12/10/2025

IL CLANDESTINO – UN ROMANO “NASCOSTO” A MILANO

Come ormai sapete, oltre a leggere libri gialli di diverse tipologie, mi piacciono le serie e le fiction TV, in particolare quelle tratte da romanzi di autori italiani. Mi è capitato però, quasi per caso, di iniziare a guardare una serie che non nasce da un libro…e mi è molto piaciuta! Si tratta di “Il clandestino”, una serie creata da Ugo Ripamonti e Renato Sannio, i quali hanno anche firmato la sceneggiatura con Michele Pellegrini, diretta da Rolando Ravello. Potrebbe sembrare banale ma creare una serie non credo sia facile, soprattutto perché non si ha una “base” da cui partire, come quando, appunto, si trae spunto da un romanzo. Ma veniamo a noi. La serie narra le vicende di Luca Travaglia (interpretato dal bravissimo Edoardo Leo), un ex ispettore capo dell’antiterrorismo che ha lasciato la Polizia in seguito ad un tragico evento. Durante una serata di gala, infatti, in cui Luca e la sua squadra sono infiltrati per proteggere i diplomatici presenti, esplode un ordigno, provocando diversi feriti, fra cui l’agente più giovane della squadra, che perde l’uso delle gambe. Fin da subito sembra evidente che l’attentatore sia Khadija, compagna di Luca di origine libica, che muore nell’attentato davanti agli occhi del suo amato. Luca non riesce a riprendersi e, divorato da mille dubbi e domande e dal senso di colpa, lascia la Polizia “scappando” a Milano. Qui inizia a lavorare come buttafuori nelle discoteche e come guardia del corpo, andando a vivere in affitto nell'autorimessa di Palitha (che ha il volto del simpaticissimo e vulcanico
Hassani Shapi), un singalese con competenze da meccanico che gestisce una propria impresa di soccorso stradale e che vive al piano di sopra con la moglie Gedara. Nelle prime settimane, dopo il lavoro, Luca si chiude nel suo “antro” e beve fino allo sfinimento, vivendo di incubi e flashback e limitandosi ad andare avanti. L’esuberante Palitha, con il quale pian piano si crea un legame di profonda amicizia, lo coinvolge suo malgrado in “interventi” che di meccanico hanno ben poco! Con la scusa dell’affitto arretrato, infatti, il singalese gli chiede aiuto per risolvere problemi e soprusi che coinvolgono povera gente, spesso immigrati irregolari, che non possono o non vogliono rivolgersi alla Polizia. Oltre ad aiutare chi ha davvero bisogno, i due si trovano a guardare con occhi nuovi la loro vita. Da loro arrivano persone con storie incredibili, uomini e donne spesso sfruttati ed emarginati, a volte semplicemente ignorati o abbandonati, vittime silenziose e inerti di ingiustizie e di violenze. In tutto questo, il “buon” Palitha vede un’occasione di guadagno e propone a Luca di mettersi in società e di creare un’agenzia investigativa. L’improbabile “coppia”, che fra un caso e l’altro dà vita a esilaranti “siparietti”, si sposta per la città usando un furgone Fiat 1100 di colore rosso fiammante, completamente restaurato e modificato come carro attrezzi, con tanto di pubblicità dell’autofficina di Palitha e della loro neonata e sgangherata agenzia! Nelle loro indagini, ricorrono spesso all’aiuto del vicequestore Claudio Maganza, amico di vecchia data di Luca, che chiude sovente un occhio (anche due!) sulle loro “attività” non sempre regolari e a quello di Carvelli, un alto dirigente dei Servizi segreti italiani, altro suo vecchio conoscente dai tempi in cui lavorava all'antiterrorismo, al quale telefona per ottenere informazioni e rintracciare persone. Lavorando come
guardia del corpo e accettando i vari incarichi tramite l’agenzia, Luca capisce che deve riprendere in mano la sua vita e, soprattutto, rimanere sobrio. I soldi dell’agenzia, infatti, fanno comodo anche a lui, e non solo all’amico, per una ragione che tiene completamente segreta. Le bottiglie di vodka e whisky lasciano così il posto a innumerevoli bottigliette di chinotto, che beve in qualsiasi momento del giorno e della notte. …Mi piacerebbe proseguire e raccontarvi anche il resto ma preferisco fermarmi, sperando di aver suscitato in voi la curiosità di vedere la serie che, come vi dicevo, è davvero coinvolgente. Sarà stata la capacità espressiva di Edoardo Leo e il suo modo di parlare…o l’incredibile simpatia di Hassani Shapi, che si apposta con il carro attrezzi nei luoghi più assurdi, sgranocchiando bastoncini al cioccolato e pensando di non dare nell’occhio…o ancora vedere le vie e i quartieri della “mia” Milano diventare tristemente protagonisti di guerre tra gang o zone di traffici illeciti…sta di fatto che la serie, episodio dopo episodio, mi ha coinvolto e mi ha fatto stare con il fiato sospeso, riuscendo a stupirmi e a non dare nulla per scontato, neanche la differenza fra bene e male, che spesso non è così netta. Purtroppo, l’anno scorso l’attore Hassani Shapi è morto improvvisamente e quindi non si sa se verrà girata la seconda stagione ma vi consiglio vivamente di guardare la prima e unica, perché ne vale la pena. Per quanto riguarda il gusto, invece, non c’è molto da dire. Luca beve prima litri di alcool e poi litri di chinotto, mentre Palitha mangia i bastoncini Mikado (beh! Dico la marca perché nella serie non viene mai oscurata…) di cui ha una scorta infinita. Quindi per questa volta mi limito a parlarvi di una bevanda tutta italiana nata da un agrume:
il chinotto.

