15/10/2023

LE SERIE TV ANNI SETTANTA E OTTANTA: UNA CARRELLATA VINTAGE DI PERSONAGGI INDIMENTICABILI!

Fra il 1975 ed il 1989 la televisione statunitense ha “sfornato” moltissime serie “politically correct” per il piccolo schermo, che sono poi approdate sui canali italiani e hanno riscosso successo, chi più chi meno, mostrando l’eroicità, la fedeltà alla legge ed ai valori più alti, la professionalità e, soprattutto, l’umanità dei poliziotti e degli investigatori privati a stelle e strisce. Alcuni attori e attrici sono diventati famosi proprio grazie a queste serie TV, altri sono rimasti legati al personaggio interpretato e non sono riusciti a lasciarne i panni, altri ancora sono stati semplici “meteore” nel firmamento delle stelle del cinema…tutti, comunque, sono legati a questi primi passi e tanti di noi li ricordano con nostalgia. Si trattava di serie televisive che si potevano guardare in famiglia, differenti da quelle più recenti e moderne, perché non c’era il rischio di vedere scene “forti” di violenza né di sentire oscenità o dialoghi farciti di parolacce o imprecazioni…si assisteva, invece, a rocamboleschi inseguimenti in auto o in moto, a indagini sotto copertura, a scazzottate o sparatorie in stile “vecchio West” e ancora ad appostamenti notturni o pedinamenti vari. Il tutto in perfetto stile americano con il classico finale positivo, in cui il buono prende il cattivo o in cui il buono aiuta il “cattivo-che-non-è-così-cattivo”. E
cosa dire delle sigle, diventate vere e proprie icone, famose e riconoscibili fin dalle prime note. Posso citare tantissime di queste serie, a partire dai poliziotti in divisa in “The Rookies – A tutte le auto della Polizia” e “T.J. Hooker” (impersonato da William Shatner), in cui si narrano le gesta alcune reclute che imparano il mestiere “sulla strada”, in pattuglia, fino ad arrivare agli agenti sotto copertura, prima fra tutte “Pepper Anderson – Agente speciale”, che ha reso ancora più famosa la sensuale Angie Dickinson (chi si ricorda le sue gambe mozzafiato inquadrate nella sigla?!) e l’eclettico “Toma”, con il volto di Tony Musante, capace di travestirsi e di ingannare chiunque. In divisa erano i poliziotti John Baker e Frank Poncharello, interpretati da Erik Estrada e Larry Wilcox, che hanno fatto innamorare le adolescenti a bordo delle loro moto in “CHiPs”, mentre in “Riptide” le indagini si alternavano alle risate, insieme ai tre amici Cody, Nick e Bozinsky, a bordo della loro barca ormeggiata a Los Angeles. E come non citare le serie “Hill Street giorno e notte”, in cui le telecamere ci portavano all’interno di una stazione di Polizia e ci mostravano le vite dei singoli protagonisti, intrecciate fra di
loro e con le indagini loro assegnate, con un ritmo frenetico e spesso estenuante. O ancora “L’ispettore Tibbs” (ispirato al celebre film con il mitico Sidney Poitier), in cui erano narrate le vicende del capo della Polizia William Gillespie (il grande Carroll O’Connor) e dell’ispettore Virgil Tibbs, aspirante avvocato, che si trovavano ad affrontare casi particolarmente difficili e spesso “spinosi”.  E non dimentichiamo “Hunter”, in cui Rick Hunter e la collega Dee Dee McCall (rispettivamente Fred Dryer e Stephanie Kramer), formavano un fantastico duo di detective della polizia di Los Angeles pronti a tutto. Voglio terminare questa carrellata con altre due serie che non posso omettere: il grande “Cannon”, ex agente di polizia, diventato investigatore privato dopo la morte di moglie e figlio, con gusti particolarmente raffinati e costosi specialmente riguardo a
cibo e automobili, interpretato dal mitico William Conrad, e “Fifty Fifty”, in cui Carole e Sidney, due donne forti e diametralmente opposte, rispettivamente fotografa free lance e suonatrice di viola, si ritrovavano ad indagare sull’omicidio di Raymond, al quale entrambe erano state sposate e dal quale entrambe avevano divorziato. Risolto il caso, scoprono di essere le uniche eredi dell’agenzia investigativa dell’ex e defunto marito e decidono di portarla avanti. Le due attrici protagoniste erano Lynda Carter e Loni Anderson che, purtroppo, hanno lasciato la produzione dopo una sola stagione, perché interessate ad altri contratti. Ho dimenticato o tralasciato qualcuno? Sicuramente sì! Sono troppe le serie di quegli anni per riuscire a ricordarle tutte! Inoltre, quando alcune di esse sono andate in onda, io ero troppo piccola per poterle vedere. Ho visto sicuramente quelle degli anni Ottanta (magari non tutte le stagioni ma qualche episodio) e quelle degli anni Settanta le ho potute apprezzare quando sono state
replicate nei decenni successivi…fatto sta che ho sempre amato il genere e ho una buona memoria…quindi, sono in grado di ricordarli ancora. Negli ultimi anni, inoltre, sono nati dei canali televisivi dedicati proprio a questo tipo di telefilm e vi assicuro che hanno ancora un discreto successo! Ed ora veniamo al gusto: come siamo messi? Beh! Come potete immaginare…malissimo! Sì, perché la “formula” base comune alla quasi totalità di queste serie era la brevità dell’episodio (duravano circa 45/50 minuti) e in questo lasso di tempo si doveva inquadrare il caso, l’indagine, cercando di dare subito una pista chiara da seguire. E i nostri eroi, poliziotti, detective o investigatori privati che fossero, avevano il tempo giusto per la solita enorme e tristissima tazzona di caffè (quando non era uno dei contenitori take away!) e per uno spuntino veloce in auto durante un appostamento, preso ad un food truck o, peggio ancora, ad un distributore automatico...e addio al gusto! E così, per rappresentare questa varietà di serie e di personaggi così diversi tra loro, ho pensato di non cucinare nulla ma di guardarmi qualche episodio sgranocchiandomi lo snack per eccellenza, quello che si trova ovunque, in mille declinazioni diverse per gusto, forma, spessore, abbinato a qualsiasi cosa, che piace praticamente a tutti, anche se non è proprio un cibo che si può definire sano…avete capito a cosa mi riferisco? No?!!? Alle patatine! Normali, alla paprika, all’aceto, al formaggio…classiche con l’aperitivo, in compagnia o da soli, con una bibita o una birra, in tavola, in giro, come sfizio o come comfort food…ogni occasione è buona per mangiarle e mettere tutti d’accordo. Una fantastica invenzione, insomma, e bravo chi l’ha ideata…già, ma chi è stato? Facciamo un passo indietro nel tempo…perché, come ogni importante ricetta che si rispetti, ci sono diverse versioni della storia…La più accreditata risale al 1853 e narra di un cuoco, certo George Crum (noto anche come Speck), afroamericano di Saratoga, che lavorava nella cucina del Moon Lake
Dodge. Un giorno un cliente si lamentava del fatto che le patatine fritte, servite insieme alla sua bistecca, fossero tagliate troppo grosse. Lo chef le tagliò in stick più piccoli…ma ancora il piatto tornò in cucina…infuriato George tagliò le patate a fettine così sottili “che -pensò - sarà impossibile mangiarle con la forchetta” e le fece portare al tavolo dell’esigente ed incontentabile avventore. Ma questi, invece di lamentarsi, si complimentò con lo chef e apprezzò la nuova versione delle classiche patatine fritte. Ben presto la fama del ristorante si diffuse e in tanti accorrevano per assaggiare quella novità. Qualcuno sostiene che non fu proprio George ad inventare le famose “chips”, come vengono chiamate in America, ma sua sorella, Catherine, la quale, per uno sbaglio, tagliò una fettina sottile di patata. Mentre si girava per scartarla, la fettina cadde nella pentola del grasso. La signora, allora, la ripescò con una forchetta e suo fratello, lo chef, vedendola, la assaggiò e la apprezzò a tal punto da inserirla nel suo menù. Sinceramente che sia stato George o che sia stata Catherine non fa molta differenza: le patatine (chips in America e crisps in Gran Bretagna) già a quell’epoca erano ormai un’istituzione e da allora il successo non fece altro che crescere. Solo più tardi, agli inizi del 1900, si arriverà alla grande distribuzione e poi ai sacchetti anti unto. Una curiosità: a seconda delle inclinazioni filosofiche i sacchetti di patatine sono mezzi vuoti o mezzi pieni. Il vuoto che vediamo nella busta è in realtà a vantaggio del consumatore, perché aiuta le patatine a mantenere tutta la croccantezza e a limitarne le spaccature. L'aria che riempie il sacchetto, infatti, non è "aria normale", altrimenti l'ossigeno renderebbe le patatine immangiabili. Si usa l'azoto per riempire i sacchetti, evitare il proliferare dei batteri e contribuire all'integrità delle patatine. Come sapete, mi piace provare e sperimentare e ho provato a farle anche a casa, in forno…puntualmente, però, ne brucio metà e, comunque, non sono la stessa cosa. Ovviamente non è consigliabile mangiarle spesso…ma credo che ogni tanto, in qualche occasione, ci si possa concedere un sacchettino…così, giusto per togliersi la voglia…io le adoro, anche se cerco di starne alla larga perché, come si sa, una tira l’altra e rischio sempre di esagerare!!! E adesso vi saluto perché voglio finire le patatine che ho aperto mentre scrivevo e devo fare attenzione a non ungere il PC!!!! Alla prossima!!!

