ne fanno una donna forte e vera, con un carattere indomito, forgiato nella sofferenza, una donna capace di amare e di odiare con la stessa intensità. Nel 1915, a soli 8 anni, perde tutta la famiglia nell’orrore del genocidio armeno. E da quel momento la sua infanzia finisce e inizia la sua “avventura” nel mondo. Prima in Turchia, poi in Provenza, a Parigi, negli Stati Uniti, in Cina e di nuovo in Francia, Rose sperimenta sulla sua pelle il massacro degli armeni, l’orrore dell’Olocausto, i deliri del maoismo e la ferocia dell’uomo in tutte le sue declinazioni. “La Storia è una porcheria. Mi ha portato via ogni cosa. I figli. I genitori. Il mio più grande amore. I gatti. Non capisco la deferenza imbecille che la specie umana le riserva.” Questa è una delle tante affermazioni di Rose che, accanto alla lista delle persone che ha più amato, ne ha stilata una di chi, fin da bambina, le ha fatto del male o ne ha fatto a chi amava. E spunta nome per nome, perpetrando l’unica giustizia che conosce: la vendetta. Uccidere, amare, cucinare…Rose fa tutto in modo quasi perfetto, buttandosi a capofitto in ogni esperienza, sperimentando tutto in prima persona. E nei vari flashback presenti nel libro riesce a guardare al passato e a vivere il presente utilizzando sempre la sua personale scala di valori, chiamando ogni cosa con il suo nome e sempre con la disarmante e nuda verità. Non vado oltre perché vorrei davvero invitarvi a leggere questo romanzo, che non si può chiudere in un solo genere, anzi! È un romanzo storico? Sì ma non solo… È un giallo? Beh, anche….È un romanzo d’amore?...forse un pochino...È una biografia? Si, anche questo si può dire…È un libro di cucina? Non proprio ma il cibo e la sua preparazione sono fortemente presenti…insomma…dovete proprio leggerlo per capire cosa intendo! Per quanto riguarda il gusto…non si può in alcun modo dire che Rose non ne abbia, anzi, il suo palato è raffinato e lei è una cuoca sublime, che si cimenta in veri e propri piatti gourmet. Io, però, ho scelto di andare a “pescare” una ricetta semplice della sua infanzia, il plaki, un piatto che ancora oggi viene cucinato in diverse varianti. Quella che vi propongo è la versione della nonna di Rose e sono certa che vi piacerà.

RICETTA PLAKI DELLA NONNA – Ingredienti per 4 persone – 1 chilo di fagioli bianchi grandi tipo “Spagna” (o 4 scatole se preferite quelli già cotti) – quattro/cinque carote – tre/quattro gambi di sedano – 1 cipolla – 2/3 pomodori maturi (4/5 se piccoli) – uno spicchio di aglio (a piacere) – prezzemolo – olio evo – sale – pepe – acqua q.b.

In una casseruola fate appassire con un filo d’olio evo la cipolla affettata sottile e lo spicchio d’aglio sbucciato e intero. Unite le carote a rondelle, fatele rosolare qualche minuto, quindi aggiungete il sedano, i pomodori tagliati a dadini, i fagioli (già precedentemente lessati) e coprite il tutto con un po’ d’acqua (quanto basta per coprire le verdure). Lasciate cuocere a fuoco lento per un’oretta circa. Aggiungete sale e pepe e terminate la preparazione con il prezzemolo tritato: si sprigionerà un profumo incredibile! Servite il piatto condito con un filo d’olio e accompagnatelo con pane (fresco o tostato) e un bicchiere di vino bianco. Il plaki si può gustare sia caldo che a temperatura ambiente e va bene per tutte le stagioni. C’è chi lo preferisce asciutto, chi un po’ più più brodoso…una cosa è certa: è un piatto davvero semplice, gustoso e decisamente salutare! Provatelo e…buon appetito!