19/12/2018

IL COMMISSARIO WALLANDER: INDAGINI NEL SUD DELLA SVEZIA

Nella vasta schiera di autori svedesi un posto di spicco spetta a Henning Mankell (Stoccolma 1948 – Göteborg 2015), creatore del commissario della polizia di Ystad, Kurt Wallander. Mankell ha vissuto fra la Svezia ed il Mozambico, dove ha fondato un suo teatro e dove si “rifugiava” per trovare ispirazione e lavorare serenamente.  Scrittore prolifico, idealista, aveva una forte personalità e visse intensamente il suo tempo, compresa la battaglia contro il tumore che lo colpì nel 2014 e lo sconfisse un anno dopo a 67 anni.  I suoi romanzi gialli, usciti fra il 1991 ed il 2013, riscossero sempre un grande successo e furono fra i primi a far conoscere ad un pubblico sempre più vasto la realtà svedese. Le storie, infatti, sono ambientate in Scania, la zona più meridionale della Svezia, considerata una “terra di confine” dove si vive e si avverte un profondo senso di inquietudine. Da qui, probabilmente, la decisione di Mankell di inserire, a partire dal nono libro, una sorta di sottotitolo alle vicende: “i romanzi dell’inquietudine”. Il commissario Wallander, in effetti,
vive e lavora sempre accompagnato da questo stato d’animo. Classe 1947, appassionato del suo lavoro e della musica lirica, separato, una figlia ventenne (che vede troppo poco), un appartamento dove spesso si sente troppo solo, un padre anziano che non ha mai accettato la sua scelta lavorativa, colleghi e, soprattutto, superiori con i quali non sempre va d’accordo, Wallander, inquieto o meno, è comunque un ottimo poliziotto. Quando comincia un’indagine non ha pace finché non la risolve, anche se spesso la soluzione lascia l’amaro in bocca. Nei diversi libri Mankell affronta temi molto attuali e ci offre diverse prospettive per guardarli, portandoci poco a poco alla resa dei conti insieme ai protagonisti. Il primo della serie, per esempio, “Assassino senza volto” tratta il tema del razzismo e del pregiudizio. E questi sono i due ostacoli principali sulla strada che Wallander deve percorrere per arrivare alla verità. Il linguaggio semplice e diretto, la trama, i dialoghi, le azioni, i colpi di scena…tutto sembra “uscire” dal libro per poi coinvolgere il lettore e trascinarlo di nuovo
“dentro” le pagine, fin quasi a fargli sentire il freddo scandinavo. Mankell scrive davvero bene e non c’è un dettaglio fuori posto nei suoi gialli. Non ho ancora letto tutte le avventure di Wallander (ma è mia intenzione farlo) e non ho nemmeno visto i film per la TV che sono stati tratti dai libri…ma per quelli si vedrà. Nel frattempo, visto che il “nostro” buon commissario mangia sempre in qualche modo, soprattutto dopo la separazione, ho deciso di proporvi una ricetta tipica della Svezia, che si prepara proprio in questo periodo: i lussekatter (alla lettera “occhi di gatto”). Sono dei dolcetti fatti con lo zafferano che si cucinano in occasione della festa di Santa Lucia, molto sentita nei paesi nordeuropei. In Svezia li mangiano bevendo latte o cioccolata caldi e io li ho provati per voi…già…che sacrificio!!! Eccovi la 

RICETTA DEI LUSSEKATTER
Ingredienti: 550 gr di farina per dolci - 100 gr di burro - 1 uovo - 1 gr di zafferano - 2,5 dl di latte - 100 gr di zucchero - 25 gr di lievito di birra fresco (o una bustina disidratato) – sale - uva sultanina
per guarnire
In una casseruola cominciare a sciogliere il burro, aggiungendo poco alla volta il latte e lo zafferano. Versare successivamente il composto in una ciotola contenente la farina, lo zucchero ed il lievito spezzettato. Impastare il composto fino ad ottenere una pasta morbida ma non appiccicosa che andrà coperta con un panno e lasciata riposare per 40 minuti. Dopo il riposo la pasta deve essere leggera e soffice al tatto. A questo punto dividere l’impasto in 25-30 pezzi: da ciascun pezzo ottenere una striscia cilindrica da attorcigliare fino ad ottenere un 8 o una S. Una estremità è girata in senso orario, l’altra in senso antiorario. Inserire l’uvetta nei due centri e poi lasciare riposare i panetti per altri 15-25 minuti, di modo che
raddoppino di dimensione. A questo punto sbattere un uovo con un cucchiaio di latte e spennellare i panini con il composto. Infornare a 250° C per 10 minuti e poi abbassare a 220° C fino completa doratura. Sfornare i lussekatte e lasciarli raffreddare su una griglia. Lo zafferano conferisce loro un gusto molto particolare che non a tutti piace. Inutile dire che io li trovo deliziosi e vi assicuro che, leggendo un bel libro di Mankell, vanno giù che è un piacere!!! Provateli e fatemi sapere cosa ne pensate! Buona serata e alla prossima settimana!



12/12/2018

GLI ANGELI DI CHARLIE BEVONO WHISKY!



Quando ero una ragazzina, dopo i compiti e prima di cena, avevo il permesso di guardare gli episodi della serie televisiva che tanto mi appassionava: “Charlie’s Angels”. Insieme a mia sorella ci sdraiavamo sul lettone dei miei, davanti alla TV piccola e in bianco e nero, pronte per una nuova avventura delle nostre eroine! Questa serie arrivò dagli USA nel 1979 e andò in onda fino al 1983 riscuotendo un grande successo. Abituati a poliziotti e investigatori maschi, inizialmente i telespettatori italiani accolsero con scetticismo questa novità…ma poi le tre bravissime (e bellissime) ragazze di Charlie conquistarono un pubblico sempre più vasto. Le cinque stagioni furono poi riprese negli anni successivi da diverse reti e vennero anche girati due film per il cinema ispirati alla serie. Ma di cosa si tratta precisamente? Da dove arrivavano queste tre “tipe” californiane, belle da far invidia, più simili a fotomodelle che a poliziotte?!? Le origini del trio venivano riproposte ogni volta nella sigla iniziale; la voce di Charlie Townsend raccontava di come aveva selezionato le sue collaboratrici: “C’erano una volta tre ragazze che frequentavano l’accademia di Polizia. A tutte e tre venivano affidati compiti difficili, a volte rischiosi. Io le ho portate via e ora lavorano per me: il mio nome è Charlie!”  E così i suoi “angeli” diventarono investigatrici private. Lo schema dei vari episodi era bene o male lo stesso: ogni nuovo caso veniva preso in carico da Charlie, che poi lo illustrava alle
ragazze parlando loro attraverso un amplificatore collegato al telefono (…già perché loro non vedevano mai Charlie e ne conoscevano solo la voce). Le tre detective iniziavano, poi, il loro lavoro per smascherare truffatori, ladri, assassini, terroristi ed ogni sorta di criminali. A volte una di loro veniva introdotta sotto copertura, per poter agire dall’interno e riuscire a risolvere prima il caso. Altre volte, invece, uno degli angeli era coinvolto suo malgrado in un’indagine, oppure si innamorava dell’uomo sbagliato o ancora veniva rapito…insomma le nostre tre eroine affrontavano pericoli e peripezie incredibili, riuscendo sempre a vincere! Ma fra loro e il boss non c’era solo il telefono. A fare da tramite c'era anche il fidato tuttofare John Bosley (l’attore David Doyle), simpatico, pacioccone, innocuo all’apparenza ma fondamentale per il team, era l’unico che conosceva Charlie e si occupava di pratiche, documenti, appostamenti… Spesso faceva da spalla durante una missione sotto copertura oppure correva in aiuto degli angeli nelle situazioni più difficili. Ma smettiamo di chiamarle angeli e cerchiamo di conoscerle. Il primo trio era composto da Sabrina Duncan, Kelly Garrett e Jill Munroe, interpretate rispettivamente da Kate Jackson, Jacklyn Smith e Farrah Fawcett. La prima era la più riflessiva. Colta, intelligente, un po’mascolina, spesso fungeva da leader del gruppo. Kelly, invece, aveva un fascino nobile, quasi di altri tempi, emotiva e apparentemente timida, era capace di provare empatia e di farsi coinvolgere emotivamente in tutte le vicende. Infine Jill, la più estroversa e brillante, sportiva e sempre pronta all’azione. Jill lascerà il posto a sua sorella Kris, alla fine della prima serie, mentre Sabrina uscirà di scena al termine della terza serie, rimpiazzata prima da Tiffany Welles (l’attrice Shelley Hack) e poi da Julie Rogers (Tanya Roberts). Ognuna di loro ha dato il proprio importante contributo, dando vita a personaggi femminili forti e positivi. La violenza non era presente in modo esplicito, le parolacce non venivano pronunciate neppure dai “cattivi” e la bellezza delle protagoniste non scadeva mai nella volgarità. Insomma anche questa era una delle serie televisive di importazione americana permeate di positività, di buonismo, di valori, davanti alla quale si poteva riunire tutta la famiglia. Al termine di ogni episodio, una volta assicurati i colpevoli di turno alla giustizia, gli angeli si trovavano nella sede della “Townsend investigation” a fare rapporto al grande capo, sorseggiando un whisky. Nient’altro. Whisky come fosse acqua fresca! Non si vedevano mai mangiare, non si vedevano mai riposarsi…l’unica pausa era quella per un cocktail. E allora stasera vi propongo un dolce semplice e goloso ispirato agli angeli, da gustare dopo una giornata faticosa, rilassandosi sul divano. Ecco a voi la