 

04/10/2023

MAGNUM P.I....INDAGINI ALLE HAWAII!

Proseguendo nella “carrellata” delle serie TV anni Ottanta, dobbiamo assolutamente dedicare un pensiero particolare a “Magnum P.I.”, una serie televisiva statunitense, di genere poliziesco, creata da Donald P. Bellisario e Glen A. Larson, due grandi firme del genere, e prodotta dal 1980 al 1988. In Italia è approdata sui canali Mediaset a partire dal 1982 e il suo successo è durato per tutte le otto stagioni. Inizialmente il protagonista doveva essere un ex agente della CIA, che lavorava sotto copertura e aveva alle Hawaii la sua base operativa, poi però l’idea originale è stata modificata, e si è optato per un veterano della guerra del Vietnam. Nasce così Thomas Sullivan Magnum IV, più semplicemente Magnum, interpretato dall’affascinante Tom Selleck. Ufficiale di Marina decorato nella guerra del Vietnam dove combatté prima con i Navy SEAL e poi con il servizio segreto della Marina stessa (cosa che gli sarà utile in molte delle sue indagini), dopo una decina d'anni di servizio, si congeda e torna alla vita civile e decide di intraprendere l'attività di investigatore privato (da
cui il "P.I.", sigla del termine inglese Private Investigator). Amante della bella vita e delle auto sportive (e in genere di tutto ciò che non può permettersi!), scanzonato e sciupafemmine, Magnum vive nella dépendance di una lussuosa villa in riva al mare, sull'isola hawaiiana di Oahu, su invito del padrone di casa, l'eccentrico scrittore di gialli Robin Masters, personaggio che non appare mai integralmente nella serie ma che, in alcuni episodi si sente al telefono. Una curiosità: la voce di Masters è di Orson Welles. Nell'ultimo episodio avrebbe dovuto mostrarsi e l'identità del misterioso scrittore sarebbe stata rivelata, ma Welles morì per arresto cardiaco a poche settimane dalle riprese e il suo personaggio rimase senza volto. In cambio di questa generosa ospitalità, Magnum si occupa della sicurezza della proprietà, fra un incarico e l’altro in qualità di investigatore privato. La serie segue quindi le investigazioni di Magnum che si imbatte in rapimenti, furti e in omicidi. Alcuni episodi presentano caratteristiche decisamente drammatiche e trattano di temi importanti come l'antisemitismo, il razzismo, la condizione dei reduci del Vietnam o la corruzione militare. Altri episodi invece hanno una caratteristica meno seriosa, pur trattandosi sempre di polizieschi con un caso da risolvere. Una caratteristica particolare di questa serie TV è il racconto in soggettiva del protagonista, in stile hard
boiled. La voce fuori campo di Magnum, infatti, accompagna tutti gli episodi della serie e coinvolge i telespettatori nei ragionamenti sui casi e nelle sue ipotesi sulle indagini. Due frasi tipiche che ricorrono spesso sono «è una regola del buon investigatore che inserirò nel mio manuale...» e «la mia vocina mi diceva che...». In Magnum P.I., inoltre, sia il protagonista, sia i comprimari fanno utilizzo per la prima volta della tecnica camera-look inventata da Oliver Hardy: lo sguardo dell'attore si volge verso la telecamera cercando la complicità del pubblico, usando espressioni facciali che indicano ad esempio perplessità o gioia per essere riusciti in un intento. Come già accennato, Magnum conduce una vita davvero invidiabile: vive in un posto che egli stesso definisce un "paradiso terrestre", esce e rincasa quando vuole; lavora solo quando ne ha voglia; ha il quasi illimitato uso di una Ferrari 308 GTS; nell'appartamento in cui alloggia ha un frigobar sempre fornito di birra; i suoi clienti sono frequentemente donne belle e benestanti, il tutto a spese del suo capo. Gli unici "paletti" che ha sono quelli imposti da Higgins, alias Jonathan Quayle Higgins III, ex sergente maggiore della British Army, maggiordomo e factotum inglese, che tende a preservare quasi maniacalmente e in modo tirannico le proprietà di Robin Masters e che, per farlo, si avvale anche dell'aiuto dei suoi "ragazzi", due dobermann bene addestrati, Zeus e Apollo. Spesso Magnum e Higgins si scontrano sulla gestione della villa e dell’auto, sulla vita un po’ dissoluta e troppo mondana dell’investigatore e sull’estrema rigidità del maggiordomo…e così alcune delle situazioni che si vengono a creare diventano dei “siparietti”, che divertono il pubblico e rappresentano uno dei fulcri della comicità insita nella serie. Questo rapporto di amore-odio, però, lascia spesso il posto anche ad un
sentimento di affetto e di stima reciproca che si evidenzia nei momenti di difficoltà. Magnum nelle sue “avventure” può contare sempre sull’amicizia e sull’aiuto di due suoi ex commilitoni. Il primo è Theodore "T.C." Calvin, pilota di elicotteri, tornato alle Hawaii, dopo il servizio militare in Vietnam e un matrimonio fallito. Ha un'impresa di trasporto aereo ed infatti Magnum utilizza spesso, per gli spostamenti più urgenti, l'elicottero Hughes 500D, pilotato dall'amico (altra curiosità: una gag ricorrente è la rottura del vetro a causa di un foro di proiettile sparato contro l'elicottero, vetro che T.C. dovrà sostituire mettendolo in conto a Magnum il quale, probabilmente, non riuscirà mai a saldare il debito che continua ad aumentare!). L’altro compagno di avventure è Orville Wright Richard, chiamato familiarmente "Rick" per via della sua passione per Humphrey Bogart e Casablanca. Ex mitragliere in Vietnam sull'elicottero di T.C., dove ha conosciuto Magnum, si è ritirato alle Hawaii, insieme al "padrino" Rampino, mafioso di Chicago. Gestisce un club esclusivo e aiuta il detective mettendogli soprattutto a disposizione i suoi contatti con la mala, ma anche con la polizia. Gli altri personaggi ricorrenti sono il tenente della Omicidi della Polizia di Honolulu, Yoshi Tanaka, l’assistente procuratore distrettuale Carol Baldwin, Mac Reynolds tenente della Navy Intelligence Agency, e Michelle Hue, ex moglie di Magnum. Indimenticabile è anche l’iconica sigla di testa, scritta da Mike Post e Pete Carpenter, che è probabilmente una delle sigle di telefilm più nota al mondo. Oltre alla birra, che condivide con gli amici, non si vede spesso Magnum consumare un vero e proprio pasto…mentre è molto più facile trovarlo a sorseggiare un cocktail colorato e ghiacciato in riva al mare o nel giardino della villa. Così, in questi giorni che vedono un inizio d’autunno ancora (troppo!) “contaminato” dal caldo estivo, ho deciso di proporvi proprio uno di questi, di un singolare colore blu. Si tratta del “Blu Hawaii”, la cui origine non è del tutto chiara…Tutto inizia nel 1957 alle Hawaii, ovviamente, dove, da dietro il bancone del bar dello sfarzoso Hilton Hawaiian, il leggendario bartender Harry Yee vede arrivare ogni giorno frotte di turisti, pronti a godersi il paradiso hawaiiano e desiderosi di provare gusti esotici. Interpellato da una nota azienda di Blue Curaçao, coglie l’occasione per creare un cocktail ispirato al colore del mare e lo chiama come la famosa canzone del 1937 “Blue Hawaii”, cantata da Bing Crosby. Accolto inizialmente con grande entusiasmo, però, il drink rimane un prodotto locale e non “decolla”. Il vero successo arriva nel 1961, quando Elvis Presley sbanca i botteghini con la commedia musicale “Blue Hawaii”. Molti si dissero convinti che il cocktail originale fosse nato proprio in seguito al successo del film e non dall’estro di Yee…fatto sta che dagli anni Sessanta questo cocktail è arrivato fino ai giorni nostri, rimanendo fra i primi dieci consumati in queste fantastiche isole. Ma eccovi la “ricetta” di questa bevanda.