Il chinotto è un estratto analcolico del Citrus myrtifolia, agrume diffuso sulla costa tirrenica italiana. Si

tratta di una bevanda scura, dall’aspetto simile a una cola, di gusto amarognolo. Rispetto alle versioni storiche originali, (purtroppo direi!), i chinotti attualmente in commercio sono generalmente più zuccherati. La sua nascita è di origine incerta. Alcune fonti sostengono sia stato inventato negli anni Trenta dalla San Pellegrino, che ne è la principale produttrice, altre lo fanno risalire agli anni Quaranta in Sicilia o in provincia di Viterbo ed altre in un comune della Svizzera italiana. Infine, c’è una delle “teorie” più accreditate, secondo la quale la formula industriale fu inventata a Milano, dalla “Costantino Rigamonti fu Giovanni”, che divenne poi la Recoaro. E, infatti, negli anni Cinquanta il chinotto più famoso e venduto era proprio quello con marchio Recoaro. Nel tempo, nonostante una particolare diffusione oltreoceano, il chinotto ha rischiato di scomparire e di diventare un prodotto di nicchia, reperibile solo in Italia. Negli ultimi decenni, invece, è tornato un po’ “di moda”, grazie anche ai diversi marchi che lo producono e stanno cercando di tornare al prodotto originale, meno zuccherato e più dissetante. In molti Paesi in cui viene esportato, rimane comunque un prodotto “Made in Italy” che si può trovare solo nei negozi specializzati. Ricordo che questa bevanda, quando ero ragazzina, veniva venduta nel negozio di famiglia, insieme ad altre bibite, rigorosamente in bottiglie di vetro. Ultimamente l’ho bevuto e trovato molto, troppo dolce, in effetti. Però, poi, cercando una versione in vetro per fare le foto del post, sono rimasta piacevolmente sorpresa nel trovare un gusto decisamente più amarognolo e dissetante. Adesso, però, ogni volta che ne vedo una bottiglia, ripenso a Luca Travaglia che lo ha scelto per superare la dipendenza dall’alcool. Non so se a voi piace o se l’avete mai assaggiato. Magari provatelo e sorseggiatelo bello fresco, mentre guardate gli episodi de “Il clandestino”…direttamente dalla bottiglia, mi raccomando! Alla salute e alla prossima!