CREMA FONDENTE AMARETTI E WHISKY

Ingredienti per 4 porzioni: 80 g cioccolato fondente 75-80% • 50 g burro • 50 g zucchero • 3 uova • sale • whisky • 7/8 amaretti

Sciogliere burro e cioccolato a bagnomaria, tagliandoli prima a pezzetti. Nel frattempo montare i tuorli con lo zucchero e il whisky, quindi incorporare a filo il cioccolato fuso, con molta attenzione. L'ideale sarebbe non fare smontare le uova, ci vuole un po' di pazienza...A parte, montare gli albumi a neve ben ferma con un pizzico di sale ed incorporare tutto al composto, sempre facendo attenzione a non smontare. In ultimo aggiungere 3/4 amaretti sbriciolati finemente. Dividere il composto in 4 bicchieri o coppette e lasciar riposare in frigorifero per almeno una notte. Posare un amaretto sopra ogni porzione e servire. L’ideale sarebbe gustarlo e poi sorseggiare un goccio di whisky per esaltare la dolcezza della crema e sentire la sensazione di freddo e caldo salire dallo stomaco alla gola: una vera e propria esplosione! Un po’ come quella della famosa sigla delle “Charlie’s Angels”. Buona degustazione e buona settimana a tutti!


05/12/2018

COLONIA, LIPSIA, STOCCARDA...UNA SQUADRA SPECIALE PER OGNI CITTA'



Continua la mia “carrellata” delle serie televisive tedesche che ottengono un notevole successo qui in Italia. Raidue, fra le altre, ne trasmette tre davvero interessanti ambientate in altrettante famose città della Germania: “Squadra speciale Colonia”, “Squadra speciale Lipsia” e “Squadra speciale Stoccarda”. Tutte e tre sono arrivate sui nostri schermi fra il 2010 ed il 2014 e vengono trasmesse tutt’ora. La prima, ambientata appunto a Colonia, ruota attorno alle vicende della squadra omicidi capitanata dal commissario Karin Reuter, tosta e capace di gestire ogni situazione, e composta da 4 detective, Frank, Vanessa, Julia e Daniel. Oltre a loro sulla scena compaiono sempre il medico legale, il procuratore e altri personaggi secondari ma sempre importanti.I casi che affrontano sono molto
complessi e spesso sembra impossibile risolverli. La loro forza, però, nonostante siano tutti molto diversi tra loro, sta nell’affiatamento e nel “gioco di squadra” e questo li porta sempre ad assicurare il colpevole alla giustizia. Sullo sfondo le vicende personali di ciascuno e gli sforzi di viverle senza farsi travolgere dal lavoro. La seconda serie, invece, è ambientata a Lipsia e racconta le indagini della squadra, appunto, al comando del commissario capo Hajo Trautzschke e composta da Jan, Ina, Tom e Olivia. Anche qui troviamo sempre i cosiddetti “personaggi secondari”, quali il medico legale, il capo della scientifica, il procuratore, la figlia di Hajo nonché moglie di Jan… In questa serie le vite private dei diversi protagonisti sono parte integrante della storia e spesso alcuni casi ruotano proprio attorno a loro e/o a loro conoscenti, amici, parenti. Rispetto ai “colleghi” di Colonia, i nostri poliziotti di Lipsia tendono a prendere iniziative personali ed isolate, senza coinvolgere gli altri membri della squadra e questo porta puntualmente grossi guai! Ognuno di loro si porta un passato pesante sulle spalle, sia dal punto di vista personale che da quello lavorativo, e questo li porta spesso a coinvolgersi più del dovuto nelle indagini in corso. Ogni caso assume sfumature diverse e le piste da seguire sono sempre tante…per fortuna la capacità di Hajo di tenere insieme la squadra e di richiamarla all’ordine riesce sempre a dare i suoi frutti e la soluzione arriva nei momenti e nei modi più impensati. La terza serie, infine, è ambientata a Stoccarda e la squadra qui è un po’ più numerosa! Sono diverse, infatti, le figure coinvolte in tutte le indagini e tutte sono sempre in stretto contatto e compongono
davvero un bel gruppo. Si parte dal vertice, occupato da Michael Kaiser, direttore della polizia e diretto superiore della squadra che spesso lascia il suo ufficio di dirigente e scende in campo con i suoi uomini. Il commissario capo, però, rimane la forte ed intelligente Martina Seiffert che gestisce la squadra con forte senso di responsabilità e una grande umanità. Seguono Joachim “Jo” Stoll, amante delle auto e delle donne, scanzonato, casinista ma ottimo detective, e Rico Sander, timido ed introverso, completamente opposto a Jo, preciso a livello maniacale, mago del computer con un Q.I. oltre la media, non sopporta il contatto fisico e preferisce stare in ufficio anziché uscire, anche se non si tira mai indietro se c’è da intervenire. E, ovviamente, non mancano le “quote rosa”, che sono cambiate nelle diverse stagioni: Anna, detective capo con una preparazione in psicologia e criminologia, Cornelia “Nelly”, che lavora spesso insieme a Rico e che lascia poi la squadra per trasferirsi a Berlino, e Selma, ultima arrivata in ordine cronologico, è detective sovrintendente, capace e testarda, con un udito straordinario. Insieme a loro troviamo sempre Jan, capo della scientifica, Lisa, medico legale, Friedemann, responsabile ufficio prove e archivi ormai prossimo alla pensione, e Schrotti, meccanico pazzo rimasto fermo agli anni Settanta, informatore e amico di Jo. Come avrete capito dalla più accurata descrizione, questa serie è quella che preferisco! Perché? Forse perché tutti i personaggi, ciascuno con le proprie capacità e caratteristiche, fanno la loro parte e danno il loro contributo alla soluzione dei casi. O forse perché si avvertono sempre la grande umiltà, il senso di giustizia, l’amicizia e il rispetto fra di loro e nei confronti di vittime e colpevoli. E poi sono simpatici e spesso si lasciano andare a momenti di ilarità che aiutano a stemperare la pressione delle indagini e ad alleggerire le varie situazioni. Fatto sta che mi piacciono tutte e tre ma quella di Stoccarda è la mia preferita! Per quanto riguarda il gusto, però, si torna sempre alla solita musica: bevono tutti litri e litri di caffè in servizio e di birra a casa o al bar ma quanto a cibo sono tutti davvero un disastro! E allora ho deciso di farmi ispirare da un grande maestro, tedesco di nascita e milanese di adozione, che crea delle vere opere d’arte con il cioccolato
e che, come dice sempre lui stesso, ha un’ottima squadra che lo affianca nel suo lavoro…avete capito di chi si tratta? Ovviamente del re del cioccolato: Ernst Knam! Cosa c’è di meglio di una bella fetta della sua crostata al cioccolato fondente con frolla al cacao?!?!? Ho puntato in alto, lo so, ma nella vita bisogna osare ogni tanto e allora...3, 2, 1 dolci in forno (e che Knam me la mandi buona!!!!) 