La versione originale del Blue Hawaii è composta da vodka, rum, Blue Curaçao, succo d’ananas e un mix agro-dolce che si può preparare facilmente a casa con acqua, zucchero e succo di lime. Esiste qualche variante che non include la vodka e contiene invece crema di cocco e qualche volta panna...io, però, vi consiglio, come sempre, di provare l’originale…poi ciascuno potrà modificarlo a suo piacimento!

Prendete uno shaker e iniziate…• 20 ml rum bianco • 20 ml vodka • 15 ml Blue Curaçao • 30 ml Sweet & Sour Mix (miscelare 1 parte di zucchero con 1 parte di acqua, poi aggiungere succo fresco di lime) • 90 ml succo fresco di ananas

Mettete tutti gli ingredienti in uno shaker, agitate e versate all’interno di un calice Hurricane colmo di ghiaccio. Decorate con una fetta di ananas e una ciliegina. Per un risultato più autentico e gustoso, il succo di ananas andrebbe preparato fresco, utilizzando un estrattore. Tranquilli coloro che non sono abituati a “shakerare”: è possibile utilizzare un frullatore al posto dello shaker, inserendo oltre agli ingredienti il ghiaccio e frullando finché non rimangono più residui di ghiaccio solido. Ora non vi resta che mettervi comodi e gustarlo pian piano, magari leggendo o guardando una puntata di Magnum P.I., che è facile trovare sui canali dedicati al vintage o on line. Alla prossima!


20/08/2023

MIAMI VICE - DUE DETECTIVE AFFASCINANTI IN UNA CITTÀ CHE NON DORME MAI

Nel pieno dei “mitici” anni Ottanta, esattamente nel 1986, arrivava sugli schermi italiani una nuova serie “Miami Vice”, ambientata nella psichedelica città di Miami, appunto, in Florida e nata da un’idea di Anthony Yerkovich. Nei diversi episodi venivano raccontate vicende ispirate a fatti realmente accaduti che riguardavano principalmente il traffico di droga, la prostituzione e il contrabbando di armi. In effetti all'epoca buona parte della città era in mano alla criminalità organizzata ed era un importante nodo e punto di ingresso per la droga proveniente dal Sud America e diretta ai mercati statunitensi. Oltre a questi nella serie venivano affrontati diversi temi, legati in particolare ad aspetti politici (corruzione e appoggio di governi militari) e sociali (omofobia, violenza sulle donne, abuso su minori…). Due anni prima, alla sua uscita negli USA, la serie aveva incontrato una dura opposizione da parte del sindaco di Miami, preoccupato per la ricaduta negativa che poteva avere sul turismo. Ciò non impedì la messa in onda…relegata comunque in seconda serata ed in simultanea con altri programmi molto seguiti. Fu una scelta poco felice che fece temere il flop ai produttori, i quali chiesero e ottennero un orario e una posizione migliore nel palinsesto della NBC…e in poco tempo “Miami
Vice” decollò e divenne una delle serie TV di maggior successo. Merito, soprattutto, dei due affascinanti protagonisti: Don Johnson e Philip Michael Thomas, nei panni rispettivamente di James “Sonny” Crockett e Ricardo “Rico” Tubbs, due detective della polizia di Miami sotto copertura. Grandi amici, scanzonati, pronti alla battuta ma sempre in allerta e attenti a non fare passi falsi, Crockett e Tubbs riuscivano puntualmente a mettersi nei guai…uscendone sempre, però, e arrestando il criminale di turno. Spesso dovevano ricorrere alle armi e non pochi episodi terminavano con un inseguimento e una sparatoria, con conseguente morte dei colpevoli. Ma i due poliziotti riscuotevano successo non solo per le loro indagini. Lo stile di Sonny e Rico fece tendenza, tanto da influenzare la moda maschile sia in patria che oltreoceano. I completi leggeri, color pastello indossati da Sonny, sopra una T-shirt, abbinati ai mocassini senza calze divennero ben presto un must, così come l’aspetto leggermente e volutamente trasandato di Rico convinse molti uomini che con un filo di barba avrebbero ottenuto un grande successo (!). I due si muovevano sempre bordo di una Ferrari bianca e consumavano cocktail esotici, in compagnia di belle ragazze, ostentando ricchezza per rendere sempre più credibile la loro copertura. Ovviamente Sonny e Rico non erano soli a combattere la criminalità. Potevano infatti contare sul supporto del tenente Rodriguez, loro capo sempre impegnato a coprirli, sull’aiuto delle colleghe Gina e Trudy e sulle soffiate dei tanti informatori disseminati a Miami. Le prime stagioni furono più “soft”, nonostante i temi trattati, mentre le ultime tendevano ad essere più cupe e i personaggi più cinici, forse anche per le vicissitudini e i drammi personali che si intrecciavano inevitabilmente con le indagini dei diversi episodi. Anche la colonna sonora, composta da Jan Hammer, riscosse un grande successo e rimase per molto tempo nelle classifiche
mondiali. L’ultima stagione in Italia andò in onda nel 1992 ma recentemente, nei canali dedicati al vintage, è stata riproposta e ha riscosso un discreto successo. Nel 2006 è stata fatta una trasposizione cinematografica ambientata negli anni duemila, con Colin Farrell e Jamie Foxx nei panni rispettivamente di Crockett e Tubbs. Nonostante la martellante e costosa campagna pubblicitaria, però, il film non ha ottenuto il consenso di pubblico e critica sperato da autori e produttori. E veniamo ora al gusto…beh! Nella serie è più facile vedere scene in cui i due protagonisti sorseggiano un cocktail a bordo piscina o in un locale alla moda, piuttosto che trovarli a tavola a gustare una delle tante specialità locali. Ed è un vero peccato, credetemi, anche perché la cucina della Florida ha subito, nel tempo, molte influenze caraibiche, in particolare si è lasciata “contaminare” da quella cubana. Piatti molto speziati e piccanti, a base di pollo, pesce, frutta e verdura e abbinamenti inaspettati e sorprendentemente gustosi…c’è proprio l’imbarazzo della scelta…ma fa tanto, troppo caldo…perciò ho deciso di proporvi un piatto semplice e apparentemente povero che si può trovare in tutti i locali di Miami e della Florida, e che è diventato anche gourmet, in seguito alle rivisitazioni di grandi chef: il sandwich cubano, conosciuto anche come sandwich medianoche. Anticamente questo sandwich era il pasto tradizionale dei lavoratori impiegati negli zuccherifici e nelle fabbriche di sigari a L’Avana e a Santiago de Cuba, perché molto nutriente e pratico da portare con sé al lavoro. Tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 si diffuse in Florida e poi in tutti gli Stati Uniti, entrando di diritto nei prodotti tipici dello street food a stelle e strisce. Provatelo e poi ditemi se vi è piaciuto!

SANDWICH CUBANO

Ingredienti: baguette (si dovrebbe utilizzare il tipico pane cubano, il “pan de flauta”) – arrosto di lonza di maiale – formaggio edamer- prosciutto cotto- cetriolini sott’aceto- senape (a piacere si può aggiungere del peperoncino)

Tagliare il pane a metà e spalmare entrambe le parti con la senape. Stendere i vari ingredienti a strati: prima il prosciutto cotto, poi la lonza, i cetriolini precedentemente scolati e tagliati a fettine ed infine il formaggio. Non vengono indicate le quantità…ma si deve essere molto generosi, mi raccomando! Una volta imbottito il panino deve essere messo su una piastra rovente e pressato. Quando sarà caldo e si vedrà il formaggio fondente, allora si potrà togliere dalla piastra, tagliare in due e servire con una birra o una bibita ghiacciata. Buon appetito e alla prossima!!!



