Come ormai sapete, oltre a leggere libri gialli di diverse tipologie, mi piacciono le serie e le fiction TV, in particolare quelle tratte da romanzi di autori italiani. Mi è capitato però, quasi per caso, di iniziare a guardare una serie che non nasce da un libro…e mi è molto piaciuta! Si tratta di “Il clandestino”, una serie creata da Ugo Ripamonti e Renato Sannio, i quali hanno anche firmato la sceneggiatura con Michele Pellegrini, diretta da Rolando Ravello. Potrebbe sembrare banale ma creare una serie non credo sia facile, soprattutto perché non si ha una “base” da cui partire, come quando, appunto, si trae spunto da un romanzo. Ma veniamo a noi. La serie narra le vicende di Luca Travaglia (interpretato dal bravissimo Edoardo Leo), un ex ispettore capo dell’antiterrorismo che ha lasciato la Polizia in seguito ad un tragico evento. Durante una serata di gala, infatti, in cui Luca e la sua squadra sono infiltrati per proteggere i diplomatici presenti, esplode un ordigno, provocando diversi feriti, fra cui l’agente più giovane della squadra, che perde l’uso delle gambe. Fin da subito sembra evidente che l’attentatore sia Khadija, compagna di Luca di origine libica, che muore nell’attentato davanti agli occhi del suo amato. Luca non riesce a riprendersi e, divorato da mille dubbi e domande e dal senso di colpa, lascia la Polizia “scappando” a Milano. Qui inizia a lavorare come buttafuori nelle discoteche e come guardia del corpo, andando a vivere in affitto nell'autorimessa di Palitha (che ha il volto del simpaticissimo e vulcanicoHassani Shapi), un singalese con competenze da meccanico che gestisce una propria impresa di soccorso stradale e che vive al piano di sopra con la moglie Gedara. Nelle prime settimane, dopo il lavoro, Luca si chiude nel suo “antro” e beve fino allo sfinimento, vivendo di incubi e flashback e limitandosi ad andare avanti. L’esuberante Palitha, con il quale pian piano si crea un legame di profonda amicizia, lo coinvolge suo malgrado in “interventi” che di meccanico hanno ben poco! Con la scusa dell’affitto arretrato, infatti, il singalese gli chiede aiuto per risolvere problemi e soprusi che coinvolgono povera gente, spesso immigrati irregolari, che non possono o non vogliono rivolgersi alla Polizia. Oltre ad aiutare chi ha davvero bisogno, i due si trovano a guardare con occhi nuovi la loro vita. Da loro arrivano persone con storie incredibili, uomini e donne spesso sfruttati ed emarginati, a volte semplicemente ignorati o abbandonati, vittime silenziose e inerti di ingiustizie e di violenze. In tutto questo, il “buon” Palitha vede un’occasione di guadagno e propone a Luca di mettersi in società e di creare un’agenzia investigativa. L’improbabile “coppia”, che fra un caso e l’altro dà vita a esilaranti “siparietti”, si sposta per la città usando un furgone Fiat 1100 di colore rosso fiammante, completamente restaurato e modificato come carro attrezzi, con tanto di pubblicità dell’autofficina di Palitha e della loro neonata e sgangherata agenzia! Nelle loro indagini, ricorrono spesso all’aiuto del vicequestore Claudio Maganza, amico di vecchia data di Luca, che chiude sovente un occhio (anche due!) sulle loro “attività” non sempre regolari e a quello di Carvelli, un alto dirigente dei Servizi segreti italiani, altro suo vecchio conoscente dai tempi in cui lavorava all'antiterrorismo, al quale telefona per ottenere informazioni e rintracciare persone. Lavorando come guardia del corpo e accettando i vari incarichi tramite l’agenzia, Luca capisce che deve riprendere in mano la sua vita e, soprattutto, rimanere sobrio. I soldi dell’agenzia, infatti, fanno comodo anche a lui, e non solo all’amico, per una ragione