CROSTATA AL CIOCCOLATO – Ricetta originale di Ernst Knam 
Dosi per 1 stampo da 20 cm. *Per la pasta frolla: 150 gr di burro - 150 gr di zucchero - 1 uovo - 6 gr di lievito per dolci - 280 gr di farina 00 - 25 gr di cacao amaro - essenza di vaniglia in polvere - un pizzico di sale *Per la crema pasticcera: 250 gr di latte - 15 gr di farina 00 - 5 gr di fecola di patate - 2 tuorli - 40 gr di zucchero - essenza di vaniglia  *Per la glassa al cioccolato: 125 gr di panna - 190 gr di cioccolato fondente 
Iniziate a preparare la pasta frolla lavorando il burro con lo zucchero. Aggiungete l'uovo e la vaniglia e fate amalgamare il tutto alla crema al burro. Unite ora i restanti ingredienti lievito, farina, cacao e sale setacciati. Impastate velocemente fino a quando non otterrete un composto compatto ed omogeneo. Formate una palla, rivestitela di pellicola trasparente e fatela riposare in frigorifero per almeno 2 ore. Nel frattempo preparate la crema pasticcera lavorando lo zucchero con i tuorli. Aggiungete successivamente la farina e la fecola e mescolate accuratamente. Mettete il latte caldo a filo in cui avrete fatto sobbollire una stecca di vaniglia, amalgamate e fate cuocere a fuoco basso fino a fare addensare. Mescolate di tanto in tanto. Una volta pronta la crema, coprite con una pellicola a contatto e lasciatela raffreddare. Fate sciogliere il cioccolato in un pentolino con la panna, poi lasciatelo raffreddare. Riprendete la frolla e stendetela su una spianatoia infarinata con uno
spessore di circa 4 mm. Foderate quindi con la frolla uno stampo imburrato. Ritagliate la frolla in eccesso lungo i bordi. Poi con i rebbi di una forchetta praticate dei forellini sulla base. Una volta raffreddato il cioccolato unitelo alla crema pasticcera amalgamando. Trasferite la crema ottenuta all'interno dello stampo. Con la frolla avanzata formate delle striscioline spesse da mettere, incrociate, sulla crostata. Cuocete in forno preriscaldato a 180 °C per 40 minuti. Lasciate raffreddare e preparatevi ad un’esplosione di gusto! Lasciatevi avvolgere e coccolare dall’intensità del cioccolato…magari guardando una delle serie tv tedesche di cui vi ho parlato e, mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate! Alla prossima!

28/11/2018

UNA CENA PER MILA VASQUEZ


Donato Carrisi, nato a Martina Franca nel 1973, dopo la laurea in giurisprudenza si è specializzato in criminologia e scienze comportamentali e poi ha iniziato a farsi conoscere scrivendo opere teatrali. Vive a Roma e collabora con il “Corriere della Sera”, è uno scrittore, sceneggiatore, drammaturgo, giornalista e regista…nient’altro?!? Ah! Sì, insegna anche all’Università IULM, dove tiene il corso di “Scrittura di genere: thriller, noir, giallo, mystery”. Nel 1999 debutta come sceneggiatore ma è nel 2009 che il suo nome inizia a farsi conoscere, grazie al suo primo libro giallo “Il suggeritore”, con il quale vince numerosi premi. Al
primo seguono altri libri e tutti ottengono un gran successo; “Il tribunale delle anime”, “L’ipotesi del male”, “La ragazza nella nebbia”, da cui viene tratto un film premiato con il David di Donatello 2018, “Il cacciatore del buio”, solo per citarne qualcuno. E fra poco uscirà il suo ultimo romanzo, che i suoi fans attendono con trepidazione. Siccome sono un po’ “precisina”, non avendo mai letto nessuno dei suoi libri, ho accuratamente evitato di vedere il film (per ora!) e ho iniziato a conoscerlo partendo proprio dal primo, “Il suggeritore” e vi confesso che sono rimasta davvero molto colpita! L’ho divorato! Lo stile di Carrisi è davvero unico: ti coinvolge e ti travolge già dalle prime pagine e ti trascina dentro la storia, con un colpo di scena dietro l’altro, finché non arrivi alla fine e rimani letteralmente a bocca aperta! E tutto questo con pochi fronzoli, con una scrittura semplice, senza tanti giri di parole. L’indagine si svolge a…già, dove si svolge? Non si sa. Per Carrisi, evidentemente, non è importante dare una collocazione precisa agli eventi che racconta. Potrebbero svolgersi in una cittadina del Nord Europa o del Nord America, visto che fa molto freddo, ma non lo sappiamo e non ci interessa. Il gruppo di investigatori che segue l’indagine è formata da elementi che, presi singolarmente, non sarebbero vincenti ma solitamente riescono a fare gioco di squadra e, quindi, ad ottenere ottimi risultati. E quando questi risultati non arrivano, viene chiamato un elemento esterno per aiutarli: Mila Vasquez, un’investigatrice specializzata nella ricerca di persone scomparse. Sì, perché l’indagine è una corsa contro il tempo per salvare una bambina, un vero e proprio incubo per Mila e gli altri. E ogni volta che la Polizia sembra avvicinarsi l’incubo peggiora e li allontana ancora di più dalla loro mèta. Parallelamente alle indagini i componenti del gruppo, dapprima ostili e diffidenti con la nuova arrivata, imparano a conoscerla, ad accoglierla e a coinvolgerla. Mila, però, dovrà affrontare non poche insidie e pericoli e pagherà a caro prezzo le sue scelte prima di arrivare alla soluzione del caso. Non aggiungo altro perché vi consiglio vivamente di leggerlo! Io, invece, leggerò anche gli altri libri di Carrisi e chissà? Magari ve ne parlerò ancora. Nel frattempo vi informo che Mila, come tanti suoi colleghi, mangia poco e male! Per fortuna (sua e del suo stomaco!) c’è una piccola, breve parentesi di vero gusto nel libro: una cena tranquilla in cui lei e Goran, uno dei colleghi, si concedono un’entrecôte con patate. Wow! Questo sì che è mangiare! E allora stasera vi propongo di prepararvene una anche voi e di accompagnarla con la verdura che preferite insieme ad una fantastica salsa bernese che ne esalterà il sapore.