16/07/2023

DELITTI IN PARADISO: UN ISPETTORE INGLESE CATAPULTATO AI CARAIBI

Il caldo allucinante di questi giorni farà sicuramente sognare a molti di voi una vacanza ai Caraibi, distesi su spiagge bianchissime, davanti ad un mare cristallino, con una bevanda ghiacciata ed un piatto di aragoste o di gamberoni. Beh! Ovviamente posso capirvi, anche se io mi escludo automaticamente perché sogno altre mete (!). E per aiutarvi a rendere ancora più vivide queste immagini idilliache, vi invito a guardare una delle serie comparse sul piccolo schermo negli ultimi anni: “Delitti in paradiso” (Death in Paradise), che a me piace molto. Si tratta di una serie franco-britannica, prodotta dal 2011 ed arrivata in Italia l’anno successivo, creata da Robert Thorogood. Lo schema narrativo alla base è molto semplice: un detective della polizia britannica viene letteralmente catapultato, spesso suo malgrado, a lavorare in un lontano Paese caraibico. Nello specifico di questa serie, il malcapitato di turno lascia l’amato Regno Unito per raggiungere Saint Marie, uno sperduto atollo caraibico, ex colonia francese, ora dipendenza britannica, e gestire il distretto di Honorè. Lo “stravolgimento” non è solo
geografico…è anzitutto climatico e poi psicologico, fisico, umano…insomma al di là delle vere e proprie indagini che sarà chiamato a svolgere, il nostro “british man” si ritrova in una società ed in uno stile di vita che sono diametralmente opposte alle sue. Nelle prime due stagioni l’ispettore è Richard Poole (interpretato da Ben Miller) a cui seguiranno Humphrey Goodman (Kris Marshall) fino alla sesta stagione, Jack Mooney (Ardal O’Hanlon) dalla sesta alla nona ed infine Neville Parker (Ralf Little) dalla nona alla dodicesima, attualmente in corso. Ognuno di loro è un vero e proprio personaggio, con il proprio carattere, il proprio metodo investigativo, le proprie manie e fobie ed una propria storia. Poole, rigido e ligio alle regole, incapace di mentire e di provare empatia, è fin da subito molto sofferente rispetto al trasferimento impostogli dai suoi superiori. Soffre terribilmente il caldo (anche se indossa sempre giacca e cravatta), ha nostalgia della pioggia e dell’umidità del clima londinese, beve ogni giorno il suo tè bollente alle cinque, salvo rari casi dovuti alle indagini, e non ama il lavoro di squadra…suo malgrado, però, si affeziona molto ai suoi collaboratori che, con il tempo, impareranno ad apprezzarlo con tutte le sue manie e la sua apparente scontrosità. Tutt’altra cosa è il suo successore, l’ispettore Goodman, che accoglie, invece, il
nuovo incarico con molto entusiasmo e che, nonostante la sua goffaggine e la balbuzie che lo colpisce quando è teso, cerca in tutti i modi di conoscere gli usi e costumi dell’isola per ambientarsi e viverci al meglio. Lasciata Sait Marie per amore, dopo tre stagioni viene rimpiazzato da Jack Mooney, vedovo e con una figlia, il quale vede in questa nuova destinazione una sorta di nuovo capitolo della sua vita, pur continuando a soffrire per la perdita dell’amatissima moglie. Jack è molto paziente, calmo, riflessivo e ha un approccio alle indagini completamente differente da quello dei suoi predecessori. Il risultato, però, è sempre lo stesso: ogni caso viene alla fine risolto ed il colpevole assicurato alla giustizia. Dopo diversi anni in Paradiso, anche Jack sceglie di tornare in patria per stare vicino alla figlia e lascia, così, il posto a Neville Parker. L’arrivo di Neville sull’isola è quasi comico…non sopporta il caldo e l’accecante luce del sole, odia tutti i tipi di insetti, contro i quali ha una grande scorta di repellenti e creme, che si porta appresso nel suo onnipresente zainetto, insieme ad un dittafono sul quale registra tutto ciò che osserva sulle varie scene del crimine ed a vari accessori che, a suo avviso, possono essere utili. Ciascuno di loro è affiancato da una squadra composta da un sergente, che lo segue come partner in tutti i casi, e da due agenti, solitamente uno senior ed uno junior. Nelle diverse stagioni, anche i componenti della squadra cambiano, lasciando la scena per fare carriera, per motivi personali o familiari, per spostarsi in altre isole…e ognuno di loro lascia sempre un importante ricordo nel comando di Polizia di Saint Marie. Spesso ci sono scene che sono veri e propri siparietti, in cui i vari personaggi giocano ciascuno un ruolo importante. In particolare, si possono citare Dwayne Meyers, agente senior decisamente sopra le righe, che con la sua conoscenza dell’isola e degli isolani (specialmente delle donne da lui perennemente corteggiate!) è una vera e propria ricchezza per le indagini, e i sergenti che si sono avvicendati accanto ai diversi ispettori, tutte donne e tutte in gamba: le due “storiche” Camille e Florence che hanno poi ceduto il posto prima a Madeleine e poi alla giovanissima Naomi. Gli unici due “personaggi fissi” dalla prima stagione sono il commissario Selwyn Patterson, dal carattere burbero, diplomatico e intelligente, pur restando
apparentemente nelle retroguardie, sa quando è il momento di intervenire per supportare la squadra, e Catherine Bordey, affascinante madre del sergente Camille Bordey e proprietaria del bar dove la squadra si riunisce dopo il lavoro o per festeggiare una ricorrenza particolare. Spesso, grazie alla posizione strategica del suo locale ed alle sue conoscenze, riesce a fornire degli importanti contributi alle indagini. Diventerà sindaco di Honorè dopo la quarta stagione, pur continuando a gestire il suo bar. Beh! A dire il vero c’è un terzo personaggio fisso nella serie…si tratta di Harry, una lucertola verde che vive nella casa sulla spiaggia assegnata all’ispettore di turno. Inizialmente guardato con diffidenza, l’animale a volte diventa il “confidente” dei momenti di solitudine dei diversi ispettori, che lo trattano come un vero e proprio coinquilino!! Ma veniamo, ora, all’aspetto che ci interessa di più…i diversi ispettori hanno gusti diversi tra di loro…e mentre Goodman e Mooney, pur rimanendo fedeli alla colazione all’inglese, si dilettano nella degustazione dei patti tipici locali, Poole e Parker fanno molta più fatica ad adattarsi. In particolare, Parker è il grande cruccio di Catherine che, dopo aver provato in tutti i modi a fargli mangiare qualcosa di diverso, si vede costretta a servirgli sempre e solo pollo e patatine!!! Per questa serie, però, che consiglio a tutti, perché è davvero
simpatica e a misura di famiglia (niente scene di violenza, niente parolacce, niente sparatorie…) ho voluto scegliere un piatto tipico che in una delle prime stagioni Dwayne prepara per l’ispettore Mooney: il pollo alla creola. Si tratta di un piatto molto semplice che, però, ha dei sapori e dei profumi intensi che sicuramente saprete apprezzare. Non mi dilungo oltre…ho già scritto molto…vi lascio la ricetta e vi invito a provarla. Fatemi sapere!