05/10/2025

RICHARD OSMAN E IL CLUB DEI DELITTI DEL GIOVEDÌ

Autore e conduttore televisivo britannico, classe 1970, Richard Thomas Osman ha debuttato come scrittore nel 2020 con il romanzo “Il club dei delitti del giovedì”. Primo libro della serie “Thursday Murder Club”, il romanzo ha scalato in poco tempo le classifiche ed è diventato un fenomeno editoriale internazionale, tanto da essere, in Gran Bretagna, il più venduto nel periodo natalizio dell’anno di uscita. La trama è accattivante e coinvolgente e alterna momenti di suspense a simpatici “siparietti” che alleggeriscono la tensione dell’indagine, regalando un sorriso ai lettori. Joyce Meadowcroft, infermiera in pensione, vedova e madre di Joanna, arriva a Cooper’s Chase, un tranquillo ed esclusivo villaggio per pensionati nel Kent. Qui incontra un trio piuttosto originale, che la invita a far parte del Club dei delitti del giovedì. Ovviamente Joyce non si tira indietro, anzi, e così inizia a frequentare gli incontri del club, che si tengono, appunto, ogni giovedì nella “Jigsaw Room” per discutere di crimini irrisolti. Il gruppo è composto da Elizabeth Best, ex agente dei servizi segreti, Ron Ritchie, ex attivista sindacale e Ibrahim Arif, psichiatra. A loro tre si aggiunge Joyce, appunto, che, nel romanzo, diventa la narratrice delle vicende attraverso il suo diario, aggiornato più o meno tutti i
giorni. Nonostante l’età, ciascuno di loro ha quella che si definisce “una marcia in più”. Le loro esperienze, il loro non indifferente bagaglio culturale, la vita vissuta svolgendo lavori che li hanno portati a conoscere la natura umana, il loro profondo senso della giustizia…uniti alla curiosità, ad un’insospettabile energia e ad una particolare intraprendenza, li rende dei veri e propri segugi che, a poco a poco, riescono ad arrivare alla verità. Inizialmente i casi affrontati sono delle vecchie indagini che non hanno portato ad una soluzione e, quindi, non hanno assicurato i colpevoli alla giustizia. Quando, però, vengono assassinati prima un costruttore locale e poi un proprietario terriero, a poca distanza da Cooper’s Chase, il quartetto si ritrova coinvolto in una vicenda reale e deve affrontare una vera e propria indagine. Ovviamente non sarà facile far capire ai poliziotti “veri” a capo delle indagini, ovvero l’agente Donna De Freitas e l’ispettore capo Chris Hudson, che il loro contributo può essere determinante, anzi! Questi, infatti, dapprima li tratteranno con sufficienza, convinti di aver a che fare con quattro ultraottantenni un po’ “suonati” e poi, invece, si renderanno conto della loro arguzia e accetteranno il loro aiuto per risolvere il duplice omicidio. Non vi voglio svelare altro ma vi suggerisco di leggere direttamente il libro perché è davvero gradevole e intrigante. A me piacerebbe, prima o poi, riuscire a leggere anche gli altri tre della serie scritti da Osman…vi farò sapere quando riuscirò a farlo. Nel frattempo, vi anticipo che la mite e solo apparentemente ingenua Joyce è un’ottima (e golosa) cuoca e si diletta a preparare dei fantastici dolci da condividere con gli altri membri del club, durante i loro incontri. Fra gli altri, uno mi ha particolarmente incuriosito e ho voluto replicarlo: il plumcake al caffè. Ecco a voi la ricetta.

RICETTA PLUMCAKE AL CAFFÈ

Ingredienti: 400 g farina 0 - 200 g zucchero - 3 uova – 1 tazza di caffè freddo - 150 g burro - 1 bustina lievito in polvere per dolci - 220 g latte - 1 pizzico di sale

Iniziate la preparazione del plumcake al caffè lasciando ammorbidire il burro a temperatura ambiente. Una volta pronto lavoratelo in una ciotola insieme a zucchero e uova con lo sbattitore elettrico (oppure, per chi ce l’ha, nella planetaria). Montate il tutto fino ad ottenere una crema biancastra e spumosa. A questo punto unite il latte, la farina, il caffè, il pizzico di sale e il lievito e mescolate per qualche minuto, incorporando tutti gli ingredienti fino a quando il composto risulterà cremoso e compatto (fate attenzione ai grumi!). Imburrate e infarinate uno stampo standard da plumcake, versatevi il composto e battetelo leggermente su una superficie rigida, in modo da uniformarlo. Cuocete in forno statico a 180°C per circa 50 minuti (solo dopo i primi 30 minuti potete aprire il forno e verificare la cottura con la prova dello stecco). Una volta pronto, sfornatelo e lasciatelo raffreddare completamente prima di servirlo. Vi consiglio di gustarlo accompagnato da una tazza di tè, come i nostri “amici” del Club o, se preferite, da una tazzina di caffè. In ogni modo sono sicura che vi piacerà…soprattutto se lo mangerete leggendo il libro di Osman e…anche in altri giorni, non per forza di giovedì, sia chiaro! Buona lettura, buona degustazione e alla prossima!