L’ENTRECÔTE - E' un taglio di carne bovina che si ricava dalle due coste dell’animale (in italiano fracosta). Può essere di spessore variabile e si presta a numerose preparazioni differenti. È un taglio che di solito è molto tenero e saporito e non necessita di lunghe cotture e, soprattutto in Francia, viene accompagnato da salse di vario tipo. È una parte molto pregiata del bovino, morbida e con pochissimo grasso. Serve molta maestria per cucinare l’entrecôte alla perfezione (magari con un’irresistibile crosticina leggera in superficie) evitando il rischio di indurirla.

SALSA BERNESE -  La salsa bernese (o béarnaise) è una salsa di origine francese che viene tradizionalmente usata per accompagnare tagli pregiati di carne rossa alla griglia. Come la maggior parte delle salse francesi, l'elemento principale di questa ricetta è il burro, al quale si aggiungono altri ingredienti facilmente reperibili ed economici quali: aceto, scalogno, dragoncello, tuorlo d'uova, succo di limone, sale e pepe. Il risultato è una preparazione base, ormai diffusa nella cucina internazionale, dalla consistenza densa e cremosa e dal colore giallo intenso.

Ingredienti: 200 g di burro fuso • 1 dl d’aceto • 4 scalogni • 2 cucchiai di dragoncello fresco • 3 tuorli • succo di limone • 1 pizzico di pepe di Caienna • sale 

In un pentolino d’acciaio versate l’aceto, unite gli scalogni tritati e metà del dragoncello e salate. Lasciate ridurre il liquido a più della metà. Togliete dal fuoco, filtrate il restante aceto facendo una leggera pressione e lasciate intiepidire. In una casseruola o in una bastardella iniziate a montare i tuorli con la frusta, incorporando a filo l'infusione di aceto e scalogni. Quando il composto diventerà spumoso ponetelo a bagnomaria (l'acqua deve essere già calda) sempre continuando a montare. Quando la crema apparirà ben montata aggiungete il burro fuso, a filo e poco alla volta, lavorando con le fruste fino a quando il composto avrà raggiunto una consistenza cremosa, liscia e omogenea, simile ad uno zabaione. Trasferite la salsa in una ciotola, aggiustatela di pepe, completate con il dragoncello rimasto e, a piacere, con qualche goccia di succo di limone. Bene, ora dovete solo cuocere al punto giusto la carne e poi gustarvela: sarà un momento di puro piacere per il vostro palato, ve lo assicuro! Buon appetito e alla prossima!

22/11/2018

IL COMMISSARIO LANZ: OMICIDI, ARACHIDI E COCA COLA


Proseguiamo sulla scia di Derrick per arrivare ai giorni nostri. Non so se lo avete notato ma sono moltissime le serie televisive importate dalla Germania, che sono state e continuano ad essere proposte dalla Rai, e tutte, più o meno, hanno avuto e hanno molto successo. Oggi, se ancora non la conoscete, vi presento “Il commissario Lanz”, che è arrivata in Italia nel 2014 e viene tuttora trasmessa. Rimaniamo a Monaco di Baviera ma al posto del grigiore di Derrick abbiamo una poliziotta davvero tosta: Vera Lanz, commissario a capo di una squadra originale ed affiatata. Bionda, forte, testarda, apparentemente molto dura ma capace di una forte empatia con il prossimo, Vera deve spesso lottare e dare sempre il massimo per reggere il confronto in un ambiente ancora molto maschilista.
Il marito, poliziotto anche lui, è morto in servizio e lei vive con la figlia Zoe, infermiera alle prime armi. È un po’ casinista, non ama le regole né la burocrazia, cerca di non usare la pistola se non è strettamente necessario, è golosissima di Coca Cola e di arachidi tostate che mangia in gran quantità e che riempiono puntualmente la sua scrivania (già di per sé poco ordinata!), specialmente quando le indagini si fermano e si fatica a trovare una pista da seguire. Lei, però, non demorde mai e arriva sempre alla verità e, quindi, al colpevole. Certo sempre facendo “gioco di squadra”, aiutata dai suoi due collaboratori.  Il primo è Paul Bohmer, il classico poliziotto con molta esperienza, un po’ sciupafemmine, che conosce tutti gli angoli più nascosti della città, ha mille informatori e una memoria storica; ama fare il cattivo ma poi si ritrova nei guai per aver aiutato un giovane teppistello o le prende di santa ragione per aver strappato una prostituta al suo protettore. Il secondo è Jan Trompeter, il più giovane e il più pigro. È un buon poliziotto, sembra sempre un po’ distratto ma è un acuto osservatore ed è molto sensibile. È sfortunatissimo con le donne (e per questo Paul lo prende in giro) e ama le auto d’epoca. Ognuno di loro svolge un ruolo importante nelle varie indagini e questa è un po’ la caratteristica della serie: il capo è Vera ma è sempre la squadra che arriva ad arrestare il colpevole. E veniamo a noi…come tutti i poliziotti sembra che i nostri protagonisti non mangino quasi mai e bevano solo caffè. Qualche volta si vede uno di loro che si
concede una birra o che cerca di andare a cena fuori…ma l’unica cosa certa sono le arachidi che mangiano in ufficio. Sì perché quando Vera si mette a sgranocchiarle, anche Paul e Jan si uniscono a lei…del resto si sa, Chi riesce a resistere alle spagnolette, sia tostate sia salate?! Una tira l’altra e senza accorgertene ne mangi una marea! Arachidi, noccioline americane, spagnolette, bagiggi…vengono chiamate in diversi modi ma la sostanza non cambia: sono davvero pericolose! Arrivate dal Sud America, si sono diffuse enormemente in Europa, principalmente in Italia, almeno fino al 1800, quando la loro coltivazione ha lasciato il posto ad altri prodotti. Il consumo è sempre alto ma è prevalentemente di importazione. Quando non vengono consumate come “golosità” arrivano sulle nostre tavole sotto forma di olio, utilizzato principalmente per friggere. Negli Stati Uniti, invece, pare non riescano a vivere senza il famoso burro di arachidi! Insomma, occorre stare attenti perché creano dipendenza! Persino Pippo le mangia per trasformarsi
in Superpippo!!!! A me piace molto inserirle nell’impasto delle torte più classiche, tipo la ciambella della colazione, il plum-cake all’arancia, i muffin al cioccolato…una piccola aggiunta di qualche spagnoletta tostata e il gusto viene esaltato. La cosa più golosa che ho assaggiato con le arachidi?!? Non ho dubbi: un salame al cioccolato nel quale erano inserite al posto dei biscotti. Banale? Magari sì ma tanto, tanto buono!!!! E allora preparatevi una bella manciata di questi legumi (sì, non ve l’ho detto?!? Sono legumi, non frutti!!) e sgranocchiateli leggendovi un libro o guardandovi una puntata del commissario Lanz, magari sorseggiando una bella Coca fresca! Alla prossima settimana!

14/11/2018

L'ISPETTORE DERRICK: DALLA BAVIERA CON GRIGIORE!