Ricetta pollo alla creola

Ingredienti per 4 persone: 1,5 kg di pollo a pezzi - 500 g di verdure miste (a piacere fra patate, peperoni, cipollotti, zucchine, melanzane…) - 250 g di farina – basilico – aromi misti - 2 cucchiai di spezie cajun - 250 ml di yogurt greco - 1 peperoncino rosso - 25 g di burro - 2 cucchiaini di granulare di brodo di pollo - 2 cucchiaini di paprika dolce – olio evo – sale - pepe              

Iniziate mischiando Ia farina setacciata con le spezie cajun, il basilico sminuzzato e Ia paprica. Passatevi i pezzi di pollo, impanandoli bene e tenete da parte il mix che avanza. Scaldate l’olio in una grande padella e rosolatevi i pezzi di pollo impanati, 4/5 minuti per parte, finché saranno croccanti e dorati, quindi sgocciolateli e metteteli da parte, in caldo. Lasciate nella padella solo 2 cucchiai del fondo di cottura del pollo (tenete da parte il fondo rimasto) e rosolatevi il misto di verdure con il peperoncino, mescolando, quindi trasferite il tutto in una pirofila che vada in forno e disponetevi sopra il pollo rosolato messo da parte. Bagnate con 250 ml di acqua, coprite e infornate a 180° per 40 minuti. Spolverizzate con il brodo granulare di pollo, aggiungete Io yogurt e infornate per altri 20 minuti. In un pentolino, fate fondere il burro a bagnomaria e amalgamatevi il mix di spezie rimasto, mescolando finché il composto risulterà dorato, incorporatevi il fondo di cottura del pollo tenuto da parte, stemperando, se necessario, con poca acqua, in modo da ottenere una salsa densa e omogenea, che accompagnerà il pollo. Sfornate il pollo e servitene una porzione calda e generosa ad ogni commensale, insieme alla salsa e a delle fette di pane abbrustolite, leggermente imburrate e aromatizzate con del rosmarino. Non so se vi sentirete trasportati ai Caraibi ma vi assicuro che il profumo ed il sapore di questo piatto porteranno il vostro gusto direttamente in paradiso! Buon appetito e alla prossima!


04/07/2023

STARSKY & HUTCH: DIRETTAMENTE DAGLI ANNI SETTANTA SUL “POMODORO A STRISCE”

I mitici anni Settanta hanno visto nascere, oltre a molte belle persone (!) amche diverse serie televisive, in particolare negli USA, che poi hanno avuto un grande boom di consensi anche al di fuori degli States. Fra le tante che hanno entusiasmato moltissimo i telespettatori italiani, portando nelle loro case le avventure dei più disparati tipi di poliziotti, investigatori privati e avvocati, una delle mie preferite era e rimane quella di “Starsky & Hutch”. Prodotta dalla “coppia d’oro” della produzione statunitense, formata da Aaron Spelling e Leonard Goldberg, la serie è andata in onda fra il 1975 ed il 1979 ed è sbarcata in Italia, sulla RAI, a partire dal 1979. Fin dai primi episodi, i due poliziotti hanno ottenuto un grande successo e solo il ritiro dalla serie di uno dei due protagonisti ha segnato la fine delle riprese, dopo la quarta stagione. Questo, comunque, non ha impedito che la serie venisse trasmessa in replica negli anni successivi, ottenendo sempre una buona audience. Anche negli ultimi anni, con l’avvento dei canali del digitale terrestre dedicati alle serie “vintage”, è stata riproposta e fatta apprezzare ai più giovani che, per ovvi motivi anagrafici, non potevano conoscerla. Ma cerchiamo di capire, per chi ancora non lo sa, chi si cela dietro i due nomi che danno il titolo alla serie, ambientata a Bay City, fittizia cittadina della California. Il primo è il “moro” David Michael Starsky (interpretato da Paul Michael Glaser). È il classico poliziotto “di strada”, arrivato in accademia dopo un’infanzia difficile, segnata dall’omicidio del padre e da una gioventù “bruciata” nella guerra del Vietnam. Casinista, impulsivo, disordinato, scanzonato, ha una folta chioma di riccioli neri, mangia solo ciò che acquista nei fast food, non si separa mai dall'automatica Smith & Wesson modello 59 calibro 9, nascosta sotto il suo inseparabile giubbotto di pelle marrone (solo a volte rimpiazzato da un cardigan di lana bianco, grigio e
nero), e porta scarpe sportive di colore celeste con strisce bianche marca Adidas modello "Vintage SL 76". Importantissimo: guida una fiammante Ford Gran Torino del 1975 rossa con strisce bianche di lato che chiama “pomodoro a strisce” e della quale è gelosissimo. Suo partner è “il biondo” Kenneth Hutchinson, più noto come Hutch (interpretato da David Soul) e diametralmente opposto a lui. Hutch viene da una famiglia più agiata e ha scelto di entrare in Polizia dopo aver abbandonato l’università. È l’intellettuale della coppia di sergenti, riservato, un po’ timido, riflessivo, cerca di fare attività fisica e di seguire una dieta macrobiotica…per poi finire a condividere i pasti ben poco “salutari” del collega! A differenza di Starsky, la sua arma è una poderosa rivoltella Colt Python .357 Magnum con canna da 6" e guida una Ford Galaxie 500 del 1973 piuttosto malmessa, che però non cambierebbe con nessun'altra auto. Pur essendo profondamente diversi per carattere e stile di vita, Starsky e Hutch sono legati da una profonda e fraterna amicizia e riescono a risolvere brillantemente i casi a loro affidati. Spesso indagano nei bassifondi, portando alla luce storie di soprusi, di indigenza, di difficoltà che rendono molto labile il confine fra il bene e il male. Lo sfruttamento minorile, la violenza domestica, il razzismo, l’omofobia, la prostituzione…sono solo alcuni dei temi affrontati nei vari episodi e spesso far rispettare la legge non rende meno amara la verità. L’umanità e le emozioni dei due protagonisti sono sempre espresse e li rendono più “vicini” alla realtà rispetto agli eroi stereotipati di altre serie. Fra gli altri personaggi importanti della serie, è doveroso menzionare quelli che sono una presenza costante e che lavorano a stretto contatto con i nostri due poliziotti: il capitano Harold Dobey (che ha il volto di Bernie Hamilton), che li ha voluti nel suo distretto e che, pur dovendo richiamarli e far loro ogni tanto una “lavata di capo”, sa bene che sono i suoi migliori elementi ed è loro molto affezionato, e l’originalissimo Huggy Bear, informatore della polizia (interpretato da Antonio Fargas), proprietario di un bar denominato The Pits ('Le fosse'), ubicato nei bassifondi cittadini, e sempre al corrente di tutti i traffici illeciti della città. Ero una ragazzina quando guardavo gli episodi di questa serie ed ero letteralmente affascinata dai due protagonisti. Durante un episodio mi “innamoravo”
dell’umorismo e dell’umanità di Starsky ed in quello successivo ero “rapita” dalla sensibilità e dal sorriso di Hutch…e adoravo guardare i rocamboleschi inseguimenti a bordo della loro auto rossa, con la quale riuscivano sempre a raggiungere i colpevoli per poi assicurarli alla giustizia. Inoltre non c’erano scene particolarmente violente né dialoghi “farciti” di parolacce, quindi avevo il permesso di guardare la serie che, fortunatamente, piaceva anche ai miei. Ovviamente già allora ero incuriosita da ciò che mangiavano i due, in particolare Starsky, che passava dagli hot dog alle patatine fritte, dalle ciambelle ai classici hamburger, che all’epoca ancora non erano così noti e alla portata di tutti come lo sono oggi. Vi ho già proposto in passato la mia versione degli hamburger americani fatti in casa (http://www.ilgustodeldelitto.it/2018/05/rizzoli-isles-la-strana-coppia-della.html) quindi oggi vi propongo semplicemente una variante, con i burger buns colorati (I panini per hamburger, noti anche come burger buns, sono dei sofficissimi panini, di media dimensione dalla forma tonda, di origine americana, che solitamente vengono utilizzati nel continente d’oltreoceano come panini farciti per la realizzazione dei famosi hamburger!)  Se poi preferite farcirli diversamente rispetto al “solito” hamburger...beh! Sbizzarritevi e gustateli come meglio credete. Alla prossima!