che tiene completamente segreta. Le bottiglie di vodka e whisky lasciano così il posto a innumerevoli bottigliette di chinotto, che beve in qualsiasi momento del giorno e della notte. …Mi piacerebbe proseguire e raccontarvi anche il resto ma preferisco fermarmi, sperando di aver suscitato in voi la curiosità di vedere la serie che, come vi dicevo, è davvero coinvolgente. Sarà stata la capacità espressiva di Edoardo Leo e il suo modo di parlare…o l’incredibile simpatia di Hassani Shapi, che si apposta con il carro attrezzi nei luoghi più assurdi, sgranocchiando bastoncini al cioccolato e pensando di non dare nell’occhio…o ancora vedere le vie e i quartieri della “mia” Milano diventare tristemente protagonisti di guerre tra gang o zone di traffici illeciti…sta di fatto che la serie, episodio dopo episodio, mi ha coinvolto e mi ha fatto stare con il fiato sospeso, riuscendo a stupirmi e a non dare nulla per scontato, neanche la differenza fra bene e male, che spesso non è così netta. Purtroppo, l’anno scorso l’attore Hassani Shapi è morto improvvisamente e quindi non si sa se verrà girata la seconda stagione ma vi consiglio vivamente di guardare la prima e unica, perché ne vale la pena. Per quanto riguarda il gusto, invece, non c’è molto da dire. Luca beve prima litri di alcool e poi litri di chinotto, mentre Palitha mangia i bastoncini Mikado (beh! Dico la marca perché nella serie non viene mai oscurata…) di cui ha una scorta infinita. Quindi per questa volta mi limito a parlarvi di una bevanda tutta italiana nata da un agrume: il chinotto.
Il chinotto è un estratto analcolico del Citrus myrtifolia, agrume diffuso sulla costa tirrenica italiana. Si
tratta di una bevanda scura, dall’aspetto simile a una cola, di gusto amarognolo. Rispetto alle versioni storiche originali, (purtroppo direi!), i chinotti attualmente in commercio sono generalmente più zuccherati. La sua nascita è di origine incerta. Alcune fonti sostengono sia stato inventato negli anni Trenta dalla San Pellegrino, che ne è la principale produttrice, altre lo fanno risalire agli anni Quaranta in Sicilia o in provincia di Viterbo ed altre in un comune della Svizzera italiana. Infine, c’è una delle “teorie” più accreditate, secondo la quale la formula industriale fu inventata a Milano, dalla “Costantino Rigamonti fu Giovanni”, che divenne poi la Recoaro. E, infatti, negli anni Cinquanta il chinotto più famoso e venduto era proprio quello con marchio Recoaro. Nel tempo, nonostante una particolare diffusione oltreoceano, il chinotto ha rischiato di scomparire e di diventare un prodotto di nicchia, reperibile solo in Italia. Negli ultimi decenni, invece, è tornato un po’ “di moda”, grazie anche ai diversi marchi che lo producono e stanno cercando di tornare al prodotto originale, meno zuccherato e più dissetante. In molti Paesi in cui viene esportato, rimane comunque un prodotto “Made in Italy” che si può trovare solo nei negozi specializzati. Ricordo che questa bevanda, quando ero ragazzina, veniva venduta nel negozio di famiglia, insieme ad altre bibite, rigorosamente in bottiglie di vetro. Ultimamente l’ho bevuto e trovato molto, troppo dolce, in effetti. Però, poi, cercando una versione in vetro per fare le foto del post, sono rimasta piacevolmente sorpresa nel trovare un gusto decisamente più amarognolo e dissetante. Adesso, però, ogni volta che ne vedo una bottiglia, ripenso a Luca Travaglia che lo ha scelto per superare la dipendenza dall’alcool. Non so se a voi piace o se l’avete mai assaggiato. Magari provatelo e sorseggiatelo bello fresco, mentre guardate gli episodi de “Il clandestino”…direttamente dalla bottiglia, mi raccomando! Alla salute e alla prossima!