Le prime puntate in Germania furono trasmesse nel 1974 ma in Italia arrivarono nel 1979 e fino al 2000, con ben 281 episodi divisi in 25 stagioni, “L’ispettore Derrick” ebbe un successo incredibile! Inizialmente la critica colpì duramente la serie, definendola mediocre e addirittura noiosa…ma ben presto dovette ricredersi davanti ai record di ascolti che aumentavano ad ogni nuovo episodio. Ma come mai le famiglie italiane erano letteralmente incollate davanti al teleschermo per non perdersi nemmeno un episodio dell’Ispettore Derrick?!? Centinaia di ragazzini si sedevano sul divano assieme ai genitori, costretti a sorbirsi questa serie tedesca che non aveva nulla di entusiasmante…perché?!? Viene proprio da domandarsi da dove venisse un tale apprezzamento!!! Sicuramente si potevano dire molte cose del nostro “eroe tedesco” ma certo non si poteva affermare che fosse un uomo affascinante o di azione, anzi! Rispetto agli stereotipi proposti dalle serie tv statunitensi di quel periodo, per esempio, direi che il nostro ispettore bavarese usciva da
tutti gli schemi, anzi, non ci entrava proprio!!! Quindi?!?!? Dove sta l’arcano mistero?!?!? Andiamo con ordine e analizziamo la serie partendo proprio dal protagonista. L’attore Horst Tappert (1923-2008) interpretò Stephan Derrick per tutte le stagioni, tanto da entrare nel Guinness dei primati come il poliziotto televisivo più longevo. Capelli impomatati tirati indietro (vi svelo un segreto: ha sempre portato un parrucchino!!!), occhiali terrificanti che gli coprono mezza faccia (un altro segreto: dovevano coprire le enormi borse sotto gli occhi dell’attore!!), viso pallido, a tratti grigio, sguardo quasi sempre fisso con la stessa identica espressione, abbigliamento sobrio (ma orologio-pataccone d’oro al polso!), tono di voce mono-nota…insomma l’ispettore Derrick non è mai stato il ritratto dell’allegria, né della salute! Perde raramente la pazienza e non si può dire nemmeno che brilli per simpatia. E cosa dire del fido braccio destro di Derrick, l’ispettore Harry Klein, interpretato da Fritz Wepper dal primo all’ultimo episodio? A parte la chioma castano-rossiccia, sempre molto ben curata, Klein non ha proprio il “physique du role”! Bassino, tarchiato, abbigliamento monocromatico, viene mostrato sempre un po’ tonto rispetto al capo che, alle sue domande, risponde con tono a volte annoiato, spesso saccente. Questo, però, non lo tocca minimamente, visto che pende letteralmente dalle labbra di Derrick e lo segue come un’ombra. Anche le ambientazioni sono tutt’altro che “briose”. L’ufficio di Derrick è grigio quanto lui, essenziale, con le classiche piantine in punto di morte alle finestre, la mappa ingiallita della città, il lavandino in un angolo, la scrivania ingombra di documenti e il telefono nero o grigio, a seconda delle stagioni! La stessa Monaco di Baviera, sede delle avventure dell’ispettore, sembra coperta da una nebbia triste e malinconica! In tutti gli episodi della serie televisiva il ritmo è lento, cadenzato solo dai cambi di inquadratura e dalle domande di Derrick, che fin dall’inizio delle indagini, individua subito il colpevole e comincia a girargli intorno, a fargli mille domande, a fargli visita a casa o sul lavoro…tutto con l’unico obiettivo di farlo crollare. E grazie ai suoi modi educati e pacati, al suo tono conciliante, alla sua ricerca maniacale della verità e, soprattutto, ai suoi estenuanti interrogatori, alla fine il disgraziato di turno confessa le sue colpe! Non c’è altro sullo sfondo, neppure qualche accenno alla vita privata dei protagonisti, dei quali non si sa nulla e che sembra non abbiano neanche una vita al di fuori del lavoro! Tutto ruota attorno all’indagine e le uniche concessioni alla mondanità sono le poche, rare scene girate in una fumosa birreria, dove Derrick e Klein si fermano
per un pasto veloce o per una birra a fine giornata. Da buoni bavaresi i due si gustano classicissimi wurstel e crauti accompagnati da un enorme boccale della bevanda nazionale! Ecco, questa è forse l’unica nota di colore nel grigiore che pervade la serie. Avrei voluto proporvi qualcosa di più originale ma sapete che devo rimanere fedele alle mie scelte e quindi stasera vi allieterò con un abbinamento che abbiamo importato dalla Germania, così come l’ispettore Derrick: ecco a voi i würstel e crauti, anzi, i...
WÜRST MIT SAUERKRAUT  
Ingredienti per 4 persone - 1 kg di cavolo cappuccio bianco - 1 cipolla bianca - 4 spicchi d’aglio - 200 ml di vino bianco - 100 ml di aceto di mele - 2 foglie di alloro - 5 semi di cumino - 5 bacche di ginepro - 2 cucchiai olio evo - Sale e pepe q.b. - Würstel di vari tipi e dimensioni - senape (o altre salse a piacimento)

Prendete il cavolo cappuccio e togliete le foglie più esterne. Levate il torsolo e tagliate le foglie di
cavolo cappuccio a listarelle molto sottili e sciacquatele sotto l’acqua corrente. In una pentola molto capiente versate l’olio e fate appassire la cipolla, privata della buccia e tagliata molto sottile, assieme agli spicchi d’aglio, schiacciati con i rebbi di una forchetta. Cuocete a fuoco basso per una decina di minuti. Alzate la fiamma, aggiungete il cavolo cappuccio e mescolate molto bene, infine sfumate con il vino bianco e l’aceto di mele. Fate evaporare completamente il vino e l’aceto sempre a fiamma viva, quindi unite l’alloro, le bacche di ginepro e i semi di cumino. Abbassate la fiamma al minimo e fate cuocere per due ore, mescolando spesso per non far attaccare al fondo della pentola la verdura. Aggiustate di sale e pepe. Servite i crauti con i würstel cotti alla piastra e accompagnate con senape o altre salse a vostro piacimento. A me piacciono tantissimo in un bel panino croccante, con tanta senape! Quando ero ragazzina andavo con mio padre in un baretto, dopo la chiusura del negozio, e ci mangiavamo un mega panino bello pieno di crauti fumanti e di wurstel saporiti. A volte mi faceva anche assaggiare un goccio di birra…l’importante era che non lo dicessi a mia madre!!! Voi, invece, non lesinate con la birra: bionda e fredda è l’ideale per accompagnare questo piatto ed esaltarne il sapore. Allora alla prossima e auf wiedersehen!!








07/11/2018

VITA DA CANI...POLIZIOTTI!!!