RICETTA DEI BURGER BUNS

Ingredienti per circa 10/12 panini: 250 gr di farina 00 - 250 gr di farina manitoba - 125 gr di latte (tiepido) - 125 gr di acqua (tiepida) - 50 gr di burro (ammorbidito) - 20 gr di zucchero - 17 gr di lievito di birra (fresco) - 1 cucchiaino di miele - 10 gr di sale**Per spennellare: 1 tuorlo d’uovo - 1 cucchiaio di latte - q.b. di semi di sesamo (o semi di papavero) Per colorarli di: nero 50 gr di carbone vegetale – verde: 60 gr di spinaci lessi (o 50 gr di farina di spinaci) – giallo: curcuma e zafferano – rosso: 50 gr di farina di barbabietola o concentrato di pomodoro

Iniziate a sciogliere il lievito nell’acqua tiepida. In una ciotola riunite le farine, lo zucchero, l’acqua nella quale avete sciolto il lievito, il latte e il miele. Lavorate gli ingredienti con una impastatrice

planetaria munita di gancio o energicamente a mano. Quando l’impasto appare abbastanza compatto unite anche il burro ammorbidito a pezzi e lavorate fin quando non otterrete un impasto morbido ed elastico. (Se state utilizzando una impastatrice lavorate fin quando l’impasto non si sarà staccato dalle pareti della ciotola, per agganciarsi al gancio). Aggiungete anche il sale e lavorate ancora l’impasto per qualche minuto. A fine lavorazione formate un panetto morbido e compatto con l’impasto lavorato, creando una sfera. Trasferite l’impasto in una ciotola di vetro capiente, copritelo con la pellicola e lasciatelo riposare fino al raddoppio (almeno 2-3 ore). Se volete colorarlo dividete prima l’impasto in quattro parti ed inserite in ciascuno l’ingrediente relativo al colore scelto e poi fateli riposare. Riprendete l’impasto e dividetelo in pezzetti del peso di 80 gr l’uno per fare 10/12 panini. Modellate i pezzi di impasto formando delle belle sfere. Sistemate i panini su una teglia con la chiusura rivolta verso il basso, abbastanza distanziati tra di loro. Coprite i panini con la pellicola senza schiacciarli e lasciateli riposare un’oretta. Trascorso questo tempo spennellate la superficie dei panini con il tuorlo d’uovo sbattuto con il latte e distribuitevi i semi di sesamo o semi di papavero. Infornate i panini in forno preriscaldato a 200°C per 15 minuti circa, poi sfornateli e lasciateli intiepidire. Ora potete utilizzarli per preparare dei fantastici hamburger classici o farcirli a vostro piacere! Buon appetito!

 

05/03/2023

LA SPOSA SCOMPARSA – Il primo dei “Delitti del casello”

Rosa Teruzzi (Monza, classe 1965), giornalista, scrittrice e conduttrice televisiva, vive e lavora a Milano ed è esperta di cronaca nera. Dopo aver guidato la redazione di Verissimo, è diventata caporedattrice della trasmissione televisiva Quarto grado e scrive romanzi e racconti di genere giallo. Per scrivere si ritira in estate presso un vecchio casello ferroviario a Colico, sul lago di Como. Ed è un altro casello ferroviario, posizionato questo a Milano, che ha ispirato la serie di romanzi “I delitti del casello”, editi a partire dal 2016. Ma andiamo con ordine…Libera, affascinante quarantaseienne, ha trasformato un vecchio casello ferroviario, fra i Navigli e il Giambellino, in una casa-bottega, dove si mantiene creando originalissimi bouquet di nozze. La sua specialità è quella di riuscire a creare delle composizioni in base alle caratteristiche ed al carattere delle spose sue clienti e il suo lavoro riscuote un discreto successo, che non la rende ricca ma le permette di vivere dignitosamente. Divide il casello con la figlia Vittoria, giovane poliziotta un po’ “bacchettona” e la madre Iole, settantenne hippie esuberante e seguace dell’amore libero…Inutile dire che la convivenza delle tre donne è tutt’altro che tranquilla: hanno tutte un carattere forte, sono testarde e ferme sulle loro posizioni e hanno tre visioni della vita profondamente diverse. L’unica che si sforza di mantenere una
certa tranquillità e di trovare dei punti di incontro è Libera, che si trova spesso in mezzo a due fuochi, anzi, in mezzo alle scintille generate da una parte dalla sua intraprendente madre e dall’altra dalla sua serissima e intransigente figlia. Gli unici momenti in cui Libera, Iole e Vittoria riescono ad andare d’accordo, o almeno a concentrarsi su altro che non siano le loro “divergenze caratteriali e generazionali”, sono quelli in cui si uniscono per indagare su un mistero o su un delitto. Nel primo dei libri che li vede protagoniste “La sposa scomparsa”, si ritrovano davanti ad un cosiddetto “cold case”, cioè un “caso freddo”. Una piovosa mattina di luglio, infatti, una donna anziana e vestita di nero si presenta alla porta del casello per chiedere aiuto. La figlia è misteriosamente scomparsa diversi anni prima e la signora sostiene che il caso sia stato chiuso e archiviato troppo in fretta e che gli inquirenti, all’epoca, abbiano tralasciato tante, troppe “piste” che avrebbero potuto portare alla soluzione. Il suo dolore traspare dallo sguardo, dalla voce, dalle parole che usa…ed è quasi tangibile. Vittoria, chiamata in causa dalla misteriosa visitatrice in quanto poliziotta, è piuttosto scettica e non sa decidersi sul da farsi. Inutile dire che, invece, Libera e Iole rimangono toccate dalla vicenda e, sentendosi subito coinvolte, si improvvisano investigatrici e si buttano a capofitto nelle indagini. E così, fra piste fredde, teorie strampalate, improbabili travestimenti, sospetti più o meno fondati e, soprattutto, innumerevoli discussioni…la strana squadra investigativa familiare arriverà a scoprire una triste e inaspettata verità. E sullo sfondo Milano, la Brianza, Como e una serie di personaggi che contribuiscono a dare leggerezza a questo romanzo, che si legge volentieri, è scorrevole ed è capace di coinvolgere il lettore. Lo spirito ribelle di Iole, la rigidità di Vittoria, l’estro e la vivacità di Libera emergono dalle pagine del libro in modo schietto e simpatico. Anche il casello gioca un ruolo determinante…in quanto casa-bottega, infatti, è il porto sicuro per tutte e tre le protagoniste, ha il calore, l’odore e il sapore della famiglia, al di là di tutto e di tutti. Libera, poi, lo rende tale con i suoi fiori e con i manicaretti che cucina per la famiglia, per gli amici e per sé stessa, in particolare per tirarsi su o per regalare e regalarsi una coccola. Sono tanti, infatti, i piatti che si avvicendano sulla tavola del casello e devo ammettere che non è stato facile sceglierne solo uno! Ma alla fine, pensa che ti ripensa, ecco a voi una semplice e gustosissima pasta con crema di porri e zafferano, milanese e saporita al punto giusto. Provatela e leggete il libro: vi assicuro che in entrambi i casi non ve ne pentirete!

PASTA CON CREMA DI PORRI E ZAFFERANO

Ingredienti per 4 persone: 320 gr di pasta corta – 4/5 porri - una bustina di zafferano (o 0,2 gr di zafferano in pistilli) – olio evo q.b. - sale q.b. - Pepe q.b.

Eliminate le due estremità dei porri, eliminate la parte verde e i due strati esterni. Tagliateli a rondelle e lavateli. Stufateli in una casseruola con un pochino di olio, due mestoli d’acqua e sale con coperchio chiuso. Una volta che saranno morbidi, tenetene da parte un paio di cucchiai e frullate il resto, fino ad ottenere una crema. Nel frattempo, cucinate la pasta in acqua salata bollente. Lasciate il contenuto della bustina di zafferano in infusione in una tazzina con l’acqua di cottura della pasta per circa 5 minuti. (Se, invece, utilizzate lo zafferano in pistilli posizionateli in un foglio di carta forno piegato a metà. Adagiate sopra una pentola bollente piena di acqua e lasciate tostare per circa tre minuti. Dopo di che con l’aiuto di un coltello, dal lato opposto alla lama, strofinate sul foglio in modo da tritare lo zafferano. Lasciate in infusione in una tazzina l’acqua di cottura della pasta per circa 10 minuti). Passato il tempo di infusione, mescolate la crema di porri con lo zafferano, aggiungete un po’ di pepe e aggiustatela di sale, se necessario. Scolate la pasta, aggiungete la crema e amalgamate per bene. Impiattate e servite, posizionando sopra ogni porzione un pochino di porri e un pochino di zafferano (se ne è rimasto): buon appetito e alla prossima!!