Questa sera voglio fare una specie di “variazione sul tema” portandovi nel mondo delle unità cinofile, composte da poliziotti a due e a quattro zampe. Sono diverse, infatti, le serie di successo che vedono protagonista il cosiddetto migliore amico dell’uomo. Ma prendiamo in esame i più famosi. Nel 1997 ha fatto la sua prima apparizione sulle reti televisive italiane la serie tv “Il commissario Rex” e da subito il bellissimo e simpaticissimo pastore tedesco ha conquistato milioni di telespettatori. Inizialmente lavorava con l’ispettore Richard Moser della Squadra Omicidi di Vienna (interpretato da Tobias Moretti) e con i suoi collaboratori. La squadra è sempre stata molto affiatata e Rex ne ha sempre fatto parte, aiutando nelle indagini, con il suo fiuto e la sua intelligenza. Ogni episodio raccontava un caso diverso: omicidi, furti, frodi, spaccio…e ogni volta l’apporto di Rex e il suo intervento nei momenti più difficili rendevano possibile la cattura del criminale di turno, senza troppa violenza né inutili spargimenti di sangue. Per questo motivo è sempre stata una serie adatta a tutti i tipi di pubblico e ha sempre conquistato un po’ tutte le fasce di età. Oltre alla bravura di Rex, però, a
colpire è anche la simpatia. Famose sono le scene in cui fa dei dispetti ai colleghi Fritz o a Christian, nascondendo oggetti o chiudendo porte, e soprattutto quelle in cui i tre si rubano a vicenda gli immancabili panini col prosciutto o con i wurstel! Del resto, pur essendo un serio “professionista”, Rex rimane pur sempre un cane che ama giocare e che, fra un caso e l’altro, se ne sta accucciato sulla sua amata coperta. Spesso, poi, è capace di mostrare tutto l’affetto che nutre per i suoi amici, in particolare per il suo partner, del quale diventa anche geloso (!), soprattutto quando c’è una fidanzata in giro. Le stagioni della serie austro-tedesca sono state una decina e negli anni sono stati diversi i protagonisti che hanno affiancato Rex, dopo Tobias Moretti; hanno avuto molto successo e ancora oggi le repliche vengono saltuariamente messe in onda. Dal 2008, poi, per otto stagioni è stata creata una serie italiana dal titolo “Rex”, in cui il nostro eroe si trasferisce a Roma e lavora dapprima con il commissario Fabbri (interpretato da Kaspar Capparoni), poi con il commissario Rivera (Ettore Bassi) ed infine con il commissario Terzani (Francesco Arca). Anche la versione “nostrana” ha avuto un discreto successo, pur non arrivando ad eguagliare l’originale. Rimanendo in tema di eroi a quattro zampe, vorrei ricordarne anche altri. Lasciando stare i “mitici” Lassie e Rin Tin Tin, che non rientrano nella categoria, e il già menzionato “Cane” del tenente Colombo, che non fa testo…perché non fa proprio niente (!), vorrei solo accennarvi di altre tre serie degne di nota. Prima in ordine cronologico è “Poliziotto a 4 zampe” del
1989, che racconta di Rinty, un pastore tedesco che lavora nell’unità cinofila della polizia canadese, accanto a Hank Katts ed alla sua squadra. Fra un’indagine e l’altra Rinty riesce sempre a farsi coccolare da tutta la squadra! E chi non ricorda il simpatico duo “Tequila e Bonetti” del 1993, in cui l’affascinante Jack Scalia, poliziotto italoamericano di New York, si trasferisce con la sua amata Cadillac a Los Angeles e gli viene assegnato come partner il pigro Tequila, un enorme esemplare di Dogue de Bordeaux? Nel doppiaggio italiano l’animale “pensa” in un esilarante dialetto napoletano, offrendo ai telespettatori dei momenti di ilarità durante le indagini. Questa serie ha avuto una sola stagione italiana, nel 2000, nella quale accanto a Scalia ha lavorato Alessia Marcuzzi. In questa edizione Tequila era un Leonberger e “pensava” in un colorito dialetto romanesco. Infine la terza ed ultima serie da citare rimane “Il nostro amico Kalle”, del 2008, dove Kalle, appunto, è un simpatico Parson
Russell Terrier che affianca Pia Andresen, dapprima agente e poi commissario capo della polizia di Flensburg, un ridente paesino nel nord della Germania. Alle indagini di polizia si intrecciano le vicissitudini della famiglia di Pia, in cui Kalle vive, e le storie degli altri colleghi della polizia. Come vedete sono diverse le versioni di cane poliziotto che si sono avvicendate sul piccolo schermo e che hanno reso accessibile il genere poliziesco a tutta la famiglia. Io, sinceramente, fra tutti preferisco Rex nella versione originale e tifo sempre per lui quando cerca di rubare un panino ai colleghi…direi che lui oltre al fiuto per il delitto ha anche un gusto non indifferente! Tranquilli, però, questa sera
non vi svelerò il segreto dei croccantini per cani…no! Vi parlerò, invece, dell’origine del panino imbottito, questa piccola-grande invenzione che ha rivoluzionato il modo di mangiare di tutti noi! 


SANDWICH O PANINO IMBOTTITO?
Si narra che nel XVIII° secolo Lord John Montagu, IV conte di Sandwich e politico britannico, fosse un abile giocatore di golf e di carte. Quando si dedicava a queste sue passioni non si rendeva conto del passare del tempo e, non volendo interrompere le partite né saltare il pranzo, si faceva servire delle fette di pane in cui inseriva carne, verdure, pesce…praticamente ciò che era disponibile veniva tolto dal piatto e inserito nel pane. E così nacque il sandwich o, più comunemente, il panino imbottito. Fino a qualche decennio fa era legato all’idea di gita, di scampagnata, di pranzo consumato in giro, in compagnia. Poi è stato rivalutato e trasformato in piatto gourmet, arrivando ad essere interpretato anche da chef stellati. Ovviamente in ogni Paese ha preso delle connotazioni diverse. In Gran Bretagna si usa rigorosamente il pane a cassetta, in Francia si usano le tipiche baguettes, in Spagna i montaditos, in Italia…beh! In Italia anche il panino imbottito è un tripudio di sapori! Da noi il panino cambia da Regione a Regione, da città a città. Gli abbinamenti sono molteplici ma il gusto unico dei nostri salumi danno ad ogni panino, nella sua semplicità, una particolare ricchezza. Qualcuno potrebbe obiettare e dirmi “ma sì, un panino è un panino e basta! Va bene assaggiare qualche accostamento originale, andare in una delle tante paninoteche a provare qualcosa di nuovo…ma il risultato non cambia…!” Ah! Sì?!? E allora vi invito a comprare una bella michetta e a riempirla con del prosciutto crudo o con della mortadella, rigorosamente al pistacchio, e a gustarvela lentamente, assaporando ogni singolo boccone…poi fatemi sapere se davvero un panino imbottito è così banale come sembra o entra di diritto nel panorama delle eccellenze nostrane! Attendo con ansia i vostri commenti. Alla prossima!

31/10/2018

NADIA MORBELLI: REDATTRICE, SCRITTRICE, INVESTIGATRICE…O BUONGUSTAIA FICCANASO?!?


Nadia Morbelli, nata a Genova, è laureata in paleografia e specializzata nello studio di manoscritti umanistici. Collabora con diverse riviste specialistiche sia nazionali che internazionali ed è redattrice presso una piccola casa editrice ligure. I momenti più belli della sua vita li trascorre in biblioteche polverose o viaggiando per il mondo. Attualmente vive fra Genova e l’Alto Monferrato. Ebbene Nadia Morbelli è anche il nome della protagonista dei suoi libri, anzi, direi che non si limita a scrivere in prima persona…direi proprio che la protagonista è lei stessa. E questo, a mio avviso, è il valore aggiunto dei suoi gialli. Il primo dei suoi libri si intitola “Hanno ammazzato la Marinin” e ci porta subito nel mondo di questa donna davvero originale, un po’ casinista e ficcanaso e tanto simpatica! Nadia è una redattrice quarantenne, magra come un’acciuga, appassionata del suo lavoro e dei viaggi e amante del buon cibo e del buon vino (sarà per questo che mi è simpatica??!). Passa tutta la settimana lavorando alacremente, a stretto contatto con il suo capo, Gian Paolo, un brontolone che sostiene di essere sempre sull’orlo del
fallimento, e poi nel week end salta in macchina e scappa in campagna, nel “paesello” dell’Alto Monferrato, dove i suoi genitori hanno sistemato una cascina e si sono trasferiti per godersi la pensione. Lì si rilassa facendo lunghe passeggiate col padre, riservato e appassionato di giardinaggio, e bisticciando continuamente con la madre, autoritaria e sempre pronta a rinfacciarle il fatto che non è ancora stata capace di sistemarsi (che per lei significa sposarsi e avere figli!!). Appena può si incontra con l’amica Carla, insegnante che vive al “paesello”, con la quale condivide la passione per la buona tavola e per il vino. Le loro serate, infatti, si svolgono sempre in un ristorante o in una trattoria diversa, preferibilmente davanti a piatti della tradizione ligure accompagnati da vini locali e corposi. E, mentre mangiano, chiacchierano della loro vita e di quella del paesello, appunto, con tutti i personaggi che lo abitano e lo animano. Nel libro “Hanno ammazzato la Marinin” Nadia si ritrova, suo malgrado, nel bel mezzo di un’indagine per omicidio: nel suo palazzo è stata uccisa un’anziana donna e tutto fa pensare ad una rapina finita male. Ma le coincidenze e le stranezze sono tante, troppe forse, e la nostra redattrice si improvvisa detective e segue una pista basata sul passato e sulle frequentazioni della vittima. Che, guarda caso, è originaria dello stesso paesello in cui vivono attualmente i suoi genitori!!! Ovviamente coinvolge nelle indagini anche Carla e, con tenacia e spirito di osservazione, arriverà ad una verità davvero sconcertante. I romanzi di Nadia Morbelli sono scorrevoli, brillanti, a tratti comici. Non si tratta dei classici gialli con suspense e ritmi serrati, anzi, riprendono il ritmo lento della vita di provincia, dove fra una chiacchierata e l’altra, al bar o alla bocciofila, si scoprono i vizi, le storie, i segreti della gente comune. E tutto senza banalità e senza fronzoli, con semplicità e leggerezza. La stessa protagonista, così come tutte le persone con cui interagisce, è una persona vera, normale, con le sue abitudini, le sue manie, le sue convinzioni e le sue debolezze. Forse è proprio per questo che risulta subito simpatica e riesce a conquistare fin dalla prima pagina. E poi è davvero unica quando racconta le sue cene, i suoi aperitivi, le sue degustazioni! Ha un palato molto allenato, capace di cogliere le diverse sfumature dei vari ingredienti e di abbinarle al vino giusto, adora provare nuovi locali e nuovi piatti…eppure il suo piatto preferito rimane il minestrone alla genovese di sua mamma “che come lo fa lei non lo fa nessuno!” E allora oggi vi propongo proprio questa ricetta che in questo periodo si mangia proprio volentieri. Mi raccomando, però, seguite la ricetta originale che vi propongo e utilizzate verdure fresche…e se poi il pesto lo fate voi anziché comprare quello già pronto…vi assicuro che il risultato sarà eccezionale…lo dice anche il proverbio: “Chi attasta o menestron ‘na votta o no va ciù via da Zena” (Chi assaggia il Minestrone una volta, non va più via da Genova)!

MINESTRONE ALLA GENOVESE

Ingredienti per 4/6 persone: 3 patate piccole - 3 zucchine - 1 etto di fagiolini verdi - 2 etti e mezzo di fagioli borlotti - 1 melanzana - 1 pomodoro - borraggine - 1 cipolla – bietole - 1 gambo di sedano - 1 pezzo di cavolo cappuccio - 1 carota - 3 etti di pasta piccola (in preferenza bricchetti) - pesto genovese - olio evo - parmigiano grattugiato   Lavate tutte le verdure e tagliatele a pezzetti, ad eccezione del pomodoro e delle patate. Mettete una pentola di acqua salata sul fuoco e quando bollirà versatevi dentro tutte le verdure. Fate cuocere per circa un’ora a fuoco vivace e quando tutte le verdure saranno ben cotte versatevi dento la pasta. Una
volta cotta la pasta, spegnete il fuoco, versate il pesto e lasciate riposare per 15 minuti. Distribuite nei piatti e a piacere servite con un filo di olio evo e del parmigiano grattugiato. Buon appetito e alla prossima settimana!

24/10/2018

IL TENENTE COLOMBO ADORA IL CHILI


Se dico “Colombo” sono sicura che sono due i personaggi famosi che vengono in mente a tutti: lo storico e grande navigatore italiano Cristoforo e l’arguto e simpatico tenente italo-americano della conosciutissima serie televisiva…mi sbaglio?!? Non credo proprio! Chi di voi non ha mai visto almeno un telefilm o un film della serie? Negli anni Sessanta due amici, Richard Levinson e William Link, ex compagni di college e fan di Ellery Queen, idearono un nuovo schema di giallo, ribaltando completamente quello classico deduttivo. Solitamente, infatti, il lettore e/o lo spettatore seguono le indagini condotte dall’investigatore protagonista che, basandosi sui fatti, sugli indizi e sulle testimonianze raccolte, arriva all’assassino. Levinson e Link, invece, ribaltano completamente questo modello e ne creano uno nuovo. Le prime scene mostrano subito l’assassino mentre architetta il suo piano, commette l’omicidio e poi si confeziona un falso alibi. È a questo punto che entra in scena il detective che dovrà smascherare il colpevole, smontando il castello di carte che questi ha messo in piedi per coprire il suo crimine. E la cosa più sorprendente non è più lo scoprire “chi” ma il “come ha capito chi”. Il protagonista della serie è il tenente Colombo, interpretato in modo egregio dal mitico Peter Falk (1927-2011). Andato in onda per la prima volta negli USA nel 1968, è arrivato in Italia nel 1974 e ha continuato ad ottenere un successo
strepitoso per oltre trent’anni. Ancora oggi spesso alcuni canali ne trasmettono le repliche e lo share è sempre più che buono. Del resto si tratta di telefilm adatti a tutti i tipi di pubblico, senza alcun tipo di violenza. Come già anticipato, ogni episodio segue uno schema ben preciso: lo spettatore vede subito l’omicidio e chi e come l’ha commesso, dopo di che arriva la polizia e le indagini vengono assegnate al tenente Colombo, davanti al quale il colpevole tira un sospiro di sollievo. Perché? Semplice, perché nessuno potrebbe mai sospettare che un personaggio del genere possa anche solo lontanamente avvicinarsi alla verità. L’aspetto di Colombo, infatti, è tutt’altro rispetto allo stereotipo del detective: trasandato, con un accenno di barba, si presenta con un trench stropicciato, come se ci avesse dormito, un mozzicone di sigaro, un taccuino sgualcito e una
matita piccolissima, i capelli arruffati come se si fosse appena alzato dal letto, uno sguardo assorto, reso un po’ “inquietante” dal fatto che ha una protesi oculare. Arriva a bordo della sua Peugeot 403 cabriolet del 1959, che sembra debba cadere a pezzi da un momento all’altro, e spesso si porta appresso un pacifico bassethound che lui chiama semplicemente “Cane”, perché lui e la moglie non hanno mai trovato un nome che piacesse ad entrambi. Ah! A proposito: nomina spessissimo la consorte, chiamandola “mia moglie” o “la signora Colombo”, che però non si vede mai e non ha neppure un volto. Di lui non si conosce neanche il nome di battesimo ma si sa che soffre di claustrofobia, di vertigini, di mal di mare e che ha paura di volare, orrore per le armi e una vera e propria repulsione per la vista del sangue, al punto che non riesce a parlare tranquillamente con il medico legale…tutto questo dovrebbe fare di lui una frana su tutti i fronti! Eppure ha un quoziente di intelligenza oltre la norma e uno spirito di osservazione incredibile. Non gli sfugge niente e se c’è anche un solo, piccolo particolare fuori posto o che non lo convince…allora tira fuori tutte le sue doti di tenace segugio e punta la preda finché non la stana. Fin da subito, infatti, il suo infallibile intuito gli fa capire chi è l’assassino e da quel momento il colpevole non ha scampo: se lo ritrova davanti nei momenti e nei posti più impensabili, con le domande più assurde e alla fine si ritrova con le spalle al muro. La frase “tormentone” di Colombo, pronunciata con una mano alzata quasi in segno di scusa, è “ah! Un’ultima cosa…” e lì arriva l’affondo, il momento in cui tutta la verità emerge e ogni pezzo del puzzle trova la sua giusta collocazione. Non ricorre a inseguimenti, minacce o lunghi interrogatori ma “gioca” con i nervi del colpevole, logorandolo e facendolo capitolare. Potrei stare ore a raccontarvi degli aneddoti o degli episodi della serie, perché il tenente Colombo è uno dei personaggi televisivi che ho amato e che ancora amo di più. A volte mi capita di rivedere uno dei suoi telefilm o film in TV e ancora riesco ad apprezzarlo. E per quanto riguarda il gusto? Anche lui, come tanti altri detective, beve litri di caffè e ha poco tempo per la pausa pranzo ma ama la buona cucina. Cita spesso le prelibatezze che gli prepara la moglie e, tutte le volte che può, corre nel suo bar preferito a mangiare un piatto di chili extra piccante, nel quale ama sbriciolare dei crackers. Quindi non ho avuto dubbi nello scegliere cosa proporvi oggi: un fantastico e saporitissimo chili di carne e fagioli!