19/02/2023

SCATTI MORTALI A MILANO – Un’indagine del commissario Cucci

È successo ancora…beh! Del resto dovevo aspettarmelo…ormai mi conosco e so che quando un libro mi prende succede sempre così…lo leggo tutto d’un fiato! Certo, non mi capita con tutti i libri che leggo, non tutti gli autori riescono a “costringermi” a farlo…fatto sta che anche per la quarta avventura del commissario Cucci, scritta dall’abile mano di Luciano Cosimo Carluccio, mi sono ritrovata a fare le ore piccole per arrivare all’ultima pagina, perché non potevo e non volevo interrompere la lettura. Era già successo con gli altri suoi romanzi (sì, sì, tutti e tre!!) e quindi dovevo saperlo che non avrei chiuso il libro e spento la luce prima delle 2.30 del mattino…e dunque? Dite che dovrei chiedere i danni al signor Carluccio?!? Denunciarlo per “procurata insonnia aggravata da assoluta inefficacia della conseguente assunzione di caffeina”!?!?! Ma no, figuriamoci! Semmai dovrei ringraziarlo per aver creato un personaggio come quello del commissario Cosimo Cucci, detto Mino, e chiedergli di continuare a scrivere! Per quanto mi riguarda, devo semplicemente ricordarmi che, in certi casi, è bene organizzare la lettura nel fine settimana…perché poi andare al lavoro il giorno dopo diventa decisamente difficile! Comunque vi dico tutto ciò per mettervi in guardia: se avete amato, come me, il commissario Cucci fin dalla prima pagina, se lo avete seguito nelle sue corse mattutine e nelle sue indagini, se avete apprezzato i primi tre libri di Carluccio…beh! Allora non solo vi consiglio vivamente di leggere il quarto ma vi invito a farlo prendendovi il vostro tempo, mettendovi comodi e facendo in modo che niente e nessuno vi disturbi. Ma
andiamo con ordine. Anzitutto il titolo. “Scatti mortali a Milano”, edito da Fratelli Frilli, con una bella copertina di un fantastico colore arancione (per me secondo solo al giallo) sulla quale campeggia una macchina fotografica che poggia su una macchia di sangue. Il tutto risulta molto accattivante e ammetto di averla apprezzata particolarmente. E poi si arriva alla seconda di copertina, sulla quale viene accennata la trama. Il “nostro” Mino si ritrova fra le mani un caso “spinoso”, anzi, se ne ritrova tre che si intrecciano e che lo faranno faticare non poco. Si comincia con la morte decisamente sospetta di un bravissimo “street photographer” e della successiva scomparsa della sua compagna. Si prosegue, poi, con l’omicidio di un ladro di appartamenti, legato agli avvenimenti dei primi due casi. E sullo sfondo, come sempre, la città di Milano, protagonista in tutti i libri di Carluccio, questa volta alle prese con l’Expo e con le devastazioni dei Black Bloc, avvenute durante la manifestazione del 1° maggio del 2015. Ben presto il commissario, coadiuvato come sempre dalla sua squadra, capirà che tutte le piste partono e riportano proprio a quella manifestazione. A tutto questo si aggiunge il coinvolgimento di Marina, la compagna di Cucci, che conosceva il fotografo e la sua compagna, e che lo ha spinto fin da subito a indagare. Il commissario si ritrova così in mezzo a due fuochi: da una parte la donna che ama pretende che lui risolva il caso, anzi i casi, ma non è del tutto sincera con lui e sembra dubitare del suo lavoro e delle sue capacità investigative. Dall’altra la pressione molto forte dei superiori, ansiosi di chiudere i casi ma determinati a cercare un capro espiatorio per i fatti legati alla manifestazione No Expo. In una dura lotta contro il tempo, a poco a poco, la matassa sembra sbrogliarsi e la verità che emerge è davvero inquietante. Il commissario deve combattere su più fronti, nulla sembra andare per il verso giusto e lui si deve spesso fermare per riflettere, cercando di fare ordine sul lavoro e nella sua vita e sforzandosi di rimanere lucido e distaccato, per il bene delle indagini. Ma non è facile e non sono pochi gli attacchi che è costretto a subire. “…al lavoro, così come nel privato, mi hanno descritto come una persona metodica, rigida, rompicoglioni, permalosa, tutto più che azzeccato. Cinico, mai! È la prima volta che mi apostrofano in questo modo. Io non sono così! Comunque farò chiarezza, sia con Marina che con Invernizzi, vediamo cosa cazzo hanno da dirmi. E comunque, vaffanculo a tutti e due!” aveva ragionato. La seduta di allenamento non era stata proficua...La corsa era stata nervosa, poco fluida, complice il suo stato d’animo, poco
sereno…Screzi nella via ne aveva avuti, ma mai con quella intensità e veemenza. Riguardavano sia la sfera privata che quella lavorativa, quindi importanti nella vita di ogni giorno…” Sinceramente non mi era mai capitato di trovare il commissario così incazzato (!) e questa tensione, questo nervosismo, permea ogni singola pagina, coinvolge il lettore, prendendolo come in un vortice e lasciandolo alla fine del libro quasi senza fiato, con la rivelazione di verità scomode e con l’amaro in bocca, nonostante la soluzione dei casi. E con questo arriviamo al gusto…Questa volta Cucci fa solo una “toccata e fuga” dai suoi amici Santino e Luce, del ristorante “Il saraceno” e sembra non riuscire mai a fermarsi nemmeno per uno spuntino. Io vi confesso che, dopo aver letto “Scatti mortali a Milano” e pur avendolo molto apprezzato, ho sentito una gran voglia di mangiare qualcosa di dolce, qualcosa che mi aiutasse a togliere quell’amaro che rimane davanti a qualcosa che sai essere reale, qualcosa che mi "coccolasse" dopo un ritmo così serrato. E così ho preparato della cioccolata e l’ho gustata con delle freschissime e dolcissime fragole. E voi? Dopo la lettura quale “comfort food” vi concederete? Fatemelo sapere. Intanto vi aspetto per il prossimo libro…io continuo a leggere e a cucinare…A presto!

05/02/2023

“NOBODY” un libro di Charlotte Link

Charlotte Link, nata a Francoforte sul Meno nel 1963) è una scrittrice tedesca, ad oggi considerata una delle più talentuose scrittrici tedesche contemporanee e spesso definita “la regina del suspense psicologico”. Charlotte è figlia della famosa scrittrice e giornalista tedesca Almuth Link e fin da ragazzina ha manifestato una grande passione per la lettura e la scrittura. La sua prima opera “Die schöne Helena” (trad. La bella Elena), scritta all’età di 16 anni, viene pubblicata quando lei ha 19 anni e si fa subito notare dalla critica locale. Negli anni ha vinto numerosi premi letterari e deve la sua fama soprattutto alla sua versatilità: conosciuta, infatti, inizialmente per i suoi romanzi a sfondo storico, ha avuto molto successo anche con i suoi romanzi gialli, tanto che ogni suo nuovo libro occupa per mesi i primi posti delle classifiche tedesche. Fra i suoi tanti romanzi, mi è capitato fra le mani “Nobody”, uscito nel 2009. Non ho letto altro di questa autrice, almeno per ora, e sinceramente non so se lo farò...ci devo riflettere! Per
carità, il libro è scritto bene, la lettura è abbastanza scorrevole e la storia è avvincente…certo, è uno stile un po’ prolisso per i miei gusti e, a mio avviso, l’intero romanzo avrebbe potuto occupare circa la metà delle 522 pagine di cui è composto. Ma andiamo per ordine…iniziamo dalla trama, che prendo “paro paro” dalla quarta di copertina dell’edizione TEA che ho letto: “A Scarborough, una località di mare dello Yorkshire, viene trovato il corpo di una studentessa brutalmente assassinata. Per mesi la polizia brancola nel buio alla ricerca non solo di un autore, ma anche di un movente. Fino a quando un nuovo omicidio scuote gli abitanti della cittadina. Questa volta la vittima è una donna anziana. Le modalità dell'assassinio, tuttavia, sono le stesse e la poliziotta incaricata delle indagini si convince che il nesso fra gli omicidi sia da ricercare nel passato delle due famiglie. E, con l'aiuto di un diario trovato per caso, si imbatte in una vicenda accaduta più di mezzo secolo prima, quando in paese era arrivato insieme agli sfollati da Londra durante i bombardamenti, un bambino di cinque anni apparentemente orfano, ritardato e che si era subito attaccato a una ragazzina di poco maggiore. Brian era il suo nome: questo era tutto ciò che si sapeva di lui. Da tutti era stato «battezzato» Nobody (nessuno) e da tutti era stato maltrattato per anni, atrocemente. A Scarborough tutti avevano cercato di dimenticare questa brutta storia. Ma ognuno, in cuor suo sapeva che un giorno o l'altro sarebbe saltata fuori...” Fin qui nulla da dire, la traccia è abbastanza “intrigante” e invoglia ad avventurarsi nel libro…
E subito ci si ritrova in un racconto che trasuda tristezza, ambientato in ambienti cupi, dove tutti nascondono qualcosa e nessuno è intenzionato a far emergere una verità troppo scomoda e malvagia. La poliziotta incaricata delle indagini, Valerie, deve faticare non poco per trovare degli indizi, delle testimonianze…e si ritrova a scavare nel passato per poter far luce sul presente. Passato che risale agli anni della Seconda guerra mondiale e che ha segnato in maniera indelebile il destino dei protagonisti di questa vicenda. Nonostante i tanti “giri” di parole e i continui “salti” di anni, si arriva alla fine, aspettando di vedere svelato ciò che il lettore più attento e avvezzo ai romanzi gialli, ha già intuito dall’inizio…ma il finale è frettoloso e incompleto e lascia un po’ l’amaro in bocca. Insomma sono rimasta un po’ “così” dopo aver letto “Nobody”…mi ha lasciata insoddisfatta, incupita, triste e quasi infreddolita…sì, avete letto bene “infreddolita” per il gelo che passa dalle pagine di questo racconto. Dovrò decidere se leggere un altro romanzo della Link, per capire se questo suo libro è un “caso isolato” e se gli altri sono scritti meglio o se lasciar stare e rimanere nel dubbio. Nel frattempo, subito dopo la lettura ho deciso che avrei dovuto tirarmi su con qualcosa di buono, di dolce e di caldo e, visto che non c’era nessuna possibilità di trovarne nel libro, ho scelto una ricetta che mi scaldasse fuori e dentro: le pere al vin brulè! Vi assicuro che sono un toccasana in certi momenti…il libro, se volete, provate a leggerlo…le pere, invece, ve le consiglio caldamente!!!! Ecco a voi la ricetta.