CHILI CON CARNE E FAGIOLI (4-6 porzioni)
500 g di carne macinata mista di manzo e maiale • 200 g di fagioli già lessati (rossi o borlotti) • 200 g di polpa di pomodoro • 1 peperone rosso grande • mezza cipolla bianca • 1 spicchio di aglio • olio evo • 80 g di cheddar (facoltativo) • 1 peperoncino piccante • 1 pizzico di semi di cumino • prezzemolo • sale • pepe
Tritate finemente la cipolla, l'aglio sbucciato e il peperoncino. Fate rosolare in un ampio tegame con un po’ d’olio. Lavate il peperone, privatelo del picciolo, dei semi e dei filamenti bianchi e tagliatelo a cubetti. Quando la cipolla sarà dorata aggiungete il peperone e fatelo saltare per qualche minuto, quindi unite la carne macinata e fatela rosolare per 5-10 minuti, mescolando spesso. Aggiungete la polpa di pomodoro, il cumino tritato finemente, un pizzico di sale e una macinata di pepe, allungate con mezzo bicchiere di acqua calda e fate cuocere con il coperchio a fuoco basso per circa 30 minuti. Trascorso il tempo aggiungete i fagioli e se serve regolate di sale. Fate insaporire per 5-10 minuti, se volete unite infine
il formaggio cheddar e mescolate bene per farlo fondere, quindi spegnete il fuoco e fate riposare per qualche minuto. Servite il chili con carne in una ciotola capiente…se volete mangiarlo proprio “alla Colombo” accompagnatelo con dei crackers, altrimenti potete gustarlo con dei nachos o del pane a fette leggermente tostato. Può essere considerato un piatto unico oppure potete condividerlo come aperitivo. Essendo sempre in servizio, il nostro buon tenente lo mangia bevendo del caffè ma io vi consiglio una bella birra ghiacciata, davanti alla TV, guardando una replica di Colombo, gustandovi il chili e l’indagine! E poi, mi raccomando, fatemi sapere se vi è piaciuto!  

17/10/2018

IL COMMISSARIO MANCINI: ASSETATO DI SILENZIO, DI GIUSTIZIA E...DI BIRRA!

Mirko Zilahy è nato a Roma nel 1974, ha insegnato lingua e letteratura italiana a Dublino ed è cultore di lingua e letteratura inglese presso l’Università per stranieri di Perugia. Molto attivo su vari fronti editoriali, è stato fra l’altro editor per minimum Fax e traduttore dall’inglese di testi molto importanti, quali per esempio “Il cardellino di Donna Tartt” (Premio Pulitzer). Nel 2015 è uscito il suo romanzo d'esordio “È così che si uccide” a cui sono seguiti “La forma del buio” (2017) e “Così crudele è la fine” (2018). I suoi libri hanno riscosso un grande successo in diversi paesi europei, oltre che in Italia, e sono stati tradotti in diverse lingue. Il protagonista di quella che è stata definita la sua “trilogia” è il commissario Enrico Mancini. Profiler esperto, attento ed appassionato studioso di psicologia criminale, ha raggiunto uno dei suoi principali obiettivi andando a Quantico per una specializzazione. Purtroppo questa importantissima esperienza gli ha impedito di stare accanto all’adorata moglie Marisa, malata di cancro, proprio negli ultimi istanti della sua breve vita. Rientrato dagli Stati Uniti, schiacciato dai sensi di colpa, non riesce ad accettare questa dolorosa mancanza e non riesce più nemmeno a lavorare come “prima”. Non riesce più ad assistere ad un’autopsia, non riesce più a toccare niente e nessuno, non riesce più ad instaurare e mantenere
rapporti e, soprattutto, non sente più quel “fuoco” interiore che il suo lavoro accendeva in lui…E la fatica di vivere del commissario si incrocia con le indagini, condotte insieme ad una squadra che ha tanto, troppo bisogno di lui e della sua preparazione per fermare un serial killer spietato e meticoloso, che diffonde il panico nella capitale. Roma è sempre descritta come tetra, buia, rappresentata dai quartieri che ospitano i fantasmi del boom industriale, con relitti di grandi industrie e di vecchie glorie. Le scene del delitto diventano parte della messa in scena dell’assassino, in un crescendo di tensione che porta il commissario ed i suoi uomini a correre da una parte all’altra senza un preciso punto di riferimento. E alla fine sarà proprio Mancini che dovrà affrontare i suoi fantasmi per poter mettere la parola fine ad una scia di sangue che sembra non volere arrestarsi mai. Per ora ho letto solo il primo dei tre libri e mi è davvero piaciuto. Mi ha “preso” dalla prima pagina, l’ho finito in pochissimo tempo e ve lo consiglio volentieri. Lo stile di Zilahy è scorrevole, la trama è accattivante e la suspense è un crescendo rossiniano! Purtroppo però, preso com’è dai mille pensieri e dalle indagini, il protagonista non fa altro che bere birra ghiacciata. La sete che ha dentro diventa fisica e quasi contagiosa. Mancini non mangia quasi niente ma la birra diventa un altro protagonista, una sorta di compagno di viaggio. E quindi, pensando a quanto è triste e depresso il nostro commissario, ho deciso di proporvi un dolce. Ma non uno qualsiasi o uno tradizionale, no! Si tratta di una “rivisitazione” di un grande classico: il tiramisù, che questa volta diventa un birramisù. Così cerco di tirare su Mancini e non lo privo della sua amata birra. Ecco a voi la ricetta.
RICETTA DEL BIRRAMISÙ 

Ingredienti: • 2 tuorli • 70 g di zucchero • 400 g di mascarpone • 20 mg di albume montato a neve • 50 ml di birra chiara • 18 savoiardi • cacao amaro per decorare PER LA BAGNA: • 150 ml di caffè • 100 ml di birra
La ricetta del birramisù si basa sulla più tradizionale versione di questo dolce, il tiramisù. Cominciate montando i tuorli con lo zucchero, fino a quanto otterrete una crema morbida e spumosa. A questo punto aggiungete il mascarpone e 50 ml di birra (io consiglio una chiara ma siete liberi di usare la vostra birra preferita!). Se desiderate avvertire il sapore della birra in modo intenso aggiungete il doppio della dose. Montate gli albumi a neve e uniteli al composto, mescolate il tutto con delicatezza. Preparate il caffè, lasciatelo raffreddare e aggiungete la birra. A questo punto potete iniziare a montare il vostro birramisù: immergete i savoiardi nella bagna e formate il primo strato. Ricopritelo generosamente con la crema e proseguite così per gli strati successivi. Spolverizzate la superficie dell'ultimo strato con il cacao amaro e lasciate raffreddare in frigorifero per almeno 2 ore prima di servire. Rispetto alla versione classica, questa golosità non è troppo dolce e l’amaro della birra risalta piacevolmente, senza comunque coprire gli altri ingredienti. Vi consiglio di provarlo e vedrete che, cucchiaio dopo cucchiaio, finirà in un batter d’occhio e vi tirerà su davvero! Allora buon birramisù e alla prossima settimana!