PERE COTTE AL VIN BRULE’

Ingredienti per 4 persone: 4 pere Kaiser medio/piccole – 1 bottiglia di vino rosso dolce (tipo Brachetto) – 1 stecca di cannella – 2 chiodi di garofano – 110 gr di zucchero di canna – 1 arancia non trattata

Tagliate il fondo delle pere, eliminate il torsolo e sbucciatele. Mettetele in una piccola casseruola e copritele con il vino, allungandolo con poca acqua se necessario. Aggiungete lo zucchero di canna, la cannella e i chiodi di garofano, coprite con il coperchio e fate cuocere a fuoco basso per circa 15 minuti. Togliete, quindi, le pere dalla casseruola e fate raffreddare un pochino sia i frutti che lo sciroppo. Sbucciate, intanto, l’arancia con un pelapatate, facendo attenzione a staccare solo la parte colorata della buccia e non quella bianca, che è amara. Travasate lo sciroppo in una padella, aggiungete la scorza dell’arancia e fatelo ridurre di due terzi. Riducete le pere a pezzetti e servitele in coppe ricoperte con lo sciroppo, decorando eventualmente con la cannella e la scorza d’arancia. Gustatele calde o tiepide, non fredde, mi raccomando! Buona degustazione e alla prossima! 


14/01/2023

IL SAPORE DEL MALE

Luca Perugia (classe 1974) nasce e cresce a Roma, si laurea in Ingegneria delle Telecomunicazioni e lavora come consulente informatico. Nel 2011 un banale incidente sportivo cambia radicalmente la sua vita e gli permette di fermarsi, di rallentare, di apprezzare tutte le cose belle della vita, dalla più grande alla più apparentemente insignificante…e porta alla luce la sua vena creativa, tenuta “nascosta” fino a quel momento.  “Il Sapore del Male”, uscito nel 2017, costituisce il suo romanzo d’esordio. Non si sa molto altro di questo autore e, almeno per quanto sono riuscita a sapere, pare non abbia scritto altro. Copertina bianca, con al centro forchetta, coltello e un piatto macchiato di sangue…tanto è bastato per incuriosirmi e spingermi a prendere il libro e a leggerlo praticamente subito. Lo stile narrativo di Luca Perugia è semplice, schietto, quasi elementare. Non è un thriller, non è un susseguirsi di colpi di scena ma piano piano arriva a tenerti con il fiato sospeso ed è comunque capace di coinvolgerti, di incuriosirti, di portarti a leggere pagina dopo pagina proprio per il più classico dei motivi: vedere come va a finire! Anche la trama non potrebbe essere più semplice. Un ragazzo di 25 anni, Manuel, simpatico
e amabile, vive in una cittadina di provincia della quale non viene mai detto il nome ma solo l’iniziale “M.” (chissà poi perché?). Le sue passioni sono la cucina (è capocuoco in uno dei ristoranti più apprezzati della zona), la sua famiglia, apparentemente perfetta, e Cristina, la sua splendida e intraprendente fidanzata. A tutto questo si aggiungono la tranquilla zona di provincia, Flavio, il suo stravagante amico di sempre, e le figure cosiddette “minori”, quasi di contorno, che portano colore e vivacità allo scorrere pacato delle giornate. Finché un giorno il passato di Manuel, che lui ignora completamente, viene portato alla luce, sconvolgendo la sua vita e scardinando le sue certezze. Tutto ciò e tutti coloro che pensava di conoscere da sempre appaiono improvvisamente diversi, estranei e il ragazzo pacato e sereno si ritroverà faccia a faccia con un passato che lo porterà ad una nuova maturità e ad una nuova consapevolezza di sé e di chi ama. Dovrà affrontare proprio quel passato per poterlo conoscere, per conoscere e capire la verità e per risolvere, infine, un mistero rimasto irrisolto per tanti, troppi anni. Sullo sfondo le relazioni con i vari personaggi e il suo lavoro, diventato ormai l’unico capace di aiutarlo a tenere a bada le mille contrastanti emozioni che rischiano di sopraffarlo. E così i suoi piatti diventano le sue uniche certezze e, nonostante tutto, riescono ancora a portare gioia ai palati dei suoi clienti e dei suoi cari. Non posso certo dire che “Il sapore del male” sia un ottimo romanzo giallo ma non posso neanche affermare che sia scritto male, anzi! Mi piacerebbe molto che Luca Perugia ne scrivesse altri, in modo da avere altro materiale per poter poi esprimere un vero giudizio. Nel frattempo, se vi incuriosisce e/o se vi capita di trovarlo, vi consiglio di leggerlo…almeno potrete dirmi cosa ve ne pare! Per quanto riguarda il gusto…beh! Già dal titolo si può intuire che questo libro può entrare di diritto fra quelli recensiti nel blog. Si parla spesso di cibo, di ingredienti particolari, di accostamenti e di sapori…in particolare c’è una scena in cui Manuel prepara una cena a base di pesce per la sua amata Cristina. Piatti semplici ma al contempo raffinati e sempre molto gustosi. Fra gli altri, ho scelto di replicare la calamarata con pesce spada e pomodorini, apportando alcune piccole modifiche per adattarla ai miei commensali. E quindi, ecco a voi la ricetta, facile e gustosa.

 CALAMARATA SPADA E POMODORINI

Ingredienti per 4 persone: 350 g di calamarata - 400 g di pesce spada -200 g di pomodorini – olio evo – un mazzetto di prezzemolo – scalogno – aglio – sale – pepe – a piacimento 80 g di capperi

In una padella soffriggete l’aglio tritato e lo scalogno con un po’ di olio, unite il pesce spada tagliato a cubetti, metà del mazzetto di prezzemolo tritato e, se volete, i capperi. Cuocete a fuoco vivo per un paio di minuti. In un’altra padella preparate lo stesso soffritto di aglio, scalogno e olio e unite i pomodorini tagliati in quattro, facendoli cuocere per tre/quattro minuti. Unite poi il pesce spada e lasciate riposare mentre cuocete la pasta in abbondante acqua salata. Scolatela ancora al dente e versatela nella padella del sugo. Fate saltare qualche minuto a fuoco vivo e servite con un filo d’olio a crudo e una macinata di pepe. L’ideale è accompagnare il piatto con un vino bianco frizzante, servito fresco e con delle fettine di pane casereccio scottate e cosparse con un battuto di aglio e olio…così sarà più facile fare la scarpetta!!! (N.B. Se volete potete aggiungere anche altri pesci. Io avevo delle vongole avanzate dalla preparazione di un altro piatto e le ho aggiunte al sugo…ho fatto un “recupero” e il risultato è stato comunque ottimo!). Buon appetito e alla prossima!